Questa guerra, che è una tragedia infinita per l’Ucraina, la Russia e l’Europa, nonché fonte di preoccupazioni e sofferenza per il resto del mondo, è una vera e propria inaspettata pacchia per la classe dirigente statunitense. Ciò si capisce facilmente se si pensa che l’esistenza della guerra e l’incolmabile spaccatura che essa sta creando fra la Russia e l’Europa, costituiscono una fonte di inesauribili profitti per l’industria statunitense, che ci venderà gas a prezzo maggiorato, armi a profusione, grano ed altro. Inoltre la guerra ha ricucito, almeno nel breve-medio termine, ogni frattura potenziale o reale all’interno della NATO, che si rilegittima come strumento necessario e chiede agli Stati membri nuove spese militari che andranno a gravare su bilanci statali già esausti per la pandemia.

 

Questo dà ovviamente la misura dell’enormità dello “sbaglio” (ma trattandosi di guerra di aggressione sarebbe meglio definirlo crimine) compiuto da Putin coll’invasione dell’Ucraina partita il 24 febbraio. Inutile ripetere che i presidenti statunitensi ne hanno compiuto di più gravi nel corso della loro storia e in particolare in quello dell’ultimo trentennio successivo alla fine dell’URSS, che ha segnato un’intensificazione delle aggressioni imperialistiche in tutto il mondo. Nella zona attualmente interessata dalla guerra abbiamo avuto una penetrazione costante della NATO, anche in Ucraina, e la promozione di un colpo di Stato in forma originale di “rivoluzione colorata”. Abbiamo avuto inoltre l’aggressione costante nei confronti del Donbass e della sua popolazione che nella grande maggioranza si opponeva e continua ad opporsi  strenuamente al regime ucraino partorito dal golpe colorato.

Costituisce tuttavia un’illusione nefasta quella di contenere l’imperialismo mediante uno scontro sul terreno militare del tipo di quello cui Putin ha dato inizio il 24 febbraio 2022. Sul piano giuridico il ricorso in tale forma allo strumento militare non è ammissibile, se non altro per chiara violazione dei parametri fondamentali di necessità e proporzionalità. E vi sono forti dubbi che sia sostenibile sul piano strategico. Le scelte di Putin, d’altronde, non sono casuali ma rappresentano la conseguenza del modo di essere del suo regime, che non ha nulla di socialista e ben poco di democratico, con buona pace di coloro che continuano a eccitarsi per gli emblemi storici sui tank russi.

Un giudizio severo su Putin che dovrebbe al più presto porre fine all’aggressione e negoziare un accordo onorevole basato sulla neutralità permanente dell’Ucraina e lo status speciale di Crimea e Donbass, non deve tuttavia farci perdere di vista il fatto che la contraddizione principale continua ad essere quella con l’imperialismo statunitense. L’elezione di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti ha rappresentato, col senno di poi, una vera e propria sciagura, anche se non è detto che Trump sarebbe stato meglio, facendo astrazione della sua conclamata amicizia con Putin. Certamente anche il fattore personale ha il suo peso nella storia, ed avere alla Casa Bianca un vecchio signore incontinente che rilascia in continuazione, oltre ai peti, esternazioni ognuna delle quali, secondo vari commentatori, avvicina un po’ la terza guerra mondiale, non è per nulla rassicurante.

Il problema vero, tuttavia, è la mancata accettazione da parte dell’establishment statunitense dell’ineluttabile perdita di ruolo conseguente all’emergere di una comunità internazionale a struttura multipolare. Paradossalmente questa situazione ha ricevuto per un verso una conferma e per l’altro un’accelerazione, proprio con la sciagurata invasione russa dell’Ucraina, che però, appunto, rischia di tradursi in un fattore di stabilizzazione del potere imperiale statunitense, soprattutto in Europa.

Venendo all’Italia, parte integrante di questa Europa e di questa Unione Europea sempre più prive di identità e sostanziale ragione di essere, la drammatica accelerazione dello scontro che abbiamo vissuto nell’ultimo mese, determina l’esasperazione dei due caratteri di fondo su cui è nato il governo Draghi: liberismo ed atlantismo. Uscire dal governo Draghi, con una lotta senza quartiere a questi due crismi ideologici fondamentali, è oggi per l’Italia e il popolo italiano una questione di sopravvivenza. Abbiamo infatti bisogno dell’intervento pubblico per soddisfare i nostri bisogni fondamentali e di non allineamento per tutelarne la sicurezza e rilanciare, a livello internazionale, la sempre più indispensabile opera di mediazione politica e istituzionale. Entrambi compiti rispetto ai quali il governo dei peggiori sta producendo il suo annunciato fallimento.

In diretta contrapposizione a tale governo occorre quindi costruire uno schieramento che veda al suo interno, come obiettivo qualificante, lo sganciamento immediato dal carro della NATO e dalla superpotenza statunitense in irrimediabile declino, che rischia di trascinare l’intero pianeta nel torbido vortice della sua fine.

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