La visita appena conclusa in Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna del presidente ucraino Zelensky ha offerto l’ennesimo spettacolo degradante fatto di leader europei pronti a competere tra loro per garantire al regime di Kiev quante più armi possibili e, di fatto, prolungare un conflitto che rischia pericolosamente di scivolare in una conflagrazione continentale. La trasferta dell’ex comico è stata segnata ovunque da conferenze stampa e apparizioni sui media ufficiali che, come si è potuto tristemente osservare anche in Italia, hanno amplificato a dismisura la vergognosa propaganda filo-ucraina già in atto. Nell’immediato, l’obiettivo del viaggio a Occidente è stato ancora una volta di mendicare armi in previsione della fantomatica “controffensiva di primavera”, con particolare enfasi sugli aerei da combattimento per cercare di riguadagnare il controllo dei cieli ucraini finora saldamente nelle mani della Russia.

 

Al di là delle apparenze, è del tutto possibile che il pellegrinaggio di Zelensky si sia reso necessario per convincere i governi europei a non fare passi indietro sull’appoggio all’Ucraina, in concomitanza con il diffondersi di un crescente scetticismo circa le reali possibilità di Kiev di invertire le sorti del conflitto. Non è d’altra parte un caso che Zelensky abbia scelto di visitare le quattro principali potenze europee, nel tentativo appunto di tenere uniti i propri sponsor attorno alla linea dettata da Washington.

La musica suonata da Zelensky è stata alla fine la stessa degli ultimi mesi. L’attesa operazione militare che dovrebbe ricacciare indietro le forze russe non è ancora pronta e, perciò, altre armi convenzionali dovranno essere trasferite a Kiev, mentre gli alleati occidentali dovranno iniziare a valutare anche l’invio di caccia, possibilmente gli F-16 americani. Una delle tattiche impiegate da Zelensky è quella di alimentare i timori di un fallimento della “controffensiva”, facendo credere che una tale eventualità implicherebbe il disastro non solo per il suo paese, ma anche per l’intera Europa.

Per la stessa ragione, Zelensky spinge affinché all’Ucraina venga offerta ufficialmente una proposta per iniziare il percorso di una futura adesione alla NATO, magari in tempo con il vertice dell’Alleanza in programma a Vilnius il prossimo mese di luglio. Nonostante il delirio del segretario generale Stoltenberg, il quale recentemente ha sostenuto che in pratica tutti i membri concordano sul fatto che l’Ucraina entrerà prima o poi nel Patto Atlantico, sulla questione non esiste unanimità di vedute e rimangono anzi forti resistenze anche tra i principali sponsor di Kiev.

Un altro elemento rimasto sotto traccia durante la trasferta europea di Zelensky è la tendenza dei vari capi di governo a collegare le forniture di armi alle sorti della “controffensiva”. Anche se non viene evidentemente ammesso in maniera esplicita, un’eventuale fallimento delle operazioni in fase di preparazione raffredderebbe di molto l’entusiasmo occidentale per la (nazi-)democrazia ucraina; entusiasmo peraltro condiviso o, quanto meno, ostentato ormai quasi soltanto dalle classi dirigenti europea e americana.

La promessa di sostenere militarmente l’Ucraina “fino a quando sarà necessario” potrebbe insomma trasformarsi dall’oggi al domani in un appello al cessate il fuoco. I segnali si intravedono da qualche tempo e nei giorni scorsi dagli Stati Uniti è arrivata una timida indicazione della possibile intenzione americana di tenere aperta una via d’uscita diplomatica. Nel fine settimana, l’editorialista David Ignatius, notoriamente legato agli ambienti di intelligence USA, ha scritto per il Washington Post un commento dai toni insolitamente ottimistici sul recente vertice sino-americano di Vienna. L’articolo è apparso quasi contemporaneamente all’annuncio ufficiale dell’inizio della visita in Europa dell’inviato speciale cinese per esplorare la possibilità di un negoziato in Ucraina.

Anche se oggi questa prospettiva appare più come un’illusione, va tuttavia ricordato che lo stesso Zelensky si era mostrato possibilista a proposito della proposta di pace lanciata qualche tempo fa da Pechino. Il presidente ucraino aveva anche richiesto e alla fine ottenuto un colloquio telefonico con Xi Jinping, forse per sondare una possibile futura mediazione con Mosca.

