A giudicare dagli sviluppi più recenti, un accordo tra l’Iran e gli Stati Uniti per il ripristino dell’accordo sul nucleare di Teheran (JCPOA) potrebbe essere finalmente a portata di mano. I segnali che le due parti continuano a inviare lasciano intendere che le distanze rimanenti saranno colmate forse già nei prossimi giorni. Gli ostacoli ancora da superare hanno a che fare con la quantità e la natura delle sanzioni americane che dovranno essere revocate, ma il recente prolungamento di un’intesa provvisoria tra la Repubblica Islamica e l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) sembra suggerire un moderato ottimismo.

 

A partire dal 6 aprile, si sono tenuti a Vienna quattro round di negoziati tra i firmatari del JCPOA che ancora ne fanno parte (Iran, Russia, Cina, Francia, Germania, Gran Bretagna) e gli Stati Uniti. I rappresentanti americani hanno comunicato con quelli iraniani solo attraverso i delegati degli altri paesi. Dopo le discussioni terminate a metà della scorsa settimana, le varie delegazioni hanno lasciato la capitale austriaca per consultarsi con i rispettivi governi sugli ultimi dettagli di un possibile documento finale, per poi tornare riunirsi in questi giorni.

Sulle trattative pesava la scadenza dell’accordo ricordato in precedenza tra Teheran e l’AIEA. A fine febbraio, le due parti avevano trovato un compromesso sulla questione del monitoraggio delle attività degli impianti nucleari iraniani, reso necessario da una precedente legge iraniana. Questo provvedimento, approvato nel dicembre 2020 dal parlamento della Repubblica Islamica, ordinava infatti lo stop all’implementazione del cosiddetto “Protocollo Aggiuntivo” previsto dal JCPOA.

Con la firma cioè dell’accordo del 2015, l’Iran si impegnava a garantire ampi poteri di ispezione agli ispettori ONU, ma l’uscita dal JCPOA dell’amministrazione Trump nella primavera del 2018, la reimposizione delle sanzioni e, da ultimo, l’assassinio a Teheran nel novembre 2020 dello scienziato nucleare Mohsen Fakhrizadeh, avevano finito per rafforzare i fautori della linea dura nei confronti dell’Occidente. Così, per tutta risposta, il parlamento iraniano aveva minacciato il boicottaggio del “Protocollo Aggiuntivo” e la conseguente rottura con l’AIEA.

Per evitare questo epilogo e dare tempo alla nuova amministrazione Biden di ridefinire il proprio approccio alla questione iraniana, il governo del presidente Rouhani e l’AIEA erano riusciti a raggiungere un’intesa provvisoria. Le autorità iraniane avrebbero continuato a filmare le attività nei loro impianti nucleari, ma le immagini sarebbero state messe a disposizione degli ispettori solo nel caso gli USA fossero rientrati nel JCPOA e le sanzioni cancellate. Questo accordo con l’AIEA scadeva appunto nei giorni scorsi ed è stato ora prorogato di un altro mese.

La notizia era stata anticipata nel fine settimana, ma erano circolate voci di forti resistenze tra i conservatori in Iran. A conferma di ciò, il capo della delegazione a Vienna della Repubblica Islamica, il vice-ministro degli Esteri Abbas Araghchi, ha parlato di un incontro “molto duro” con i membri della commissione parlamentare sulla Sicurezza Nazionale e gli Affari Esteri nella giornata di domenica. A poche settimane dalle elezioni in Iran, è evidente che gli ambienti anti-occidentali abbiano cercato di opporre resistenza e impedire altre concessioni per arrivare a un accordo con Washington.

