Nella giornata di mercoledì, il presidente delle Filippine, Ferdinand Marco jr., è sbarcato in Giappone con l’obiettivo di rafforzare i rapporti bilaterali nell’ambito della “sicurezza”. Sullo sfondo del vertice tra i leader di due paesi apparentemente sovrani ci sono gli Stati Uniti e le loro manovre di accerchiamento della Cina. Prima della trasferta a Tokyo, infatti, il figlio dell’ex dittatore filippino aveva sottoscritto con il capo del Pentagono, Lloyd Austin, un importante accordo di cooperazione militare ugualmente diretto contro la Cina. Fuori dalle discussioni sia a Manila sia a Tokyo è rimasta però la questione dei rischi a cui entrambi i paesi andrebbero incontro se dovessero restare coinvolti, nel prossimo futuro, in un conflitto diretto tra Washington e Pechino.

 

L’ambasciatore americano in Giappone, Rahm Emanuel, ha individuato in maniera puntuale il significato degli eventi dell’ultima settimana in Asia orientale. Per l’ex capo di gabinetto di Obama, ciò che è andato in scena sull’asse Manila-Tokyo sarebbe un “contributo determinante all’allineamento strategico della regione”, a suo dire come fattore di “deterrenza” nei confronti della Cina, ma in realtà a favore degli interessi e degli obiettivi degli Stati Uniti.

Per quanto riguarda il Giappone, il governo del primo ministro Fumio Kishida negli ultimi mesi ha finalizzato accordi simili di collaborazione militare con altri alleati chiave di Washington, come Gran Bretagna e Australia. Il dinamismo di Tokyo si inserisce nel processo di militarizzazione che la classe politica nipponica cerca da tempo e che ha trovato terreno fertile in questa fase storica segnata dall’inasprimento della rivalità sino-americana. L’intesa con Marcos jr. potrebbe ora consentire al Giappone di operare militarmente nelle basi e nei porti delle Filippine, anche se questo aspetto della partnership sarà affrontato in maniera graduale. Per il momento, i due presidenti intendono preparare il terreno siglando un accordo nell’ambito della gestione di emergenze “umanitarie”.

Decisamente in una fase più avanzata è invece la partnership in chiave anti-cinese tra gli USA e la loro ex colonia asiatica. Settimana scorsa, come già anticipato, i due paesi hanno ratificato la “piena implementazione” del cosiddetto “Enhanced Defense Cooperation Agreement” (EDCA), ovvero un accordo “rinforzato” in tema di “difesa” sulla base di un documento sottoscritto durante l’amministrazione Obama nell’agosto del 2014. I quasi nove anni di attesa sono dovuti alla sospensione unilaterale del trattato nel 2016 da parte dell’allora presidente filippino, Rodrigo Duterte.

Lo stop alla cooperazione militare con gli USA rientrava nel quadro del rimescolamento delle priorità strategiche di Manila decise dal predecessore di Marcos jr. Duterte aveva privilegiato le relazioni con la Cina, causando un sensibile peggioramento di quelle con Washington. Questa scelta aveva prodotto conseguenze destabilizzanti per l’amministrazione Duterte sul fronte interno, con l’opposizione politica e i vertici militari impegnati a fare pressioni per preservare l’alleanza con gli Stati Uniti.

Infatti, prima della fine del mandato presidenziale, Duterte era tornato sui suoi passi riautorizzando le “visite” delle forze armate USA alle basi filippine e aprendo nuovamente le trattative per il completamento dell’EDCA. L’attuale presidente Marcos jr., da parte sua, durante la campagna elettorale dello scorso anno aveva prospettato una politica estera pragmatica sulla linea di Duterte, ma una volta insediatosi ha optato per il sostanziale allineamento alle posizioni americane.

In linea generale, le Filippine cercheranno di evitare rotture con Pechino, sia per salvaguardare i propri interessi economici e commerciali sia per non correre il rischio di uno scontro militare rovinoso. Di questa attitudine ne è testimonianza tra l’altro la visita di Marcos jr. in Cina nel mese di gennaio, ma nel clima sempre più infuocato della regione, a causa delle iniziative ultra-provocatorie di Washington, risulterà complicato mantenere un approccio equidistante nei confronti delle due superpotenze.

