Pare davvero bizzarro e paradossale che il diritto internazionale sia oggi invocato contro la decisione russa di riconoscere l’indipendenza delle Repubbliche autoproclamate del Donbass, da chi, governo statunitense in testa, il diritto internazionale ha ripetutamente e consapevolmente violato più volte negli ultimi anni, come dimostrato fra l’altro dalle aggressioni militari contro Libia e Iraq e dalle sanzioni contro Cuba, Nicaragua, Venezuela e altri stati.

 

Ma vediamo di analizzare in dettaglio se la scelta di Putin di riconoscere le repubbliche del Donbass e di stipulare con loro accordi di cooperazione su vari terreni, incluso quello militare, costituisca effettivamente una violazione del diritto internazionale.

Occorre richiamare innanzitutto, al riguardo, il relativamente recente Parere della Corte internazionale di giustizia sulla dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, del 22 luglio 2010, la quale afferma, al punto 84, che il diritto  internazionale non contiene alcun divieto di dichiarazioni di indipendenza. La Corte precisa che il principio dell’integrità territoriale si impone agli stati, vietando, con norma ritenuta di jus cogens, le invasioni e le occupazioni militari. Ma esso non si estende ai popoli, i quali, nell’esercizio del proprio diritto di autodeterminazione, possono procedere a proclamare l’indipendenza dei territori da essi abitati. Tale affermazione è stata approvata da dieci giudici sulla Corte, mentre gli altri quattro hanno votato contro.

Una dichiarazione unilaterale di indipendenza è stata quella resa dai rappresentanti delle Repubbliche del Donbass, che mediante tale dichiarazione hanno proclamato la loro secessione dall’Ucraina. Tale scelta è avvenuta come diretta conseguenza del rovesciamento del governo Yanukovich a seguito dei cosiddetti moti di Maidan del febbraio 2014. L’11 maggio del 2014 la scelta dell’indipendenza è stata confermata da un referendum cui ha partecipato il 75% della popolazione delle Repubbliche, con un 90% dei voti espressi a favore dell’indipendenza.

Tale dichiarazione, corroborata da un voto referendario, ha quindi costituito la reazione alla violazione del precedente patto costituzionale rappresentata dal rovesciamento violento di Yanuovich e dal crescente ruolo esercitato da forze di estrema destra, che si richiamavano apertamente a personaggi come Bandera, leader indipendentista ucraino che fu alleato delle forze nazifasciste durante la Seconda guerra mondiale.

I successivi tentativi di raggiungere una soluzione pacifica del conflitto che dura da allora, imperniati sui cosiddetti Accordi di Minsk, volti alla ristrutturazione democratica della Costituzione ucraina e alla concessione di uno status speciale ai territori orientali, non hanno purtroppo avuto successo. Sicuramente a tale fallimento non è stata estranea la campagna delle forze del nazionalismo di destra ucraino che li ha sempre denunciati come un cedimento alle ragioni della Russia.

Pare di capire come la scelta di Putin di procedere al riconoscimento delle Repubbliche del Donbass, da cui si era fino ad oggi astenuto nonostante le pressioni provenienti da vari settori della Duma (il Parlamento russo) sia dovuta sostanzialmente alla presa di atto del fallimento degli Accordi di Minsk e in un contesto caratterizzato da ripetuti allarmismi di parte NATO sulla presunta invasione russa dell’Ucraina.

Si può discutere dell’opportunità della scelta di Putin, ma il riconoscimento delle Repubbliche del Donbass, già esistenti de facto da oltre sette anni, e l’instaurazione con tali Repubbliche di rapporti di cooperazione su vari terreni, incluso quello militare, non costituisce certamente di per sé una violazione del diritto internazionale.

Preoccupano invece alcuni contenuti delle dichiarazioni di Putin, che mette in discussione lo status dell’Ucraina indipendente giungendo a biasimare quella che nella sua interpretazione della storia sarebbe stata la decisione di Lenin di concedere tale status. Ma non è il caso di esagerare la portata di queste affermazioni, criticabili su vari piani ma che sembrano più che altro riconducibili a finalità propagandistiche di natura interna.

Quello che è certo è che i veleni del nazionalismo hanno pesantemente inquinato la situazione e potrebbero preparare il terreno a estensione inasprimento di un conflitto molto pericoloso, come si affannano a denunciare le Nazioni Unite.

E’ del pari certo che Stati Uniti e NATO stanno da tempo perseguendo tale estensione e tale inasprimento, con lo scopo evidente di affermare il proprio ruolo, chiaramente in declino, aggiogando al proprio carro l’Unione europea, dal suo canto priva di una propria identità e strategia politica precisa.

La situazione risulta quindi estremamente inquietante. L’unica speranza risiede nella capacità di mobilitazione dei popoli, che deve avvenire in tutti i Paesi coinvolti, primi fra tutti Ucraina e Russia, per affermare le ragioni della pace. Non in modo astratto ma mettendo in discussione la ragione d’essere di alleanze militari, come la NATO, sempre più sprovvista di ogni fondamento storico e politico e in netta contraddizione col quadro sempre più multipolare della comunità internazionale.

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