Per il momento, i governi europei continuano a camminare sull’orlo del baratro. In Germania, il cancelliere Scholz ha prospettato il trasferimento di armi più sostanzioso dall’inizio della guerra. Il nuovo pacchetto dovrebbe valere circa 2,7 miliardi di euro e includerà, tra l’altro, 30 carri armati Leopard 1, 20 mezzi da combattimento di fanteria Marder, 18 cannoni Howitzer e 4 sistemi di difesa anti-aerea IRIS-T SLM.

Ogni nuova iniziativa di “assistenza” a favore del regime di Kiev sposta minacciosamente i confini della guerra verso la linea rossa tracciata da Mosca. Il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, ha ad esempio definito “del tutto normale” che, in uno scenario di guerra, il paese attaccante – ovvero l’Ucraina in caso di “controffensiva” – colpisca il territorio del nemico. In altre parole, anche ufficialmente l’Occidente sta iniziando a sdoganare attacchi in territorio russo.

Le parole di Pistorius hanno seguito di poco la notizia del lancio di due missili da crociera franco-britannici Storm Shadow contro la città di Lugansk, capitale dell’omonimo “oblast” annesso dalla Russia dopo il referendum dello scorso anno. Secondo Mosca, l’attacco avrebbe colpito due siti industriali civili, distanti, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, quasi 120 chilometri dalla più vicina postazione militare ucraina, ovvero al di fuori della portata dei missili americani HIMARS. Ciò conferma la disponibilità parte di Kiev di ordigni in grado di raggiungere quasi certamente la Crimea e probabilmente i confini russi riconosciuti internazionalmente.

Proprio mentre Zelensky stava incontrando a Londra il primo ministro britannico, Rishi Sunak, Mosca ha inoltre annunciato l’abbattimento di un missile Storm Shadow nei cieli ucraini. Questi sviluppi sollevano forti preoccupazioni per una possibile escalation e confermano l’inconsistenza delle rassicurazioni del regime ucraino, ufficialmente intenzionato a evitare attacchi in territorio russo. Simili incursioni sono infatti già avvenute e recentemente la pubblicazione di alcune intercettazioni ha rivelato come Zelensky in più occasioni nei mesi scorsi si fosse lamentato con i propri generali per la carenza di missili a lungo raggio per raggiungere obiettivi oltre il confine russo.

Sempre durante la tappa di Londra, Zelensky ha fatto passi avanti sul fronte degli aerei da guerra. Dopo essere stato il primo paese a fornire all’Ucraina missili a lungo raggio, la Gran Bretagna ha promesso il massimo impegno per far pervenire a Kiev i caccia richiesti. Sunak ha auspicato una “coalizione dei jet” e prospettato il lancio di un programma di addestramento per militari ucraini destinati a pilotare gli F-16, cioè i velivoli per i quali Zelensky avrebbe espresso interesse.

Il controllo dei cieli è, come già anticipato, un fattore chiave negli equilibri del conflitto e la netta supremazia russa sta creando enormi problemi alle forze armate ucraine. Senza una copertura aerea risulta di fatto impossibile lanciare e, soprattutto, sostenere una controffensiva. Inoltre, nella situazione attuale la Russia continua a bombardare quasi senza impedimenti non solo le infrastrutture e i centri logistici ucraini, ma anche i depositi di armi ed equipaggiamenti militari provenienti dall’Occidente e destinati ad alimentare la “controffensiva”.

L’efficacia di questi preparativi dell’Ucraina e dei paesi che la sostengono rimane ad ogni modo in fortissimo dubbio. Una componente enorme della campagna in corso per rinforzare le potenzialità offensive di Kiev è infatti pura propaganda che serve in primo luogo a perpetuare una situazione nella quale l’Occidente alimenta per i propri obiettivi strategici l’illusione della sconfitta russa e, a sua volta, il regime di Zelensky cerca di rimandare il momento del tracollo definitivo, dirottando nel frattempo a proprio favore una parte del gigantesco flusso di armi e denaro inviati da Europa e Stati Uniti.

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