L’amministrazione americana del presidente Biden sta cercando di uscire dal vicolo cieco della guerra in Afghanistan con una nuova iniziativa di pace che il segretario di Stato, Anthony Blinken, ha presentato nei giorni scorsi a tutte le parti coinvolte nel conflitto. Le proposte sono però in larga misura il riflesso delle illusioni che gli Stati Uniti continuano a nutrire e a proiettare sul paese asiatico e, come tali, hanno poche possibilità di essere accettate o tantomeno implementate, così dai Talebani come dal governo-fantoccio di Kabul.

 

In sospeso c’è sempre l’accordo firmato nel febbraio del 2020 tra i Talebani e Trump. Questo documento prevede il ritiro di tutte le forze di occupazione americane ancora in Afghanistan – circa 2.500 uomini – entro il primo maggio prossimo. Alcune clausole dell’accordo sono entrate più o meno in vigore già nei mesi scorsi, come lo stop degli attacchi talebani contro i militari USA, il ritiro di una parte dei soldati americani e l’avvio a Doha dei negoziati diretti tra i rappresentanti degli “studenti del Corano” e quelli del governo afgano del presidente, Ashraf Ghani.

La Casa Bianca e il dipartimento di Stato stanno cercando di prendere tempo, in attesa di una revisione dei termini dell’intesa sottoscritta da Trump. La data del primo maggio è però vicinissima, soprattutto se si considerano le implicazioni logistiche di un eventuale ritiro integrale, e le manovre di queste settimane difficilmente potranno cambiare la realtà di una guerra che è ormai di fatto persa.

La proposta americana di otto pagine è stata accompagnata da una lettera, pubblicata dal network afgano TOLO News, del segretario Blinken indirizzata al presidente Ghani e al suo partner di governo, nonché rivale, Abdullah Abdullah. La lettera ha dei toni quasi disperati e, nel manifestare tutta l’insofferenza americana per lo stallo dei colloqui di pace, sollecita il governo di Kabul ad agire con “urgenza”. Blinken ricorda inoltre al presidente afgano che, in caso di ritiro delle forze USA e senza un accordo con i Talebani, il suo governo potrebbe essere travolto e rovesciato anche se gli americani dovessero continuare a garantirgli assistenza finanziaria.

Il ritorno dei Talebani al potere a Kabul appare dunque inevitabile e tutto ciò che Washington, nella più ottimistica delle ipotesi, può essere in grado di influenzare è la modalità della “transizione”. Per meglio dire, dopo due decenni di guerra, gli Stati Uniti non hanno prospettive in Afghanistan e si ritroveranno davanti a uno dei due seguenti scenari. Il primo, difficilmente raggiungibile, è un disimpegno “dignitoso” che lasci in eredità all’Afghanistan un meccanismo di coesistenza pacifica tra i Talebani e l’attuale classe dirigente.

L’altro, decisamente più probabile, consiste invece in un ritiro umiliante, seguito dall’irruzione dei Talebani a Kabul e alla disintegrazione del sistema tenuto in piedi dalle forze di occupazione. Al di là di queste due opzioni c’è solo la prosecuzione della guerra, con un ulteriore aggravamento della posizione americana e il rinvio di una soluzione comunque sfavorevole agli Stati Uniti.

Nel concreto, la proposta americana prevede la convocazione di un tavolo in Turchia, patrocinato dall’ONU, per “discutere un approccio unitario a sostegno della pace in Afghanistan” e che dovrebbe includere, oltre agli USA, Russia, Cina, Pakistan, Iran e India. La partecipazione di quest’ultimo paese sarà tuttavia difficilmente accettabile per il Pakistan, il quale sostiene di fatto i Talebani e vede l’Afghanistan come uno dei principali terreni di scontro con il proprio nemico storico.

