La saga delle armi da garantire al regime ucraino per sopravvivere all’offensiva russa si è arricchita in questi giorni dalle discussioni presumibilmente in corso in sede NATO per fornire a Zelensky aerei da guerra F-16 di produzione americana. In occasione del vertice dei G-7 a Hiroshima la questione è stata presa seriamente in considerazione dagli sponsor di Kiev, anche se, come per i precedenti equipaggiamenti promessi e poi consegnati, i dettagli dell’operazione devono essere ancora definiti. La caduta/liberazione definitiva nel fine settimana della città di Bakhmut/Artemovsk rende tuttavia ancora più dubbia l’utilità dei caccia realizzati da Lockheed Martin, il cui arrivo in Ucraina rappresenterebbe comunque una nuova ulteriore escalation delle provocazioni nei confronti di Mosca.

Zelensky implora da tempo l’invio di F-16 e, almeno ufficialmente, la richiesta era stata al centro dei recenti faccia a faccia tra il presidente ucraino e i leader di Italia, Francia, Gran Bretagna e Germania. Il nuovo oggetto del desiderio del regime neo-nazista di Kiev è diventato così un altro finto argomento di discussione in Occidente, con l’unico governo che conta in merito alle decisioni strategiche sull’Ucraina, ovvero quello americano, con ogni probabilità già convinto a dare il via libera al trasferimento dei velivoli.

 

La stessa farsa era infatti andata in scena nei mesi scorsi in occasione delle altrettanto finte discussioni, tra l’altro, sull’invio a Kiev di missili a medio/lungo raggio o carri armati da combattimento. Inizialmente, i vari leader NATO avevano escluso queste ipotesi, per poi mostrarsi a poco a poco più possibilisti e infine acconsentire in pratica senza riserve. Sembra esserci insomma alla Casa Bianca un piano sistematico per aumentare il livello dello scontro con la Russia dietro l’apparenza di decisioni adottate in risposta al variare delle circostanze.

Per alcuni, al contrario, l’escalation delle forniture di armi avverrebbe in conseguenza del peggioramento della situazione per le forze armate ucraine. Si tratterebbe cioè di iniziative disperate che USA ed Europa implementano per cercare di tenere in piedi una parvenza di resistenza, illudendo l’opinione pubblica occidentale della possibilità di ribaltare le sorti del conflitto. Resta il fatto che a Washington si era iniziato ad ammettere pubblicamente della possibilità di valutare l’invio di caccia a Kiev almeno dal luglio dello scorso anno.

Solo fino a poche settimane fa, a livello pubblico l’amministrazione Biden continuava però a escludere la possibilità di consegnare gli F-16 all’Ucraina. A febbraio, il presidente americano aveva affermato pubblicamente che Kiev non ne aveva bisogno. A marzo aveva addirittura aggiunto che l’invio di caccia e l’addestramento di piloti ucraini negli Stati Uniti avrebbero comportato il rischio di fare esplodere la “Terza Guerra Mondiale”. Anche nel caso degli F-16, il governo americano intende delegarne la consegna ad altri paesi, ma il fatto che l’autorizzazione debba comunque arrivare da Washington non cambia di molto la gravità della provocazione per Mosca.

Francia e Polonia sembrerebbero per il momento i paesi maggiormente disposti a fare questo passo, ma andranno valutate le contropartite che questi governi chiederanno in cambio, come ad esempio l’ottenimento di nuovi e più sofisticati velivoli in sostituzione di quelli ceduti a Kiev. Oltre venti paesi hanno attualmente in dotazione gli F-16, tra cui alcuni confinanti con l’Ucraina.

Per la Russia, la messa a disposizione di aerei da guerra al regime di Zelensky comporta, nelle parole del vice-ministro degli Esteri Aleksandr Grushko, “rischi colossali”. L’ambasciatore russo a Washington, Anatoly Antonov, ha a sua volta avvertito che questi ultimi sviluppi portano a un altro livello la questione del “coinvolgimento della NATO nella guerra” in corso. Potenzialmente, gli F-16 rappresentano d’altra parte uno strumento offensivo nettamente superiore, in grado di facilitare, sempre in teoria, attacchi in territorio russo.

