Le accuse mosse nei confronti dell’esercito russo di gravissime violazioni del diritto umanitario che sarebbero state compiute a Boucha ed in altre località ucraine richiedono l’effettuazione di indagini approfondite da parte di organismi internazionali imparziali. La stessa esigenza si applica del resto a tutte le violazioni, compiute da tutte le parti belligeranti, a partire perlomeno dal 2014, data d’inizio del conflitto nel Donbass, poi generalizzatosi all’insieme del territorio ucraino colla  decisione del governo russo di lanciare un’offensiva militare il 24 febbraio 2022.

 

Non possiamo certamente respingere l’ipotesi che gravi violazioni siano avvenute a Boucha ed in altre occasioni. Analoga posizione è stata del resto adottata dal Pentagono che in un suo comunicato diffuso dall’agenzia Reuters, ha affermato di non poter né escludere né avallare tale ipotesi sulla base delle informazioni disponibili. Come pure forti interrogativi scaturiscono dalla circostanza che varie tra le vittime indossavano il bracciale bianco che contraddistingue gli Ucraini che non si oppongono all’intervento russo. O dalle intercettazioni che rivelano l’ordine impartito a talune formazioni militari neonaziste di aprire il fuoco sui civili “collaborazionisti”. Per queste ed altre informazioni che mettono in dubbio la versione ufficiale ucraina (cfr. Questions Abound Over Bucha [UPDATE II] (informationliberation.com).

Occorre d’altronde essere pienamente consapevoli del fatto che l’esistenza di una guerra fratricida, come quella in corso in Ucraina tra due Stati afferenti a una comune matrice culturale e linguistica è, come in altri casi, la cornice nefasta per l’esistenza di crimini di guerra e contro l’umanità, che si moltiplicano del resto da molto tempo in tutto lo scenario internazionale. Come attestato da vari sconvolgenti filmati in circolazione sono molteplici le atrocità di cui fanno le spese i civili e di cui si rendono colpevoli anche le forze ucraine e in particolare le unità di fede neonazista in esse da tempo inquadrate che rinverdiscono in tal modo gli allori dei crimini compiuti da Bandera e dai suoi accoliti ai tempi della seconda guerra mondiale.

Tutta materia da approfondire con un’inchiesta indipendente e imparziale sotto l’egida di organismi internazionali. Del resto, l’esistenza di casi precedenti, oramai accertati, di messe in scena avvenute in altre occasioni, impongono estrema prudenza ed obiettività. Un caso particolarmente interessante è quello del Kossovo, quando le rivelazioni sui massacri, veri o presunti, commessi dai Serbi, costituirono la base per legittimare i bombardamenti della NATO, cui partecipò direttamente l’Italia, il cui presidente del Consiglio dei ministri era all’epoca Massimo D’Alema.

Come ha scritto l’autorevole rivista di geopolitica Limes “la campagna aerea della NATO iniziata il 24 marzo 1999 non è stata la sola guerra che si è combattuta per il Kosovo. La provincia serba a maggioranza albanese è stata al centro anche di un’altra guerra, quella dei media, che aveva e ha come scopo la conquista delle opinioni pubbliche internazionali. La campagna aerea della Nato è terminata il 9 giugno, la guerra sui media è ancora in corso. La posta in gioco nella prima guerra era riportare l’ordine e la pace nel Kosovo e/o assicurarsi il controllo della regione; nella seconda gli obiettivi sono la legittimazione degli interventi militari dell’Occidente fuori dalla propria area, l’affermazione dell’idea di guerra umanitaria e i futuri equilibri nei Balcani”.

Non è certamente difficile capire come sia in corso attualmente un’analoga guerra dei media con oggetto la guerra in Ucraina. Al di là dei fatti gravissimi che vengono denunciati dalle parti belligeranti, su cui va fatta piena luce nell’interesse della giustizia internazionale e dell’osservanza del diritto internazionale umanitario, colpisce certamente la circostanza come le rivelazioni sui massacri che sarebbero stati compiuti a Boucha ed altrove hanno avuto come effetto immediato un ulteriore irrigidimento delle posizioni dei Paesi che fanno parte della NATO e dell’Ucraina e un ulteriore drammatico allontanamento di ogni ipotesi di soluzione negoziale del pericoloso conflitto in atto. Il tutto in piena conformità coi desideri del presidente statunitense Biden che, per varie ragioni, ha tutto l’interesse a che la guerra continui e si inasprisca, traendone evidenti benefici su vari piani. Quello politico, con la ritrovata compattezza della NATO; quello economico, con la possibilità di collocare in Europa crescenti quantitativi di gas di scisto di origine statunitense; quello - non trascurabile - degli interessi dei produttori e commercianti di armi che fanno capo ai complessi militari-industriali statunitensi e di altri Paesi occidentali, tra cui l’Italia.

Proprio oggi, del resto, abbiamo avuto altre rivelazioni, provenienti dal Wall Street Journal, secondo il quale all’inizio di febbraio il presidente ucraino Zelensky avrebbe rifiutato un’ipotesi di accordo che prevedeva la neutralità dell’Ucraina e la sua rinuncia ad entrare a far parte della NATO. E’ evidente come siano state decisive, anche in tale frangente, le pressioni esercitate da parte dell’amministrazione di Washington.

Del resto, come ha proclamato senza vergogna l’esperto di strategia statunitense Luttwak, la guerra è bella e fa bene alla salute e sarebbe ora che anche l’Europa ne fosse pienamente partecipe e teatro. E, come negli anni Ottanta, il nostro continente corre in effetti il rischio crescente di terminare in modo poco onorevole la sua esistenza, in guisa di scenario di una guerra nucleare mondiale che ha per posta il predominio mondiale tra la superpotenza statunitense in declino e i nuovi protagonisti emergenti, in primo luogo Russia e Cina.

I governanti europei al riguardo, confermano la loro totale passività e subalternità alla vocazione guerrafondaia della Superpotenza in crisi, anche se vorrebbero ridicolmente ammantarla, come già innumerevoli volte in passato, con le bandiere della civiltà, che come dimostrano secoli di massacri e di genocidi in tutto il mondo, è indiscutibilmente cosa nostra, di noi occidentali.

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