di Manlio Dinucci

Il passaggio di una flotta USA-israeliana attraverso il Canale di Suez non si deve interpretare come un segnale contro l’Iran, bensì come una minaccia diretta contro il Pakistan. E’ vero che avviene poco dopo il voto sulle sanzioni contro l’Iran al Consiglio di Sicurezza, però si tratta innanzitutto di una risposta contro l’accordo sul gas firmato fra Teheran e Islamabad.

Israele schiera sottomarini armati di missili nucleari al largo delle coste iraniane: così titolava ieri il giornale israeliano Ha’aretz, riprendendo un’inchiesta del britannico Sunday Times. Secondo quanto dichiarato da un ufficiale israeliano, uno dei quattro sottomarini «Dolphin», forniti dalla Germania, si trova già nel Golfo e, con i suoi missili da crociera a testata nucleare (1.500 km di gittata), può colpire qualsiasi obiettivo in Iran.

Alla fine della settimana scorsa, una dozzina di navi da guerra statunitensi e almeno un’unità lanciamissili israeliana avevano attraversato il Canale di Suez, dirette nel Golfo persico, per accrescere la pressione su Teheran. La ragione non è solo quella dichiarata: impedire che la Repubblica islamica si doti di armi nucleari. Ve n’è un’altra, più pressante: agli inizi della settimana scorsa Teheran ha firmato con Islamabad l’accordo, del valore di 7 miliardi di dollari, che dà il via alla costruzione di un gasdotto dall’Iran al Pakistan. Un progetto che risale a 17 anni fa, finora bloccato dagli Stati uniti.

Nonostante ciò, l’Iran ha già realizzato 900 dei 1.500 km di gasdotto dal giacimento di South Pars al confine col Pakistan, che ne costruirà altri 700. Un corridoio energetico che, dal 2014, farebbe arrivare in Pakistan dall’Iran, ogni giorno, 22 milioni di metri cubi di gas. Il progetto iniziale prevedeva che un ramo del gasdotto arrivasse in India, ma New Delhi si è ritirata temendo che il Pakistan possa bloccare la fornitura.

C’è però sempre la Cina, disponibile a importare gas iraniano: la "China national petroleum corporation" ha firmato con l’Iran un accordo da 5 miliardi di dollari per lo sviluppo del giacimento di South Pars, subentrando alla francese Total cui Teheran non ha rinnovato il contratto (mentre l’italiana Eni continua a operare nei giacimenti di South Pars e Darquain). Per l’Iran si tratta di un progetto d’importanza strategica: Teheran infatti possiede le maggiori riserve di gas naturale dopo quelle russe, ancora in massima parte da sfruttare, e attraverso il corridoio energetico verso est può sfidare le sanzioni volute dagli Stati uniti.

Ha però un punto debole: il suo maggiore giacimento, quello di South Pars, è offshore, situato nel Golfo Persico e quindi esposto a un blocco navale, come quello che gli Stati uniti possono esercitare facendo leva sulle sanzioni approvate dal Consiglio di sicurezza dell’Onu (che la settimana scorsa ha dato via libera al quarto pacchetto di misure punitive contro la Repubblica islamica).

A Washington brucia che il Pakistan, suo alleato, abbia firmato l’accordo con l’Iran pochi giorni dopo le sanzioni Onu. Da qui la mossa militare, in accordo con gli alleati europei, in particolare la Francia. La portaerei Harry Truman, che guida il gruppo navale diretto nel Golfo Persico, ha fatto scalo a Marsiglia, effettuando il 4-7 giugno nel Mediterraneo, con i suoi 80 caccia, un’esercitazione di interoperabilità con l’aviazione imbarcata sulla portaerei francese «De Gaulle». E mentre era in navigazione verso Suez, il 14 giugno, ha ricevuto la visita del ministro della difesa tedesco, accompagnato dal capo di stato maggiore della marina.

 

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