Blinken rilancia poi l’idea di una nuova Costituzione che dovrebbe uscire dal negoziato tra i Talebani e l’attuale governo afgano, così come una sorta di road map per creare un gabinetto “inclusivo” e stabilire un cessate il fuoco “permanente”. In aggiunta a ciò, l’iniziativa americana contempla uno speciale organo dedicato alla risoluzione delle dispute legate all’interpretazione della legge islamica, assieme ad altre due commissioni, una per scrivere la nuova Costituzione e l’altra per monitorare l’implementazione della tregua.

Oltre poi all’impegno per il rispetto dei diritti delle donne e della libertà di stampa, Washington pone una condizione probabilmente irricevibile dai Talebani, cioè la rimozione di “strutture militari e uomini” di stanza nei paesi confinanti, ovvero in Pakistan. Una delle idee avanzate dal segretario di Stato USA che più dimostrano l’ansia dilagante nell’amministrazione Biden è quella di un periodo di tre mesi durante il quale i livelli di violenza in Afghanistan dovrebbero essere ridotti. Questo punto intende “prevenire l’offensiva [militare] di primavera” che ogni anno caratterizza la strategia talebana.

Le probabilità che la proposta americana vada in porto sono piuttosto scarse. I Talebani non hanno ancora risposto ufficialmente, ma è improbabile che finiranno per accettare tutte le condizioni poste dagli Stati Uniti, anche se Blinken ha provato a mandare un segnale di apertura affermando di non escludere un ritiro dei soldati americani entro il primo maggio. La situazione sul campo è favorevole ai Talebani e, dopo quasi vent’anni guerra, un nuovo prolungamento del conflitto non influirà in maniera sostanziale sulla loro strategia e i loro obiettivi.

D’altro canto, anche il governo del presidente Ghani non deve avere esultato davanti all’iniziativa americana. Il suo ufficio ha già fatto sapere di essere contrario a un governo di transizione con i Talebani frutto di trattative svincolate da un voto popolare. Il leader afgano, così come l’intera classe politica che deve tutto all’occupazione americana, scommette con ogni probabilità che gli Stati Uniti non ritireranno il proprio contingente per il timore di un ritorno al potere dei Talebani. In definitiva, per il governo di Kabul si tratta di perpetuare la presenza militare straniera, unica garanzia della propria sopravvivenza, sia pure facendo qualche concessione anche solo apparente ai padroni di Washington.

Va sottolineato, infine, che il vero problema per Washington non è rappresentato tanto dalla natura fondamentalista e anti-democratica dei Talebani. Questi scrupoli non sono in nessun modo in cima alle priorità americane, se non nella misura in cui possono favorire interessi di ben altra natura. Anche se praticamente la questione non viene mai sollevata dai media ufficiali, oltretutto, l’ascesa talebana va fatta risalire alle politiche promosse proprio dagli Stati Uniti per coltivare i movimenti jihadisti in funzione anti-sovietica. Anche per questo, prima dell’11 settembre 2001 i Talebani erano visti per un certo periodo come possibili partner dagli USA e, almeno in teoria, potrebbero tornare a essere tali.

Il nodo cruciale, da cui dipende l’intero processo di pace, consiste piuttosto nel posizionamento internazionale di un futuro regime talebano che appare ormai a tutti poco meno che inevitabile. La permanenza in Afghanistan di un piccolo contingente militare USA o della CIA è un fattore importante, ma non esaurisce la questione. Decisivi saranno i rapporti che i Talebani intratterranno con paesi come Iran, Russia e Cina, visto anche che con i primi due hanno da tempo istituito canali di comunicazione, mentre per quanto riguarda il terzo si ritroveranno a ereditare accordi e progetti di investimento tutt’altro che trascurabili.

Per Biden, in definitiva, resta il dilemma irrisolto durante le amministrazioni Obama e Trump, quello cioè di una guerra impossibile da vincere e, allo stesso tempo, da gestire in modo da salvare la faccia, dando l’impressione di aver migliorato le condizioni dell’Afghanistan, ma senza perdere del tutto il vantaggio strategico derivante dal controllo di un paese determinante nella competizione tra grandi potenze nell’area euro-asiatica.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy