A pochi giorni dall'abbattimento di due droni sul tetto del Cremlino, né gli ucraini né i loro padroni politici (Regno Unito e Stati Uniti) hanno rivendicato la responsabilità dell'azione. Esistono tre versioni dell'accaduto: quella ucraina, che, come per i precedenti attacchi, nega e indica negli oppositori di Putin i responsabili; quella statunitense, che ribadisce l'estraneità della Casa Bianca; quella russa, che accusa Stati Uniti e Ucraina di aver cercato di assassinare il presidente Vladimir Putin.

La versione ucraina non sorprende: segue pedissequamente lo stesso copione già utilizzato in precedenti attacchi "non supportati" da parte statunitense. Basti ricordare quello al ponte di Crimea, l'assassinio di Darya Dugina e - cosa strategicamente più significativa - il sabotaggio del gasdotto North Stream. Per ognuno di questi attacchi, la macchina propagandistica della NATO, cioè l'intero mainstream occidentale, ha cercato di trasmettere la presunta responsabilità diretta della Russia: e così Dugina è stata uccisa da presunti avversari di suo padre, il gasdotto è stato sabotato per dispetto e ora i droni sul Cremlino sarebbero opera degli oppositori di Putin. Insinuando così che siamo tutti idioti e che i russi, oltre a essere incapaci di difendersi, siano autolesionisti.

 

L'attacco al Cremlino è stato seguito da un altro attacco, questa volta ad un altro scrittore, Zakhar Prilepin, ex combattente russo nel Donbass e sostenitore di Putin e dell'Operazione in Ucraina. Il suo autista è stato ucciso, Prilepin è rimasto ferito. Il metodo ricorda quello più comunemente usato dal Mossad e ripete l'attacco in cui è stata uccisa Darya Dugina, con un ordigno esplosivo telecomandato collocato sotto l'auto della vittima.

La data dell'attacco al Cremlino non era casuale: si è alla vigilia delle celebrazioni del 9 maggio, data in cui la Russia celebra la vittoria sovietica contro il nazismo che Zelensky in Ucraina ha appena abolito, insieme al 1° maggio. La speranza di Kiev era di indurre Mosca a ritirare le celebrazioni, avrebbe ottenuto un buon risultato politico-propagandistico.

Anche questo obiettivo è stato mancato. Il 9 maggio si terranno le solite celebrazioni sulla Piazza Rossa, perché la data non ha solo un valore storico e politico ma anche simbolico, visto che la Russia di oggi, come l'Unione Sovietica di ieri, difende la propria integrità, mentre l'Ucraina di oggi aderisce molto al disegno politico di Stephan Bandera, l'uomo forte del nazismo ucraino mai placato.

Per tornare all’attentato, il buon senso dice che la versione russa è l'unica credibile, quella occidentale appare come un pacchetto propagandistico privo di senso e credibilità. L'obiettivo dei droni non era raddrizzare le antenne sui tetti del Cremlino, l'obiettivo era colpire il presidente o, perlomeno, trasformarlo in possibile bersaglio, mandare un segnale diperforabilità della Russia. La logica e la ragionevolezza suggeriscono che l'attacco sia stato opera della stazione locale della CIA o dell'MI-5 a sostegno delle unità dell'SBU di Kiev. In breve, è credibile che si sia trattato di una covert action condotta con l'approvazione di Langley.

Del resto, l'unica certezza ad oggi è la completa e totale subordinazione politica e militare dell'Ucraina alla NATO: che Kiev possa pianificare ed eseguire una simile operazione senza il consenso, il sostegno operativo e la copertura politica di Washington, è surreale. L'attribuzione della presunta autonomia ucraina dalle decisioni statunitensi è solo un modo per proteggere gli Stati Uniti da una risposta russa simmetrica e per non svelare al mondo intero i loro veri interessi in questa guerra.

 

Lo scopo degli attacchi

Gli attacchi hanno molteplici scopi, sia di propaganda che di strategia politica. Intanto, servono a rassicurare il club dei donatori (sempre meno numeroso e sempre meno entusiasta) sul fatto che Kiev può resistere e forse un giorno vincere, facendo sembrare così gli aiuti finanziari e militari dei paesi NATO come utili e non inutili.

Ma l'aspetto più importante è quello della strategia politica: in assenza di risultati militari accettabili in territorio ucraino, con una controffensiva che è ormai un intercalare dialettico, la serie di attentati indica come la strategia militare della NATO preveda di riequilibrare le difficoltà in Ucraina con il continuo ricorso al terrorismo all'interno della Russia.

La valutazione di Langley e della Casa Bianca è questa: per sconfiggere i russi, bisogna costringerli a ritirarsi dall'Ucraina, almeno dal Donbass, il che consentirebbe a Kiev di dire che ha respinto l’invasione. Poiché Putin non è affatto disposto a ritirarsi, la CIA ritiene che un cambio di guardia al Cremlino sia l’unica strada percorribile per uscire senza una nuova sconfitta dopo Afghanistan e Siria.

Come? Langley traccia due scenari: il primo prevede la rinuncia di Putin come risultato di una cospirazione manovrata da oligarchi, settori dell'intelligence e delle forze armate con ambizioni di potere. La CIA e i servizi occidentali ci stanno lavorando da tempo ma con scarso successo.

La seconda ipotesi ricalca lo schema classico dei "colpi di Stato morbidi" e punta sul malcontento popolare e sulla pressione di strada anti-governativa. Dato che è impossibile convincere i russi su posizioni di principio che non siano nazionaliste, e dato che l'Occidente ha chiarito che il suo intento è la disintegrazione della Russia, l'unica strada che Langley vede per destabilizzare Mosca è quella di costruire un clima di terrore che porti alla disintegrazione del consenso popolare verso Putin. L'obiettivo è generare caos e instabilità politica, un malcontento popolare che porti a proteste immediate o, comunque, a una sconfitta elettorale di Putin nelle elezioni del 2024.

Tra i vari limiti di questa strategia ci sono i precedenti storici. È una strada già percorsa in passato, da ultimo dai ceceni: ha ottenuto l'effetto opposto e ha permesso al presidente russo appena insediato di spazzare via la guerriglia islamica cecena e di radere letteralmente al suolo la capitale Grozny.

 

Il terrorismo dei "buoni”

Per i media occidentali, la denuncia della Russia del tentativo di assassinio del suo presidente sembra un eccesso: l'eliminazione diretta di un capo di Stato o di governo è, per prassi, esclusa tra le grandi potenze. Almeno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando con l'abolizione delle monarchie si pensava che il regicidio non avesse giustificazioni e che la continuità istituzionale delle nazioni andasse salvaguardata contro il caos internazionale. Ma è davvero così?

Come per gli impegni a non espandere l'Alleanza Atlantica oltre i parametri del 1989, come per gli accordi sulle testate balistiche a medio e corto raggio o sulla sicurezza dei voli e molti altri ancora, anche in questo caso gli Stati Uniti hanno assunto il classico comportamento di aderire in teoria e rinnegare in pratica, cioè dire una cosa e fare il suo contrario.

L'eliminazione fisica di capi di Stato o di governo o di leader politici scomodi è, per gli Stati Uniti, una pratica ricorrente; è parte integrante della loro politica di annientamento di figure che, per carisma e popolarità, sono in grado di radunare attorno a sé forze significative e indirizzarle in contrasto con gli interessi USA.

Il tentativo di assassinare Putin, infatti, non è che l'ultima delle operazioni terroristiche con cui Washington lavora ai cambi di regime, a diverse latitudini ma con un unico obiettivo: quando possono eliminano fisicamente i leader dell'opposizione al dominio USA, siano essi civili o militari, qualunque sia l'area in cui operano, quale che sia il contesto politico. Dal generale Omar Torrijos a Panama, a Samora Machel in Mozambico, al generale iraniano Soleimani, l'eliminazione dei leader nemici è pratica a cui gli Stati Uniti ricorrono. A volte la delegano ai loro alleati nei vari Paesi quando sono meglio posizionati sul terreno (il caso di Muammar Gheddafi appaltato a Parigi o Salvador Allende in Cile) e in altri casi lasciano che siano gli organismi internazionali allo scopo costituiti a svolgere la pratica congiuntamente all’occidente collettivo, come fu per Saddam Hussein e Slobodan Milosevic. Anche l’attuale Presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, è stato bersaglio di attacchi con i droni nel 2018, fortunatamente non andati a buon fine, per non parlare delle centinaia tentati contro Fidel Castro.

Pensare che Putin possa essere eliminato dalla scena internazionale sembra una chimera ed un serio errore nello stesso tempo. Piaccia o no, sarà con Putin che gli Stati Uniti e l'Unione Europea dovranno fare i conti se vogliono che almeno alcuni ucraini e l'Ucraina sopravvivano.

L'Occidente dovrà trattare con Putin ma lui tratterà a tempo debito con gli Stati Uniti e nessun altro. Dopo tutto, chi tratta con il pagliaccio quando può trattare con il proprietario del circo?

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