Il senatore democratico del West Virginia, Joe Manchin, ha affossato probabilmente in maniera definitiva il limitato pacchetto di riforme sociali al centro del programma di governo dall’amministrazione Biden e spento le residue speranze del suo partito di conservare la risicata maggioranza al Congresso di Washington dopo il voto di “metà mandato” del novembre 2022. La decisione di Manchin, uno dei membri più reazionari della delegazione parlamentare democratica, è arrivata significativamente in un’intervista nel fine settimana a Fox News, durante la quale ha fatto sapere di non essere disposto a votare a favore di un provvedimento da poco meno di duemila miliardi di dollari in fase di negoziazione da mesi sotto gli auspici della Casa Bianca.

 

Manchin e l’altra sua collega “moderata”, la senatrice dell’Arizona ed ex attivista ambientale Krysten Sinema, sono da tempo al centro dei corteggiamenti dei leader democratici per ottenere i loro voti nel quadro degli sforzi diretti a far passare una serie di leggi ritenute di cruciale importanza dall’attuale amministrazione. Visto l’equilibrio quasi assoluto al Senato, tutti i voti democratici sono necessari per approvare qualsiasi iniziativa, così che, fin dall’inizio del mandato di Biden, Manchin e Sinema hanno potuto mettere in atto un gioco al ribasso che ha a poco a poco svuotato, se non affondato completamente, le proposte “progressiste” del loro partito.

Il pacchetto da 1.750 miliardi di dollari che Manchin ha bocciato è noto come “Build Back Better Act” (BBB) e contiene svariate misure che avrebbero dovuto allargare, anche se modestamente, la rete del welfare americano. Tutte le iniziative sociali previste risultano gradite dalla maggioranza della popolazione USA, in particolare tra gli elettori democratici. Altrettanto popolari erano anzi anche molte altre proposte lasciate fuori dalla legge, inizialmente addirittura da 6 mila miliardi di dollari, proprio in seguito ai negoziati con Joe Manchin e Krysten Sinema, come la cancellazione parziale dei debiti studenteschi e la garanzia di alcune settimane di congedo retribuito per i lavoratori.

In diretta televisiva su Fox News, Manchin ha così spiegato tutto il suo disagio nel dare il via libera a un pacchetto legislativo che, a suo dire, renderebbe gli Stati Uniti “ancora più vulnerabili di fronte alla minacce” che devono fronteggiare, come ad esempio l’esplosione del debito pubblico, arrivato a quota 29 mila miliardi, l’inflazione e la pressione fiscale crescenti. Il senatore del West Virginia, nell’esporre la sua posizione, ha utilizzato luoghi comuni dell’arsenale retorico dell’anti-comunismo tipico del Partito Repubblicano, sostenendo che i suoi colleghi democratici favorevoli alla legge vorrebbero “rimodellare drammaticamente la società americana”.

Mentre Manchin ha affondato una molto limitata iniziativa di carattere sociale in un frangente storico di gravissima crisi, né lui né la senatrice Sinema si sono mai fatti il minimo scrupolo per le implicazioni fiscali degli stanziamenti per la macchina da guerra USA. Proprio nei giorni scorsi, il Congresso aveva approvato a larghissima maggioranza il nuovo bilancio del Pentagono, vicino ormai agli 800 miliardi di dollari e il più imponente di sempre nella storia di qualsiasi paese. Da quando è stato eletto per la prima volta nel 2010 al Senato, Manchin ha garantito il proprio voto favorevole senza battere ciglio a tutti i bilanci del dipartimento della Difesa, per un totale di quasi diecimila miliardi di dollari.

