Si è da poco concluso il Foro di Davos, che anche quest’anno ha riunito i poderosi circondati da quelli che sperano ancora di esserlo. La conta di chi non c’era ha superato quella del chi c’era, l’incontro comincia a diventare demodé. Sono arrivati su jet privati ed hanno soggiornato nel lusso, masticando ogni ben di dio: ma ricette economiche diverse di fronte a scenari decisamente diversi non ne sono arrivate e, come era prevedibile, il summit dell’establishment globalista ha solo estromesso i russi come le consorterie internazionali palesi ed occulte domandano.

L’aspetto che emerge dalla riunione sulle montagne svizzere è  indifferenza ai dati e ai numeri che smentiscono le tesi faziose e strampalate dell’establishment occidentale, che ha tenta di trasformare in una sua straripante vittoria la peggiore crisi economica, politica, concettuale e militare della pur breve storia del globalismo.

 

Cominciamo dalle previsioni catastrofiche lanciate sulla Russia un anno fa e che si sono rivelate ridicole. L’imperizia previsionale dell’Occidente è nota sin dai tempi della crisi del 2008, ma i vaticini sulla Russia si sono rivelati per quello che erano: un imbarazzante esempio di furori ideologici forniti con trionfalismo isterico, e non analisi economico-finanziarie attendibili. Prevedevano il crollo del 15-20 del PIL russo, con conseguenti difficoltà di approvvigionamento dei beni di prima necessità e malcontento diffuso della popolazione che avrebbero accompagnato la disfatta militare in Ucraina.

Sottostimare la Russia è stato il peggiore degli errori di valutazione dei cosiddetti think tank finanziari. Non si è prefigurata la sua capacità di spostare in pochi mesi i suoi scambi commerciali quasi completamente verso Oriente, riorganizzando in corsa quasi tutto il suo import/export e le sue relazioni politiche e finanziarie. Infatti, pur in una condizione di totale blocco di relazioni economiche, commerciali e finanziarie con l’intero Occidente, pur in presenza di furti reiterati di centinaia di miliardi di Dollari ed Euro depositati presso le banche occidentali, e sebbene in una guerra che comporta sacrifici umani, finanziari e tecnologici, il Pil della Russia dal gennaio al novembre 2022 è sceso solo del 2,1%.
Alla sottovalutazione della Russia si è aggiunta una sopravvalutazione dell’Occidente e dell’impatto delle sue sanzioni, rivelatasi matite spuntate sul disegno imperiale. Certo, Mosca ha venduto meno gas ma per buona parte dell’anno scorso lo ha fatto a prezzi decisamente più alti, grazie allimpennata del costo dell’energia sui mercati mondiali che ha compensato la riduzione delle quantità esportate. E’ la UE che ha speso molto di più per avere molto meno gas e la dipendenza da Mosca si è solo trasformata in dipendenza dagli Usa e da diversi altri fornitori minori.

Il deficit pubblico della Russia, che Ue e USA prevedevano sarebbe esploso, è pari al 2,3% del suo Pil, cioè inferiore a quello degli Stati Uniti e di tutti i paesi membri della UE. Paradossalmente proprio le sanzioni impediscono alla Russia di indebitarsi presso i mercati finanziari occidentali, e così la Russia ha un deficit pubblico sotto controllo.

E’ ormai acclarata l’irrilevanza delle sanzioni occidentali sulla disponibilità di beni di consumo in Russia. Del resto, ogni embargo, anche quello tecnologico, può essere aggirato. Dunque l’economia russa, per quanto impoverita, non dà segni di penurie drammatiche o di caos come invece accadde durante la crisi degli anni Novanta quando gli USA, attraverso Eltsin, governavano la Russia da remoto.

Indifferenti all’embargo, le merci occidentali arrivano attraverso gli altri stati confinanti. Pecunia non olet; l’interesse economico prevale sullo scontro politico e molte aziende occidentali vendono ai paesi confinanti i loro prodotti, sapendo che finiranno ai consumatori russi, con tanti saluti all’embargo. Per non parlare della Turchia, che ha nella prospettiva di divenire l’hub del petrolio russo in Europa l’obiettivo primario e vede un suo ruolo nella mediazione diplomatica tra Mosca e Kiev di primaria importanza per il suo ruolo politico internazionale.

Insomma l’annunciato crollo russo non c’è stato né vi sarà. Ma se a Mosca la situazione economica non desta particolare preoccupazione, lo stesso non può dirsi dei suoi nemici, a cominciare da Kiev e per finire a Washington.

