di Mazzetta

La Guerra di Natale non ha portato nessun dono alla povera Somalia e probabilmente non ne porterà che di avvelenati. L’invasione Etiope, assolutamente illegale, ma stigmatizzata solo da qualche stato islamico, non ha finora compiuto il miracolo, ma semmai ha contribuito a formare situazione paragonabile ad un Iraq in sedicesimo.Ora che è stato ammesso apertamente che l’invasione è stata voluta da Washington, non resta che tenere conto delle vittime fino a che al Dipartimento di Stato non decideranno diversamente. Ad oggi, qualche migliaio di morti nei combattimenti, più di trentamila profughi; oltre alle centinaia di morti e di feriti in un Mogadiscio che ogni giorno assomiglia sempre di più a Baghdad.Come a Baghdad, più velocemente che a Baghdad, la situazione volge allo stallo e a scenari di guerriglia permanente. Tutte le potenze interessate, UE, UA e USA, hanno chiesto insieme all’ONU un governo di unità nazionale, l’apertura di un dialogo tra il governo in provetta di Ghedi e Yusuf e la controparte dell’UIC (Unione Corti Islamiche), ma i due non ci sentono. Dopo aver preso il potere non hanno trovato di meglio che imporre un legge marziale che non rispetta nessuno e hanno escluso oltre quaranta parlamentari nominati al parlamento somalo durante la gestazione del Governo Federale di Transizione. Avevano anche provato ad ordinare il blocco dei media locali (persino della BBC), ma hanno dovuto soprassedere grazie alle pressioni della stampa internazionale.

Stampa peraltro troppo prona sulla linea americana, lesta a condannare gli islamici, ma assolutamente indifferente alle qualità dell’invasore, che è un dittatore fatto e vestito che fa sparare sulle manifestazioni di piazza, ha incarcerato tutta l’opposizione e detiene decine di migliaia di etiopi (in particolare studenti) in veri e propri lager. Gli amici degli USA evidentemente sono al di sopra delle critiche, un fenomeno al quale abbiamo già assistito decine di volte, e anche se il nostro paese non ha apprezzato per nulla l’invasione della Somalia, la nostra stampa sa riconoscere il più forte (che non è l’attuale governo ialino) ed allinearsi in buon ordine.

Le ultime notizie ci parlano di un guerriglia sempre più intensa nella capitale, del ritorno dei pirati e poco più. Dagli USA dicono che è un successo e anche l’atto di pirateria è stato colto per magnificare l’utilità dell’intervento americano contro i cattivi che avevano catturato una nave del Programma Alimentare Mondiale. Peccato che la nave avesse già scaricato il carico del PAM e che quindi sia la nave di un armatore qualunque, ma è facilmente intuibile che la “liberazione” di una nave che porta cibo gli affamati è molto più sexy dell’intervento per liberare un equipaggio di filippini e cingalesi a bordo di un mercantile vuoto.

L’Etiopia intanto ha cominciato il ritiro, nel senso che ha ritirato qualche reparto, ma la prevista (dall’ONU) forza di peacekeeping è lungi dall’arrivare; degli ottomila uomini previsti finora ne sono stati (quasi) promessi all’Unione Africana solo quattromila e si prevede che prima di aprile non se ne parlerà, se ce la faranno. Difficile credere che servirà qualcosa, se non ce la fanno gli etiopi che sono oltre ventimila (e senza le regole d’ingaggio ONU), aiutati dagli americani, non si vede come potrebbe farcela un’armata-arlecchino.

Difficilmente comunque la forza della UA potrà essere schierata, visto che i combattimenti aumentano invece di diminuire e visto che l’attuale governo non ha alcun seguito reale al di fuori dei clan di quelli che lo presiedono. In un situazione del genere difficilmente l’ONU schiererà le truppe per mandarle in un pantano creato da altri, ma anche i leader africani più vicini Washington (casualmente, in gran parte dittatori), per quanto volenterosi e desiderosi di compiacere il potente alleato, sembrano più inclini alla melina che all’entusiastico accorrere in soccorso dei poveri somali.

Come al solito per il Dipartimento di Stato “questa sarà la storia di un successo”, e gli islamici saranno sconfitti dai fantocci locali scelti per l’occasione. Storie già sentite, a Washington non importa quanto sangue somalo (o iracheno o afgano) sarà sparso, quello che importa è che nel risiko americano su quei paesi ci siano le bandierine del colore giusto, quello dei democratici alleati di Washington. Poco importa se saranno governi criminali e ancora meno che godano del consenso dei loro compatrioti; il colonialismo mercantilista non è un pranzo di gala.


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