Quando morirò? Questa è la domanda che gira nella mia testa quando mi sono svegliato mercoledì mattina. Sto sudando, come al solito. I miei muscoli soffrono dopo una lunga notte senza elettricità, in un clima solo poco più fresco di quello che potrebbe esserci all'inferno. Mentre mi vesto per andare a lavorare, altre domande mi assalgono: Come morirò? Sarò colpito in testa? Salterò a pezzi per aria? O sarò fermato ad un checkpoint della polizia a causa del mio aspetto, quindi torturato, ucciso e gettato come immondizia sul marciapiede? Guardo mia moglie mentre dorme, la sua faccia sofferente a causa del caldo atroce. Cosa succederà a lei se morirò? Ben presto non avrà più nessuno in Iraq. Sarà capace di identificare il mio corpo? Otterrò una sepoltura degna di questo nome? Sono un dentista nel mezzo dei miei venti anni, sposato con una aspirante dentista. Mio padre è un ortopedico molto conosciuto, che è fuggito dall'Iraq dopo essere stato minacciato sia dai radicali sunniti di al-Qaeda in Iraq (che volevano reclutarlo ed estorcergli soldi in cambio della sua vita, ma lui ha rifiutato), sia dai radicali sciiti dell'Esercito del Mahdi di Moqtada al-Sadr (perchè mio padre è un sunnita). Anche il mio fratellastro, che lavora al ministero del petrolio, è stato minacciato; ha deciso di lasciare il Paese alla fine di questo mese. In effetti, anche io e mia moglie avevamo deciso di lasciare l'Iraq nel luglio 2006 e rifugiarci in Giordania. Ma non ho avuto la possibilità di trovare alcun lavoro lì, così sono stato costretto a tornare a Baghdad per sopravvivere. Ora vivo qui, il più quietamente possibile, tenendo un basso profilo. Non uso più neppure il nome della mia famiglia. (e non sto neppure usando il mio nome reale per firmare questo pezzo).
Cammino verso il mio posto di lavoro, in una clinica a 15 minuti da casa mia, che si trova all'intersezione tra un quartiere sciita ed uno sunnita. Abbiamo avuto qui vicino molti attacchi terroristici. Sulla strada, riesco a vedere le carcasse bruciate delle auto. Filo spinato e barricate, bloccano le strade. Il pavimento della strada è pieno di bossoli di proiettili. La morte è nell'aria. Una macchina mi sorpassa lentamente, ed il mio cuore inizia a battere rapidamente: prego Allah di non essere rapito o che non mi venga chiesto di che setta faccio parte.
Alle porte della clinica, ringrazio le guardie. (Ho paura di loro, potrebbero essere membri di una milizia. Qui a Baghdad, chiunque è sospetto, a meno che non provi il contrario). Timbro il cartellino e subito dopo iniziano le cattive notizie: il generatore diesel ha quasi finito il carburante. Ne abbiamo ancora solo per un altro giorno ed il mio capo pensa che ci vorrà almeno un mese, o più, prima che il ministero della salute ce ne fornisca altro.
"Come diavolo faremo a curare i nostri pazienti?" Chiedo nervoso. Il mio capo alza le spalle, impotente. Siamo già a corto di medicine. Mi sento male per i nostri pazienti, alcuni dei quali soffrono tantissimo, così lavoro il più veloce che posso. La clinica è aperta dalle 9 del mattino all'1 del pomeriggio, e abbiamo cinque dentisti, con tre sedie. Normalmente, possiamo trattare fino a 15 pazienti al giorno, ma questa giornata, ne tratto otto soltanto io. Sono fiero del mio lavoro, mentre torno a casa, dove, come al solito, non c'è elettricità.
Nel mio quartiere (così come in gran parte di Baghdad), dipendiamo da noi stessi per l'energia elettrica. In molti posti, c'è qualcuno che possiede un grande generatore elettrico e vende agli altri residenti otto ore di elettricità al giorno. Io pago 120 dollari al mese per questo servizio. Per altre tre ore al giorno, uso il mio generatore casalingo. Questo mi costa circa 150 dollari al mese perchè la benzina qui è costosissima. Devo attendere spesso dalle sei alle otto ore in fila per avere un po' di benzina ad un distributore, che chiude alle 6 o alle 7 del pomeriggio. Il coprifuoco inizia alle 11 del pomeriggio, così molte persone dormono nelle proprie auto fino a che la stazione non riapre la mattina successiva. Questa farsa ha aiutato a creare un fiorente mercato nero, dove la benzina viene venduta al doppio del suo prezzo ufficiale.
Dopo pranzo, mia moglie, che ha appena completato i suoi esami finali dell'ultimo anno della scuola dentistica, mi parla di come si sente impaurita, vuota e senza speranza per il futuro. "Per quanto tempo rimarremo in Iraq?" Mi chiede. "Fino a che uno di noi morirà?" Se decidiamo di andare via di nuovo, voglio andare in un Paese dove potremo avere un futuro. Voglio un bambino, ma ho promesso a me stesso di non averne nessuno fino a che vivrò in Iraq. Il mio bambino non merita di nascere in questo Paese. Non voglio fare lo stesso errore che hanno fatto i miei genitori con me.