L’economia ucraina ha subito un crollo del 33%, secondo le stime più prudenti. A ciò va aggiunta la sostanziale distruzione del paese e il fatto che le regioni più redditizie del suo territorio sono sotto il controllo russo. L’Ucraina è in bancarotta ed è, ormai, il paese più indebitato del mondo: debito che, in ragione del suo PIL, non potrà mai saldare. Dunque a Stati Uniti ed UE non resta che prefigurare a proprio conto la cancellazione dell’enorme debito ucraino una volta che il conflitto si sarà fermato, con ripercussioni sulla bilancia dei pagamenti di USA e UE, già inguaiate per conto loro.

 

Gli USA e il rischio default tecnico

Gli Stati Uniti sono in uno stato di bancarotta virtuale per lo scontro fra la Camera a maggioranza repubblicana e la Casa Bianca. Il governo è soggetto ogni anno a un tetto massimo di indebitamento: l’ultimo era stato fissato a 31.400 miliardi di dollari ed è stato raggiunto. Il debito è di 31.400 miliardi di dollari, pari al 130% del Pil, il doppio rispetto alla media storica verificata dal 1940 al 2022 che era del 65% in proporzione al Pil. Inoltre con Biden l’inflazione è esplosa (con un picco del 9% a metà dell’anno scorso, oggi al 6,5%). Per continuare a indebitarsi, serve il permesso dal Congresso che ha l’ultima parola in fatto di leggi di bilancio. Ma se al Senato i Dem sono ancora maggioranza, la Camera è repubblicana e questi si rifiutano di votare un tetto più alto. Vogliono che Biden negozi con loro tagli alla spesa pubblica.

La ministra del Tesoro, Janet Yellen, ha annunciato misure straordinarie per continuare a pagare stipendi pubblici, pensioni e interessi sui titoli di Stato. Si sono fermati gli accantonamenti indispensabili per alimentare i fondi pensione dei pubblici dipendenti e arriveranno altre misure, più stringenti e dolorose, se lo stallo continuerà. Troveranno un accordo, la questione sarà il prezzo politico che Biden per quell’accordo dovrà pagare.

C’è poi un aspetto per certi versi ancora più importante. Uno dei pilastri degli Stati Uniti è quello monetario. Si parla di “dittatura del Dollaro” perché è valuta universale e i Buoni del Tesoro emessi da Washington sono il titolo più accettato. Questo dà agli Stati Uniti una capacità di spesa e di indebitamento quasi illimitata, perché ci sarà sempre chi gli finanzia nuovi debiti acquistando i suoi Titoli (su cui però poi gli USA dovranno pagare interessi). Dunque più paesi comprano titoli, più ossigeno arriva all’agonizzante economia USA. E qui si registra un paradosso: le sanzioni USA a così tanti paesi cominciano a pesare, perché tagliare fuori dal circuito del dollaro i paesi nemici (soprattutto Russia e Cina) che sono storici acquirenti, impedisce anche la vendita dei loro titoli di risparmio.

L’anno scorso gli interessi pagati sui titoli Usa in circolazione avevano raggiunto i 576 miliardi di dollari e sarà ancora peggio quest’anno per effetto del rialzo dei tassi. E qui sta un ulteriore paradosso: i rialzi, decisi dalla Federal Reserve per limitare l’inflazione ed aiutare l’economia USA, colpiscono proprio gli USA aumentando il valore degli interessi passivi che devono pagare sui Titoli emessi. Così che la mistica ultra monetarista, che accetta qualunque sciagura socioeconomica e teme solo l’inflazione, colpisce il tempio del liberismo.

Ove il Tesoro non pagasse gli interessi sui titoli pubblici in circolazione, gli USA diverrebbero insolventi ed andrebbero in default tecnico, che mai si sarebbe immaginato potesse essere anche solo un rischio per gli Stati Uniti.

In questo contesto l’ennesimo piano di aiuti militari all’Ucraina rischia di andare ad aggravare ulteriormente il bilancio, perché se è vero che la vendita di materiale bellico produce ricchezza per gli USA, è altrettanto chiaro come Kiev non può pagare adesso e non è detto che possa farlo successivamente.

Insomma ad incrociare i dati sulle rispettive economie sembra che in guerra ci siano gli USA e non la Russia. Nel frattempo le truppe di Putin conquistano altro territorio ucraino e gli USA devono chiedere a polacchi ed europei, entrambi ormai con i magazzini bellici semivuoti, di mettere mezzi, soldi e soldati per una guerra tra NATO e Russia. Che solo agli USA serve, ma che proprio gli USA non sanno combattere e tanto meno vincere.

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