di Carlo Benedetti

Come volevasi dimostrare: l’Ucraina riprende la bandiera della protesta e scende di nuovo in piazza. Le divisioni sono quelle tradizionali caratterizzate da una escalation di intimidazioni. Da un lato il presidente filo-occidentale Viktor Yushenko e, dall’altro, il premier Viktor Janukovic espressione dell’ala filo-russa del paese. Si erano già scontrati – duramente – nel corso delle elezioni del 2004 quando i risultati andarono a favore di Janukovic, ma lo sfidante Yushenko denunciò brogli chiedendo ai suoi sostenitori di continuare la protesta. Poi, in un clima di sfascio delle istituzioni, una sorta di tregua: una guerra fredda patrocinata da Mosca e caratterizzata da un intreccio senza eguali di politica e affari. Ora con l’annuncio che Putin nel 2008 lascerà il suo posto al Cremlino l’Ucraina comincia a preoccuparsi per il futuro. Prevede un disastro politico-diplomatico e la messa in discussione dei risultati raggiunti con Mosca. E così comincia anche a Kiev la transizione che si caratterizza subito con un’atmosfera da golpe. Torna sulla scena quel colore arancione che caratterizzò la rivoluzione ucraina. Ma ecco cosa sta avvenendo in queste ore che rivelano anche implicazioni drammatiche. Il presidente Yushenko decreta lo scioglimento della “Rada” (il Parlamento locale) ammettendo di non reggere più la difficile e contrastata coabitazione con il premier Janukovich e con l’opposizione di Julija Timoshenko, la “Pasionaria” che fu una delle principali artefici della rivoluzione arancione. E il documento presidenziale fissa per il 27 maggio le elezioni legislative anticipate. Chiara la protesta e la reazione. Ricomincia così, al vertice di Kiev, un pericoloso braccio di ferro. Ma c’è subito un tentativo per un compromesso, perché il premier attuale chiede al Presidente di annullare il suo decreto sullo scioglimento ed avviare un tavolo di trattative forte anche del fatto che il Parlamento vota - 262 deputati su 450 - una risoluzione che respingendo la manovra presidenziale la definisce come un passo verso un colpo di Stato. E, di conseguenza, viene anche vietato lo stanziamento dei finanziamenti necessari alla campagna elettorale.

La situazione di Kiev, di conseguenza, allarma anche la vicinissima Russia sempre sensibile alle pozioni del premier Ianukovich. Tanto che il ministero degli Esteri del Cremlino invita le forze politiche ucraine a trovare una soluzione di compro¬messo avvertendo anche che quella che si è già combattuta e che si continua a combattere è una guerra tutt’altro che rituale. Ma mentre si parla di un eventuale incontro tra i due personaggi della vita ucraina sono già migliaia e migliaia i sostenitori del Governo Ianukovic e della maggioranza parlamentare che affluiscono attorno all'edificio della “Rada” per esprimere il loro sostegno all'Esecutivo e protestare contro lo sciogli¬mento dell’Assemblea.

A Kiev si teme, quindi, una nuova esplosione. E l’atmosfera è, appunto, quella di un golpe. Con la centrale piazza Maidan (che fu teatro nell'autunno-inverno del 2004 della “Rivoluzione arancione”) che ripropone una coalizione antirussa e filoccidentale. Tutto questo avviene mentre alcuni fedelissimi dell’ex premier Julia Timoshenko, circondano la sede della Commissione elettorale centrale, per prevenire la sostituzione dei membri: i deputati della maggioranza hanno, infatti, deciso di congelare il lavoro della Commissione, dopo che il decreto presidenziale di scioglimento delle camere aveva indetto per il 27 maggio nuove elezioni. Ma alle forze messe in campo dalla Timoshenko giunge anche la notizia che su Kiev stanno marciando dalle province orientali del paese migliaia e migliaia di sostenitori di Ianukovic.

Il quale, comunque, non molla. Afferma che il Gover¬no e la “Rada” proseguiranno nel loro lavoro fino al pronunciamento della Corte. L’attuale premier punta sulla Corte Costituzionale che dovrebbe decidere sulla legittimità o meno del decreto presidenziale. E si sa che i giudici hanno cinque giorni di tempo per emettere una sentenza. Intanto il Premier, forte anche della vecchia guardia filo-russa, definisce come «un tentativo di usurpare il potere» la decisione del rivale Yushenko.

Si tornano così a ripercorrere le tappe della crisi e ad avanzare nuove previsioni. Tutto era cominciato quando si era registrato un riavvicinamento fra i due protagonisti dell'incruenta ”Rivoluzione arancione”, Viktor Yushenko e Yulia Tymoshenko, e dopo che undici deputati erano passati dalla parte del Premier filo-russo Ianukovic. In precedenza, alla fine dello scorso gennaio, il ministro degli Esteri, Boris Tarassiuk (filo-occidentale come il Presidente), si era dimesso in aperto dissenso con la linea del Premier (filo-russo) sul processo di integrazione dell'Ucraina nell'Alleanza Atlantica.

Ma su tutta la crisi attuale pesa la grande incognita delle forze militari. A Kiev circolano con sempre maggiore insistenza voci relative alla fedeltà dell’esercito al Presidente. E in tal senso si pronuncia il ministro della Difesa Anatoly Grytsenko, il quale però non tiene conto del fatto che la coalizione guidata da Ianukovic sta preparando anche la sua sostituzione. Se questo avverrà vorrà dire che potrebbe verificarsi anche una scissione in senso allo Stato Maggiore, senza tener conto che dalla parte di Ianukovic c’ è tutta la forza del complesso militare-industriale e di quelle regioni orientali caratterizzate da una forte presenza operaia. Si delinea, comunque, una nuova e difficile situazione istituzionale. E tutto avviene mentre lo status economico del paese si fa difficile, complesso. L’ingegneria politica dell’Ucraina, tra l’altro, non offre altre soluzioni. Ci sono due ucraine che concentrano analoghi poteri. Ma sono pur sempre due. Due culture, due tradizioni, due orientamenti.


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