In fin dei conti, anche gli F-16 farebbero poco o nulla per cambiare la direzione complessiva del conflitto. Il primo problema è l’adeguato addestramento di piloti ucraini. A febbraio, il sottosegretario alla Difesa USA, Colin Kahl, aveva sostenuto che sarebbero serviti dai 18 ai 24 mesi per preparare piloti e addetti alle manutenzioni, nonché per mettere assieme una quantità ragionevole di velivoli e recapitarli in Ucraina. Recentemente, fonti dell’aeronautica militare americana hanno ipotizzato che i tempi per il solo addestramento potrebbero essere ridotti a quattro mesi, ma l’utilizzo nel teatro di guerra difficilmente potrà avvenire prima del 2024. Sempre che gli F-16 non vengano distrutti dall’artiglieria russa prima ancora di alzarsi in volo.

Al di là di questi problemi logistici, gli esperti militari fanno notare che l’efficacia di velivoli come gli F-16 risulta trascurabile se le forze che ne dispongono non hanno, a livello generale, una superiorità aerea sul nemico. Una valutazione dettagliata dei problemi che il regime ucraino dovrebbe fronteggiare anche nel caso avesse in dotazione una flotta di F-16 l’ha proposta nel fine settimana il colonnello americano a risposo Daniel L. Davis sul sito Responsible Statecraft. Tra le problematiche identificate si possono citare le prestazioni ridotte in assenza di un sistema “integrato di comando e controllo” per la sorveglianza dello spazio aereo e la vulnerabilità in presenza di sistemi dei difesa anti-aerea russi come l’S-300 e, ancor più, l’S-400.

Nuovamente, dunque, allo studio sembra esserci un’azione coordinata dai paesi NATO che non inciderà sull’andamento della guerra, ma avvicinerà di un altro passo lo scontro diretto tra la Russia e l’Occidente. È allarmante anche il fatto che l’invio degli F-16 sia stato sdoganato quasi ufficialmente in contemporanea con il tracollo definitivo delle forze ucraine a Bakhmut/Artemovsk. Il peggioramento della situazione per Kiev, in altre parole, non comporta il riconoscimento della realtà sul campo da parte occidentale, con il conseguente impulso a una soluzione diplomatica, ma sollecita iniziative sempre più drastiche e pericolosamente dirette verso l’escalation con Mosca.

Addio a Bakhmut

Quest’ultimo atteggiamento pone un interrogativo preoccupante per il prossimo futuro, proprio alla luce delle notizie provenienti da Bakhmut/Artemovsk. L’evacuazione dei militari ucraini da questa località del Donbass potrebbe infatti aprire la strada a un’avanzata più rapida delle forze russe, a cui vanno aggiunti gli effetti devastanti del martellamento dell’artiglieria delle ultime settimane contro i depositi di armi e ciò che resta delle strutture difensive ucraine. Se ciò che attende il regime di Zelensky dopo Bakhmut/Artemovsk sono quindi altre disfatte, quali saranno le azioni che gli Stati Uniti decideranno di intraprendere e fino a dove arriverà la possibile ulteriore escalation?

Le domande appaiono più che legittime, dal momento che Biden e i suoi alleati si sono messi in una situazione nella quale risulta molto difficile fare passi indietro senza perdere la faccia o senza provocare l’esplosione delle tensioni all’interno della NATO, fino forse alla disintegrazione della stessa Alleanza, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero sul fronte della lotta per la conservazione della supremazia globale americana.

A Bakhmut/Artemovsk si è consumata comunque una débacle che potrebbe essere decisiva per le sorti del conflitto. Per mesi, il regime di Zelensky si era rifiutato di ritirare i propri uomini nonostante non vi fossero ormai prospettive di successo. Nel “tritacarne” in cui si era trasformata la cittadina, anzi, Kiev ha gettato migliaia e migliaia di soldati, esponendoli alla tattica paziente degli uomini della “Wagner” e al fuoco dell’esercito regolare russo. Il risultato sono state perdite gigantesche per l’Ucraina, tanto da rendere di fatto impossibile il lancio della decantata “controffensiva” in altri settori del fronte.

Malgrado la propaganda ucraina e occidentale abbiano fatto diventare la città di Bakhmut/Artemovsk un obiettivo secondario, la sua importanza strategica resta in realtà intatta. Lo sfondamento della linea difensiva di cui questa località era l’elemento chiave consente infatti alla Russia di puntare sugli avamposti successivi delle forze ucraine, ora più difficilmente difendibili sia per il minore livello di fortificazione che essi presentano sia per le perdite di uomini e mezzi subite nel “tritacarne” di Bakhmut/Artemovsk.

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