La decisione di Manchin ha comunque innescato recriminazioni e polemiche all’interno del Partito Democratico. La Casa Bianca ha subito emesso una dichiarazione ufficiale per evidenziare come il senatore del West Virginia avesse promesso al presidente di appoggiare la versione ridotta del “Build Back Better Act”, anche se nel contempo è stato spiegato che le discussioni per trovare un punto d’incontro erano ancora in corso. Malgrado i toni tutt’altro che distensivi, Biden ha lasciato aperto uno spiraglio per rilanciare la trattativa, offrendo di ridimensionare ancora di più il pacchetto in modo da convincere Manchin a tornare sui suoi passi. In previsione delle elezioni di “metà mandato” per il rinnovo di tutta la Camera dei Rappresentanti e di un terzo dei seggi del Senato, i democratici hanno d’altra parte necessità di presentare qualche risultato agli elettori che, nel 2020, avevano preferito Biden a Trump in larga misura proprio grazie ad alcuni elementi di orientamento progressista sull’agenda dell’attuale presidente.

L’ennesimo atto di prostrazione che la Casa Bianca prospetta davanti a un singolo senatore ultra-reazionario non è solo umiliante ma rischia di essere del tutto inutile, visto che l’ala “progressista” del Partito Democratico era già sul piede di guerra e promette di rompere definitivamente i negoziati con la leadership. La sinistra del partito aveva oltretutto acconsentito alcune settimane fa ad approvare una precedente iniziativa di legge sul rinnovamento delle infrastrutture americane in cambio della promessa di un voto favorevole sul “Build Back Better Act”.

Le carte che rimangono in mano a Biden e ai vertici democratici sono ora pochissime, non solo per il clima di quasi rivolta tra deputati e senatori “progressisti”. Come ha mostrato l’intervento di Manchin su Fox News, in caso di ulteriori pressioni o ritorsioni politiche nei suoi confronti, lo stesso senatore potrebbe agevolmente passare al Partito Repubblicano, con cui ha senza alcun dubbio maggiore affinità, e privare da subito i democratici della maggioranza nella camera alta del Congresso di Washington.

Com’è facilmente immaginabile, il turbamento di Joe Manchin non è da collegare tanto al debito esplosivo degli Stati Uniti o al fatto che il “Build Back Better Act” possa accendere la miccia di una rivoluzione socialista. Piuttosto, il comportamento di Manchin risponde a interessi ben precisi che, a differenza del pacchetto sull’ammodernamento infrastrutturale, non vogliono nemmeno un modesto rafforzamento del welfare americano né l’implementazione di misure contro il cambiamento climatico, ugualmente previste dal pacchetto in discussione.

Il senatore democratico ha interessi personali nell’industria del carbone, che rappresenta una voce ancora importantissima per l’economia del West Virginia, mentre sia le compagnie operanti in questo ambito nel suo stato sia le corporation di altri settori finanziano abbondantemente le sue campagne elettorali, così come le casse della collega Krysten Sinema. Secondo quanto riportato recentemente dalla stampa, fino allo scorso settembre Manchin ha incassato “donazioni” per oltre 1,5 milioni di dollari da aziende private contrarie al “Build Back Better Act”. Un giornale del Texas nel mese di luglio di quest’anno aveva a questo proposito rivelato una raccolta fondi a favore di Manchin in questo stato che aveva visto la partecipazione di “molti ricchissimi finanziatori del Partito Repubblicano”.

Per quanto riguarda infine le reazioni degli esponenti della sinistra del Partito Democratico, l’indignazione e la rabbia ostentate nei confronti del senatore Manchin servono in gran parte a coprire le loro tracce. Questa fazione aveva alimentato le illusioni in una svolta progressista con l’elezione di Biden, ma poco dopo il suo ingresso alla Casa Bianca le promesse sono cadute a una a una. La deriva in atto era ampiamente prevedibile e conferma come sia sostanzialmente impossibile, per quante pressioni vengano esercitate da sinistra, che il Partito Democratico, come quello repubblicano legato a doppio filo a Wall Street, ai grandi interessi economici e all’apparato militare e della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, possa trasformarsi improvvisamente in uno strumento di reale riforma sociale.

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