La stupidità dei politici e dei burocrati europei ha fatto segnare nuovi picchi questa settimana con la decisione di sospendere l'approvazione del gasdotto Nord Stream 2 nel pieno della crisi energetica che sta interessando il continente. L’infrastruttura, da tempo al centro di un’accesa disputa di carattere soprattutto strategico, dovrebbe raddoppiare le forniture di gas naturale dalla Russia alla Germania, con evidenti vantaggi per quest’ultimo paese e il resto di un’Europa costretta a fare i conti con scorte ridotte all’osso e prezzi in sensibile aumento.

 

Lo stop al processo di certificazione del Nord Stream 2 è arrivato quando gli innumerevoli ostacoli alla finalizzazione del progetto, di proprietà del gigante russo Gazprom e a cui partecipano varie compagnie energetiche europee, sembravano essere finalmente superati. Nel mese di luglio, anche il governo americano aveva ufficialmente rinunciato a imporre sanzioni punitive per fermare il completamento dei lavori, preferendo evitare uno scontro frontale con l’alleato tedesco.

Il completamento dell’opera era avvenuto a settembre, ma da più parti erano emerse resistenze e tentativi di boicottarne l’entrata in funzione nonostante il gasdotto risponda indubitabilmente alle esigenze energetiche della Germania e dell’Europa nel suo insieme. L’opposizione al Nord Stream 2 si collega alla propaganda anti-russa che pervade l’Occidente e, nello specifico, cerca di sollevare presunte problematiche come l’eccessiva dipendenza dell’Europa da Mosca per gli approvvigionamenti energetici e il pericolo che l’Ucraina perda il denaro che attualmente incassa dai diritti di transito sul proprio territorio del gas russo, che verrebbe appunto dirottato verso nord lungo la linea marittima baltica.

In maniera quasi sommessa, questa settimana è arrivata così la decisione dell’autorità federale tedesca per le reti energetiche (“Bundesnetzagentur”), la quale, dopo anni di controversie e con tutta l’attenzione domestica e internazionale sul progetto, ha improvvisamente scoperto che la società incaricata della gestione del gasdotto, la “Nord Stream 2 AG” con sede in Svizzera, manca di un requisito legale per ottenere la certificazione definitiva. Quest’ultima dovrà cioè essere incorporata in una società tedesca e trasferire ad essa tutto il proprio “capitale e personale”. Questa regola vale esclusivamente per la gestione del tratto di gasdotto situato in territorio tedesco.

Una volta adempiuto a questi obblighi, il nuovo soggetto dovrà ripresentare la documentazione necessaria alla certificazione per avere il via libera definitivo. Questa imprevista trafila burocratica provocherà un ulteriore ritardo dell’entrata in funzione del Nord Stream 2, per alcuni analisti fino a febbraio, per altri ad aprile se non alla metà del 2022. Tradotto: la Germania e l’Europa non potranno contare per l’inverno alle porte su un surplus di gas che, grazie alla nuova infrastruttura nel Mar Baltico, secondo il centro studi norvegese Rystad Energy poteva “cambiare gli equilibri negli approvvigionamenti di gas in Europa”. Di conseguenza, “le attuali difficoltà del mercato del gas persisteranno per tutto il periodo invernale”.

In altri termini, la decisione di fermare nuovamente il processo di certificazione del Nord Stream 2 è tutta politica e rappresenta l’ennesima scelta autolesionista dell’Europa nell’implementazione delle politiche energetiche, nonché nella gestione dei rapporti con la Russia. Oltre al quadro generale della rivalità con Mosca, secondo una recente analisi ospitata dal sito del think tank russo Strategic Culture Foundation, vanno considerate almeno due ragioni per spiegare la mossa della “Bundesnetzagentur”. La prima è collegata ai riflessi della crisi dei migranti in atto tra Polonia e Bielorussia, la cui responsabilità è attribuita dalle cancellerie europee principalmente al Cremlino.

L’altra ha a che fare con l’imminente ingresso nel prossimo governo di Berlino dei Verdi, irriducibilmente anti-russi e contrari al raddoppio del gasdotto nel Mar Baltico. Questo partito aveva ottenuto un discreto risultato nelle elezioni federali dello scorso settembre ed è nel pieno dei negoziati con i socialdemocratici (SPD) e i liberali (FDP) per far nascere il nuovo gabinetto federale. Nell’esecutivo di coalizione che dovrebbe prendere forma entro fine anno i Verdi avranno verosimilmente un potere decisionale non indifferente sulle questioni energetiche e ambientali, anche se in realtà determinate, almeno in merito al Nord Stream 2, dalle implicazioni di politica estera.