Concretamente, l’EDCA prevede investimenti di oltre 80 milioni di dollari per le cinque basi militari in territorio filippino già individuate dall’accordo stesso. Due di queste strutture sono molto vicine a isole contese tra Manila e Pechino nel Mar Cinese Meridionale, dove negli ultimi anni le dispute sono state alimentate pericolosamente dagli USA. Inoltre, verranno selezionate altre quattro nuove basi dove potranno operare i militari americani. La posizione di queste ultime non è ancora stata resa nota. Fonti militari filippine hanno tuttavia anticipato che Washington potrebbe optare per località situate nelle province più settentrionali del paese-arcipelago, situate a poche centinaia di chilometri dalle coste di Taiwan.

I due alleati valuteranno anche pattugliamenti congiunti nelle acque contese del Mar Cinese Meridionale, mentre già in precedenza era stato deciso un aumento considerevole del numero di “esercitazioni” militari. In una prospettiva più ampia, come ha spiegato un articolo pubblicato sul sito della BBC, grazie all’EDCA Washington disporrà di fatto di basi che rappresentano “un posto in prima fila per monitorare Pechino nel Mar Cinese Meridionale e attorno a Taiwan”. L’accordo consente così agli USA di “disegnare un arco attorno alla Cina”, grazie alla presenza militare americana – in una forma o nell’altra – oltre che nelle Filippine, a Taiwan, in Giappone e in Corea del Sud.

In questa prospettiva, è sufficientemente chiara la natura delle accuse rivolte quotidianamente alla Cina di costituire una minaccia per la regione estremo-orientale. Al di là della propaganda, le manovre americane puntano a creare una presenza militare lungo il fianco orientale della Cina, dal Giappone fino appunto alle Filippine. L’analista russo Timur Fomenko in un articolo proposto dal sito del network RT ha spiegato che “la vittoria o la sconfitta nella guerra tra USA e Cina dipenderà dal dominio di quest’area” ed è per questa ragione che Washington sta mostrando una crescente aggressività a proposito sia di Taiwan sia del Mar Cinese Meridionale.

Nel testo dell’EDCA appena firmato da Marcos jr. e Austin ci sono in ogni caso una serie di condizioni imposte dagli Stati Uniti che fanno carta straccia della Costituzione filippina, la quale vieta l’istituzione di basi militari straniere in assenza di un voto dei due terzi del Senato. Per superare l’ostacolo, l’accordo parla di presenza militare “a rotazione”, con un espediente consolidato utile anche a superare le resistenze diffuse tra la popolazione filippina. Fino al 1991, gli Stati Uniti avevano accesso a una serie di basi in questo paese, ma un voto del Senato filippino in quell’anno, sull’onda di una lunga serie di scandali e violenze che avevano coinvolto i militari americani, ne decretò la chiusura.

Il ritrovato accesso alle basi nel territorio delle Filippine permetterà dunque alle forze armate USA di dispiegare un numero virtualmente illimitato di soldati, tutti esclusi dalla giurisdizione locale in caso di reati o controversie. I militari americani potranno inoltre impedire l’accesso di personale filippino nelle strutture di fatto occupate. Non verranno poi corrisposti canoni di affitto per l’utilizzo delle basi e, nel caso il contingente USA dovesse abbandonarle, il governo di Manila dovrà rimborsare il Pentagono delle eventuali migliorie apportate alle strutture.

L’aspetto più delicato resta però la realtà che attende le Filippine, così come il Giappone o Taiwan, nel momento in cui dovesse esplodere la guerra tra Cina e Stati Uniti. Questi paesi si ritroverebbero esposti a conseguenze rovinose per avere scelto di contribuire al soddisfacimento delle mire strategiche americane. Anche se un conflitto aperto dovesse essere evitato, decisioni come quella appena presa da Marcos jr. alimenteranno comunque le tensioni in Asia orientale e mettono seriamente a rischio le relazioni commerciali con Pechino, diventate ormai l’elemento più importante per le economie di molti paesi in quest’area.

Per quel che riguarda il governo americano, accordi come quello di settimana scorsa nelle Filippine sono puntualmente accompagnati da dichiarazioni rassicuranti. Gli Stati Uniti, con la loro presenza militare in aumento, pretenderebbero cioè di assicurare la difesa degli alleati dall’aggressività cinese. In realtà, l’impegno di Washington è unicamente per i propri interessi e per la difesa di una declinante egemonia globale, senza il minimo interesse per la stabilità e la sorte dei paesi coinvolti.

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