Verso sera, andiamo ad acquistare del cibo. E' l'unico divertimento che abbiamo nella nostra vita, oltre Internet. Fa così caldo. Sogno di poter andare in giro in pantaloni corti. Ma le milizie non lo permettono. E' troppo chiedere una cosa del genere in Iraq. Così come è troppo chiedere di indossare una collana dorata. Oppure chiedere di guidare la mia BMW perchè potrei essere ucciso solo per questo. La verità è anche troppo chiedere perchè è troppo chiedere qualcosa a Baghdad.
Ci divertiamo in qualche modo al mercato, ma sulla strada di casa, il nostro umore torna pessimo: una camionetta ci supera sulla strada, ed intravediamo un corpo morto al suo interno. Giovedì prima dell'alba, una esplosione fa tremare la nostra casa. Io rimango a letto, senza poter riprendere a dormire, fino a che non si fa ora di andare a lavoro.
Quando arrivo alla clinica, vedo gli altri dentisti seduti sulle sedie nell'atrio. Questo significa che siamo senza diesel. Abbiamo davanti quattro ore senza nulla da fare (perchè siamo obbligati a stare a lavoro anche se non possiamo fare nulla), così mi unisco a loro. Le discussione verte sulla situazione a Baghdad e sulla presenza americana in Iraq.
"Non appena gli americani lasceranno l'Iraq, i jet iraniani voleranno su Baghdad per bombardare qualsiasi quartiere che non sia leale a loro, che sia sciita o sunnita poco cambia", afferma uno dei dottori. Io offro la mia opinione: "Gli Stati Uniti dovrebbero rimanere perchè il pericolo non sono solo l'Iran e gli altri Paesi vicini. Anche la Guardia Nazionale irachena e la polizia sono nostri nemici ora".
In contrasto, molti iracheni con minore grado di educazione pensano che il cuore del problema sia la presenza delle truppe americane in Iraq. Essi credono che se gli americani abbandonano l'Iraq, vi sarà immediatamente pace. Io sono d'accordo, fino ad un certo punto, che le truppe americane sono responsabili per parte dei problemi che abbiamo, ma non le accuso per questo. Accuso invece gli iracheni che hanno permesso che questo avvenisse, che si divertono a vedere il proprio Paese morto e distrutto - intendo dire il governo settario e le milizie. Essi sono la vera causa della nostra tragedia.
Parliamo dei guerriglieri e delle milizie, sia sunnite che sciite, e della violenza settaria, che aumenta di giorno in giorno. Così come le vittime civili e le menzogne del governo, che pensa così di convincere il mondo che sta facendo il proprio dovere, che sta vincendo contro il terrorismo e che i terroristi stiano andando via dall'Iraq. Non si vergognano di se stessi? Gli unici che stanno scappando via dall'Iraq sono gli iracheni buoni ed onesti che non hanno più alcuna speranza in questo Paese. "Cosa vogliono i guerriglieri?", chiede un altro dottore. "Cosa hanno raggiunto dopo tutte queste esplosioni e dopo tutti questi morti?"
Io rispondo che non hanno raggiunto nulla che una persona sana consideri un obiettivo da raggiungere. Hanno reso questo Paese impossibile da vivere; hanno terrorizzato le persone, ucciso gli americani, ci hanno terrorizzati al solo pensiero di dover lasciare le nostre case. Hanno preso controllo dei quartieri della città dopo che le persone che ci vivevano li hanno abbandonati per salvare le proprie vite. Tutto è questo è un vanto per loro, ma non per una persona sana come voi o me. I guerriglieri sono stati sottoposti al lavaggio del cervello da parte degli estremisti religiosi; sono stati sottoposti a tentazione dai soldi che arrivano dall'Iran o da altri Paesi, oppure da quelli che loro stessi riescono ad ottenere grazie ai rapimenti ed agli altri crimini che compiono contro il loro stesso popolo.
Alla fine, siamo tutti d'accordo: gli unici perdenti sono i cittadini iracheni che vivono la propria vita onestamente. Per loro, la democrazia, la liberazione e la libertà sono solo miti. Tutto ciò che vogliono è vivere una vita normale.
Una volta tornato a casa da lavoro, prendo mia moglie e con lei mi reco, con un taxi, ad Adhamiya, il distretto dove vive il mio fratellastro. Normalmente passiamo giovedì e venerdì assieme a lui. Il tassista, come al solito, ha paura di entrare nel quartiere, così ci lascia all'ingresso di piazza Antar e da lì dobbiamo muoverci a piedi.
