L’inizio dell’improbabile “controffensiva” del regime ucraino, teoricamente per riconquistare il territorio controllato dalla Russia, ha avuto per il momento la stessa sorte della resistenza opposta all’avanzamento delle forze di Mosca. Solo nei primi due giorni dell’operazione ordinata da Zelensky nel sud del paese, l’Ucraina ha subito perdite consistenti di uomini e mezzi. I bombardamenti ucraini, cominciati nella serata di domenica con armi fornite da Washington e in larga misura diretti contro edifici civili, sono stati accompagnati da un movimento di truppe in svariate direzioni, con l’obiettivo principale la città e la regione di Kherson.

 

I dati giornalieri diffusi dal ministero della Difesa russo, anche se probabilmente in una certa misura gonfiati, restano la fonte più vicina alla verità per quanto riguarda la situazione sul campo e per la sola giornata di lunedì hanno fissato a oltre 560 il numero dei militari ucraini uccisi durante una “tentata offensiva miseramente fallita”. Sempre secondo i vertici militari russi, nello stesso giorno le forze armate di Mosca avrebbero distrutto, tra l’altro, 26 carri armati, 23 veicoli da combattimento, nove blindati e abbattuto due caccia Su-25. Il bilancio si è poi aggravato ulteriormente martedì fino ad arrivare a 1.200 morti tra le fila di un’inadeguata forza d’urto ucraina. Kiev avrebbe riconquistato una manciata di villaggi nelle mani dei russi, ma questi ultimi sembrano avere ripreso il controllo di almeno alcuni di essi. Dello sfondamento oltre le linee russe di cui qualcuno ha parlato non si è vista in definitiva nemmeno l’ombra.

Il Cremlino e molti commentatori indipendenti hanno definito la “controffensiva” ucraina più “virtuale” che reale, ma se le consistenti perdite descritte dalla Russia corrispondono al vero è evidente che la risposta di Mosca è dovuta ad attacchi relativamente imponenti da parte di Kiev. Anche nella più ottimistica delle ipotesi, la manovra ucraina, preparata grazie all’afflusso di armi da Europa e Stati Uniti, può essere di natura esclusivamente tattica e molto difficilmente determinerà quel cambiamento decisivo nell’andamento del conflitto propagandato da settimane.

Il regime di Zelensky e i suoi sponsor intendono sfruttare l’illusione di un rilancio militare ucraino fondamentalmente come operazione di facciata a uso e consumo dell’opinione pubblica in Occidente e nella stessa Ucraina. Fingendo di mostrare le capacità di riconquistare il territorio perso a favore della Russia, il regime di Kiev punta cioè a ottenere ancora più armi e aiuti finanziari, mentre per i governi europei e degli USA si tratta in parte della necessità di gettare fumo negli occhi delle proprie popolazioni, alle prese con le gravissime conseguenze economiche di un conflitto sempre più impopolare, totalmente evitabile e impossibile da vincere.

È comunque impensabile che Kiev abbia deciso di inaugurare la “controffensiva” a Kherson senza l’appoggio o la collaborazione effettiva dell’intelligence e dei militari occidentali presenti sul campo. Questo fatto ribadisce l’assenza di scrupoli dei governi che manovrano Zelensky, i quali, retorica a parte, intendono continuare a utilizzare l’Ucraina, la sua popolazione e i suoi soldati come carne da macello nel confronto strategico con Mosca.

L’AIEA a Zaporizhzhia

L’altro fronte caldo in questi giorni in Ucraina è quello della centrale nucleare di Zaporizhzhia, dove sta per arrivare una delegazione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA). L’impianto si trova nella località di Energodar ed è sotto il controllo russo dallo scorso mese di marzo, mentre le forze ucraine rimangono nella zona al di là del fiume Dnepr, di fronte alla stessa centrale. Da queste postazioni, i militari ucraini hanno condotto numerosi bombardamenti contro l’impianto, da ultimo il giorno prima dell’arrivo a Kiev della missione AIEA.

La follia del regime di Zelensky, pronto a scatenare un disastro nucleare nel tentativo di attribuirne le responsabilità alla Russia, è pari al livello di disperazione che pervade le stanze del potere a Kiev. L’Ucraina continua a sostenere che gli attacchi contro la centrale sono stati condotti dai russi, senza tuttavia spiegare la ragione di un simile comportamento, visto che essi stessi garantiscono l’integrità e il funzionamento dell’impianto. Un’altra tesi di Kiev è che Mosca utilizzi Zaporizhzhia come deposito di armamenti, ma ugualmente non è stata fornita nessuna prova in proposito.

La richiesta di intervento alla AIEA era stata inoltre fatta per prima dal governo russo, che da tempo mette in guardia dalle pericolose provocazioni ucraine. Non è ancora del tutto chiaro se l’AIEA abbia secondi fini nel condurre un’ispezione che dovrebbe durare tutta la settimana. L’AIEA e il suo attuale direttore, il diplomatico argentino Rafael Grossi, operano notoriamente con poca o nessuna neutralità, come conferma ad esempio l’atteggiamento al servizio degli USA e di Israele nelle vicende legate al nucleare iraniano.