La decisione di continuare a perseguire l’obiettivo è però stata presa con ogni probabilità dai massimi livelli della Repubblica Islamica e il via libera alla proroga dell’intesa con l’AIEA sembra testimoniarlo. A supporto di questa tesi c’è anche un altro elemento. Quando Rouhani stipulò l’accordo con gli ispettori ONU a febbraio, dal parlamento iraniano si erano sollevate voci che chiedevano l’incriminazione del presidente per il suo comportamento contrario alla legge che imponeva lo stop alle ispezioni internazionali. In questo caso, invece, nonostante qualche resistenza, non sembrano esserci state eccessive polemiche.

Il direttore generale dell’AIEA, Rafael Grossi, ha annunciato lunedì la proroga sulle ispezioni, precisando che l’accordo non rappresenta una soluzione “ideale” ma un “meccanismo di emergenza”. Grossi ha aggiunto che, in assenza di un’intesa con Teheran, la sua agenzia sarebbe rimasta “completamente al buio” circa le attività nucleari iraniane. Il problema, in realtà, non sarebbe stato quello di perdere uno strumento teoricamente utile a scoraggiare la corsa iraniana al nucleare militare, che è solo un pretesto per tenere alta la pressione sulla Repubblica Islamica, ma di introdurre un elemento destabilizzante nei negoziati in corso a Vienna. Con la rottura tra Iran e AIEA, cioè, Washington avrebbe avuto l’occasione per uscire dai negoziati e accusare Teheran del fallimento.

La proroga dell’accordo sul monitoraggio delle attività nucleari iraniane consegna invece dell’altro tempo prezioso alla diplomazia. Alcuni analisti sostengono ad ogni modo che i centri decisionali a Teheran che fanno capo alla Guida Suprema, ayatollah Ali Khamenei, preferirebbero che un accordo definitivo sul ristabilimento del JCPOA e la sospensione delle sanzioni avvenisse dopo le elezioni del 18 giugno, in modo da non offrire una vittoria diplomatica all’attuale governo moderato/riformista.

La vittoria alle presidenziali di un candidato conservatore viene data tuttavia quasi sicura e a prevalere in Iran sembra essere la volontà di sbloccare lo stallo e incassare i benefici economici e strategici di un nuovo accordo con l’Occidente. Un anonimo diplomatico coinvolto nei negoziati ha assicurato infatti in un’intervista alla Reuters come “un accordo che metta in chiaro gli obblighi di Teheran e Washington per il prossimo futuro” potrebbe essere annunciato già questa settimana a Vienna.

Le difficoltà appaiono legate alla revoca di alcune sanzioni reintrodotte da Trump negli ultimi anni. In particolare, su personalità ed entità iraniane gravano misure punitive decise sulla base di motivazioni derivanti da violazioni dei diritti umani. Sul merito di queste accuse è inutile soffermarsi, ma un’eventuale decisione a favore dell’Iran in questo senso da parte di Biden provocherebbe pesanti contraccolpi politici sul fronte domestico. Il Congresso e le lobby israeliane insistono infatti per non fare alcuna concessione alla Repubblica Islamica e, in caso contrario, sarebbero pronti ad aprire il fuoco della propaganda contro l’amministrazione Biden.

Il rimbalzo di responsabilità in corso tra i diplomatici americani e iraniani, per stabilire da chi dipenda la decisione finale che porti a un’intesa finale, potrebbe essere così un gioco delle parti in fase di superamento. Nei prossimi giorni ci sarà comunque maggiore chiarezza sulle reali posizioni delle parti in causa, così come sul contenuto del nuovo JCPOA. Sul tavolo resteranno però altre questioni che vanno ben al di là di quella del nucleare.

Le vere intenzioni degli Stati Uniti sono d’altra parte di diversa natura. L’eventuale archiviazione della crisi relativa al nucleare lascerà infatti spazio alla discussione dei temi più caldi, che l’Iran potrebbe non essere disposto a negoziare, come il proprio programma missilistico convenzionale e le politiche regionali, condotte del tutto legittimamente ma bollate da Washington e dal fronte sunnita mediorientale come “azioni maligne” da contrastare in tutti modi possibili.

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