Mentre ci rechiamo verso casa del mio fratellastro, siamo spettatori di uno scontro a fuoco che avviene dinanzi a noi. Immediatamente ci rifugiamo in un vicolo. Mi ricordo molto bene cosa è accaduto la settimana scorsa: un cecchino della Guardia Nazionale Irachena ha cominciato a sparare verso di noi e ci ha costretto a nasconderci in un palazzo in rovina per quelle che ci sembravano ore. E' successo nella stessa strada, l'unica che porta verso Adhamiya. Le persone del luogo la chiamano la "strada della morte".
Alla fine riusciamo in qualche modo ad arrivare alla casa del mio fratellastro. Dopo cena, decidiamo di dormire al piano superiore, ma non appena la mia testa tocca il cuscino, sentiamo una enorme esplosione provenire dalla casa di fronte, seguita da spari di arma da fuoco tutto attorno, Scendiamo immediatamente al piano inferiore, dove è più sicuro stare, e cerchiamo di dormire sul pavimento. Passiamo così un'altra giornata a casa del mio fratellastro, tra esplosioni che sembrano non finire mai e continui spari di arma di fuoco, prima di decidere di tornare a casa sabato verso mezzogiorno.
Domenica è una giornata stupenda. Mia moglie ed io cuciniamo popcorn, ci beviamo la coca cola e vediamo alla tv la fine della coppa d'Asia, con la squadra irachena che alla fine batte l'Arabia Saudita 1-0 e si aggiudica il trofeo. Il mio quartiere esplode letteralmente dalla gioia. Spari di celebrazione ovunque. Perché nessuno fa attenzione a dove potrebbero finire i proiettili una volta che colpiscono il suolo? Due persone muoiono in questo modo, ed altre sei rimangono ferite.
Una volta che gli spari finiscono, esco per comprare delle sigarette. Sono impressionato da quello che vedo. Per la prima volta c'è unità. Le persone arrivano da Adhamiya, al-Saab ed al-Kahira e si incontrano all'intersezione della moschea di al-Nidaa. Stanno tutti celebrano la vittoria della nazionale irachena proprio dove gli altri giorni vi sono scontri, sangue e persone morte ovunque. Arriva anche un convoglio della Guardia Nazionale Irachena, con soldati che ballano sul tetto dell'Humvee. Io rido come un matto e mi sento per la prima volta sicuro da quando sono tornato in Iraq.
Torno di corsa a casa per prendere mia moglie e la fotocamera digitale. Ci richiediamo sulla via Palestina per vedere la folla e scattare foto. Ma mia moglie ha uno strano sguardo in faccia. "Tutte queste persone", afferma, "potrebbero attirare un attentatore suicida". Decidiamo perciò di tornare a casa.
Alla televisione la stessa notte veniamo a sapere: 16 persone sono morte e 66 ferite a Zaiona a seguito di un attacco terrorista; 10 persone sono morte ed un numero non identificato sono ferite a Mansor per lo stesso motivo di prima. In entrambi i casi sono morte persone innocenti mentre celebravano la vittoria della loro squadra di calcio. I terroristi non possono darci un giorno felice? E' troppo da chiedere anche questo? Possa Allah aver pietà della loro anima.
Il giorno successivo, altre decine di persone sono morte. Questa è la normalità. Siamo abituati a questo ormai. Le vite degli iracheni non valgono nulla; siamo solo numeri all'interno di notizie del telegiornale. Nel passato, gli iracheni si vestivano di nero per diversi anni per onorare un giovane morto. Piangevano per sempre. Ora non più. Ora seppelliamo i nostri morti al mattino e ci dimentichiamo di loro la sera.
Martedì, mia moglie ottiene il diploma della scuola dentale. E' andata molto bene. Sono così contento che ho voglia di sfidare il terrorismo e vivere per un giorno una vita normale. Decido così di guidare la mia auto e portare mia moglie a cena nell'unico ristorante degno di questo nome a Baghdad. Esco prima da lavoro, arrivo a casa e subito rimuovo i pannelli che coprono la mia auto, per la prima volta in un anno. E facendo questo, rimuovo anche la mia paura.
Oh, come mi mancava la mia BMW. Quando dico a mia moglie che stiamo per prendere l'auto, lei ha paura, ma la convinco che non accadrà nulla. E' solo un giorno, affermo. Per una volta, vivremo come persone normali. Io guido verso il ristorante e mi sento così felice ed impaurito allo stesso tempo. Ma arriviamo sani e salvi, sebbene sia stato fermato ad un checkpoint della polizia e mi sia stato chiesto di che setta faccio parte. Normalmente, chiedono dove abiti o dove ti stai recando, sono chiavi fondamentali per capire la tua setta di appartenenza, ma questa volta me l'hanno chiesto direttamente. Ho dovuto mentire, ma fortunatamente ho un nome neutrale che non è riferibile né ai sunniti né agli sciiti.
Per una sera stiamo benissimo. La cena è ottima. Ma molto dopo, quando finalmente torniamo a casa e vado a dormire alle 3 del mattino, dopo che il generatore di corrente del quartiere si ferma, la questione eterna torna di nuovo alla mia mente. Quando finirà tutto? Quando morirò?
The Washington Post
UNA SETTIMANA NELL’INFERNO IRACHENO
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