La Russia, da parte sua, ha presentato quelle che ritiene essere prove inconfutabili dei bombardamenti ucraini, ma sulla stampa e tra i governi in Occidente si continua sostanzialmente ad accettare le tesi ucraine, anche quando queste ultime sfidano la logica. È del tutto possibile, in ogni caso, che l’accettazione da parte di Kiev dell’ispezione dell’AIEA a Zaporizhzhia sia legata alla speranza di forzare l’abbandono da parte delle forze russe della centrale, da cui l’Ucraina ricavava prima della guerra un quinto della propria energia elettrica. Questo obiettivo sarebbe evidentemente da raggiungere attraverso una campagna di propaganda affidata a un’agenzia internazionale in apparenza super partes.

Il pacchetto fantasma

Ciò che resta della capacità ucraina di resistere alle operazioni russe dipende ovviamente dal flusso di armi e denaro proveniente da Occidente e, in particolare, dagli Stati Uniti. L’amministrazione Biden ha fatto sapere settimana scorsa di avere predisposto un nuovo pacchetto di “aiuti” militari da tre miliardi di dollari. A seconda delle stime, il totale dall’inizio della guerra dovrebbe arrivare a circa 53 miliardi. Questa cifra si avvicina addirittura all’intero budget militare di molti importanti paesi, come Francia o Giappone, ma proprio l’assenza di progressi significativi a fronte di una così ingente infusione di armi mette a nudo la drammaticità delle condizioni del regime di Zelensky.

A ben vedere, i numeri propagandati in questi mesi corrispondono solo in parte alla quantità di equipaggiamenti militari effettivamente messi a disposizione delle forze armate ucraine. A questi, oltretutto, vanno sottratte le armi e i mezzi già distrutti dall’artiglieria russa, spesso ancora prima di essere impiegati in battaglia. Clamoroso era apparso soprattutto lo stanziamento annunciato a maggio di 40 miliardi di dollari, rapidamente ratificato dal Congresso di Washington. Ma in quel caso come poi in seguito, i dettagli del mega-pacchetto USA diretto a Kiev rivelavano una realtà più sfumata.

Svariate analisi indipendenti avevano evidenziato infatti che, dei 40 miliardi promessi, nemmeno 20 erano destinati alle necessità militari immediate dell’Ucraina. Il resto era suddiviso in varie altre voci, tra cui il finanziamento del contingente militare americano in Europa e aiuti “umanitari”. Lo stesso vale per il più recente stanziamento da tre miliardi. La testata on-line Politico, riconducibile alla galassia dei media allineati alla propaganda USA, ha spiegato che questa somma non rappresenta un nuovo esborso, ma rientra in una delle voci in cui era suddiviso il precedente pacchetto da 40 miliardi.

Non solo, la recente decisione dell’amministrazione Biden consiste nel piazzare ordini ai fabbricanti di armi e munizioni, che dunque giungeranno in Ucraina in tempi non esattamente brevi. La questione solleva il problema del rapido svuotamento dei depositi di armi negli Stati Uniti, finita sulle prime pagine dei giornali proprio in questi giorni. Una carenza di equipaggiamenti che difficilmente potrà essere compensata dai governi europei, anch’essi in difficoltà su questo fronte. In alcune capitali si parla ormai apertamente dell’impossibilità di mantenere lo stesso livello di impegno garantito finora al regime di Zelensky. Una fonte interna al ministero della Difesa britannico nel fine settimana ha ammesso in un’intervista al Sunday Times che il sostegno finanziario di Londra all’Ucraina non potrà andare oltre la fine del 2022.

Disastro per procura

Questa realtà molto più complessa di quanto vogliano far credere i media ufficiali suscita interrogativi anche sulla disponibilità dei governi occidentali, già bersaglio del risentimento delle rispettive popolazioni per le scelte suicide operate finora, a mantenere gli impegni a favore dell’Ucraina a lungo termine. La determinazione apparente a infliggere una sconfitta su tutta la linea alla Russia è al centro di una recente analisi dell’ex colonnello americano Douglas Macgregor, uno dei pochi “insider” negli Stati Uniti a proporre una visione realistica del conflitto in corso.

L’ex consigliere di Trump ha messo in guardia l’amministrazione Biden dalle conseguenze di una disfatta bellica anche quando la guerra non viene combattuta direttamente, bensì “per procura”, come a livello ufficiale sta accadendo in Ucraina. La Casa Bianca, scrive Macgregor, “ignora la verità fondamentale che le guerre per procura non si sottraggono alla legge ferrea secondo la quale tutti i conflitti armati mettono a rischio l’esistenza di una nazione, la sua forza e il suo prestigio”, così che “la vittoria o la sconfitta rappresentano le uniche opzioni”.

Partendo da queste premesse, l’ex colonnello americano mette in dubbio le capacità USA di raggiungere i propri scopi in confronto alla fermezza con cui la Russia sta perseguendo quello che ritiene essere un obiettivo vitale in Ucraina. “La visione distorta del mondo di Washington e la realtà della guerra nel Ventunesimo secolo” rendono dunque inevitabile “il controllo russo sull’Ucraina orientale”. L’assenza di qualsiasi apertura all’ipotesi di una soluzione negoziata che tenga in considerazione le legittime esigenze di sicurezza di Mosca, anche di fronte alla prospettiva di un conflitto che potrebbe durare anni, minaccia così di condurre il governo americano verso un duplice disastro.

L’amministrazione Biden, conclude Macgregor, insistendo sulla necessità di indebolire strategicamente o addirittura smembrare una potenza come la Russia, da un lato “mette in pericolo il popolo americano” per via delle conseguenze economiche devastanti della guerra e, dall’altro, finirà per spingere “alleati e partner ad abbandonare l’alleanza con Washington”.

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