Alla notizia della sospensione del Nord Stream 2, il prezzo del gas in tutta Europa, già in sensibile ascesa, ha fatto registrare una nuova impennata, a conferma che l’entrata in funzione del progetto era e resta la soluzione più a portata di mano per ridurre i costi energetici. Questa considerazione si aggiunge a una realtà che, tra gli altri, l’amministratore della società operante nel settore delle materie prime Trafigura, in una conferenza recentemente organizzata dal Financial Times, ha descritto con toni allarmati. Il dirigente in questione ha spiegato che “al momento non c’è gas a sufficienza” in Europa ed è perciò impossibile assicurare delle scorte per l’inverno. Ci sono dunque “preoccupazioni reali” per una situazione nella quale potrebbero verificarsi “blackout sistematici in tutta Europa”.

Le ripercussioni sui prezzi e sulla disponibilità di gas rischiano di avere anche effetti di maggiore portata in seguito alla decisione dell’agenzia federale tedesca. Un’analisi pubblicata giovedì sul sito della CNN ha ricordato infatti come il nuovo elemento di scontro con Mosca sul Nord Stream 2 potrebbe mettere ancora più in dubbio “la disponibilità russa ad aumentare, in un momento così complicato, le forniture di gas oltre i propri obblighi contrattuali esistenti”, come qualcuno aveva sperato.

Nello stesso articolo, un analista di Eurasia Group ha riassunto in modo involontario tutta l’incompetenza di coloro che in Europa presiedono ai processi decisionali e l’assurdità di iniziative dettate da considerazioni pseudo-strategiche che si rivelano controproducenti. “Sospendendo il processo di approvazione del Nord Stream 2”, spiega Henning Gloystein di Eurasia Group, “le autorità tedesche e probabilmente anche il governo entrante mostrano di non essere disposti a piegarsi alle pressioni russe per velocizzare la certificazione [del gasdotto]” e, in parallelo, “mandano un segnale agli alleati in Polonia, a Bruxelles e a Washington che Berlino intende ascoltare le loro critiche” al progetto.

In sostanza, gli interessi concreti della popolazione tedesca e del resto dell’Europa vengono messi in secondo piano rispetto a valutazioni di ordine strategico che conducono soltanto in un vicolo cieco. Oltretutto, le resistenze tedesche sono una scommessa estremamente rischiosa, dal momento che Berlino non ha elementi per fare pressioni su Mosca e ricavare condizioni presumibilmente più vantaggiose dall’eventuale sblocco dello stallo.

La già citata analisi apparsa sul sito di Strategic Culture Foundation cita a questo proposito un anonimo top manager del settore energetico tedesco, il quale mette in guardia dalla possibilità, per quanto al momento remota vista la “professionalità di Gazprom”, che il gigante russo “decida deliberatamente di rallentare le forniture di gas naturale” come ritorsione per il comportamento di Berlino sul Nord Stream 2. Il prezzo del gas, avverte il dirigente tedesco, “potrebbe aumentare di dieci volte, facendo collassare l’intera Unione Europea”. Nel caso la situazione precipitasse, Mosca potrebbe sempre dirottare il gas destinato all’Europa verso la Cina, mentre “la Germania non avrebbe un piano di riserva percorribile” per far fronte alle mancate forniture russe.

Questo scenario può apparire improbabile, almeno per ora, ma solleva un problema tutt’altro che immaginario per l’Europa. La crescente ostilità occidentale nei confronti della Russia ha spinto questo paese negli ultimi anni a guardare sempre più verso est, tanto da consolidare una partnership strategica con la Cina. In questa realtà il gas russo gioca evidentemente un ruolo fondamentale, viste le risorse di Mosca e le necessità di Pechino, così che il Cremlino si ritrova ormai in una posizione di vantaggio nelle trattative sul fronte del gas naturale con un’Europa che, invece, si dibatte pateticamente tra le illusorie prospettive del libero mercato energetico e quelle del gas liquefatto americano.

In attesa che si sciolgano i dubbi e le contraddizioni di Berlino e Bruxelles, le decisioni sciagurate delle autorità tedesche ed europee finiranno per creare ulteriori gravi disagi in un continente dove, secondo un recente studio dell’università di Manchester, già prima della pandemia almeno 80 milioni di famiglie stavano già faticando dal punto di vista economico per riuscire a riscaldare adeguatamente le proprie abitazioni.

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