La campagna elettorale negli Stati Uniti si sta infuocando a tal punto che in questi giorni si è assistito allo spettacolo di un presidente che ha apertamente celebrato e incoraggiato le violenze di organizzazioni neofasciste. L’atteggiamento di Donald Trump punta esattamente ad alimentare un clima di odio, diretto contro i manifestanti in piazza per protestare la brutalità della polizia, e dipingere qualsiasi elemento di opposizione al suo governo, incluso il Partito Democratico, come una minaccia eversiva di estrema sinistra.

 

La visita del presidente nella giornata di martedì a Kenosha è stata organizzata allo stesso identico scopo e già sul volo partito da Washington Trump ha riproposto teorie cospirazioniste e si è scagliato contro la stampa americana, co-responsabile della situazione odierna. La città del Wisconsin è da giorni il fulcro del riesplodere delle proteste popolari negli USA, dopo che il 23 agosto il 29enne afroamericano Jacob Blake era stato colpito alla schiena con sette colpi di pistola da un agente di polizia.

Il blitz a Kenosha era stato preparato da una conferenza stampa e da un’intervista a Fox News a inizio settimana, durante le quali Trump era nuovamente tornato sui fatti dei giorni precedenti. Il presidente aveva ricostruito a suo modo il doppio omicidio commesso dal 17enne Kyle Rittenhouse durante una manifestazione proprio nella cittadina del Wisconsin. Il giovane militante di estrema destra, secondo Trump, avrebbe agito per legittima difesa, anche se le immagini dell’accaduto e la sua storia personale confermano una versione diametralmente opposta.

Rittenhouse, poco prima di uccidere due manifestanti, era transitato indisturbato attraverso le forze di polizia dispiegate nelle strade di Kenosha armato di un fucile d’assalto. Solo dopo essere tornato nella sua abitazione in Illinois sarebbe stato arrestato e incriminato per il duplice omicidio. La vicenda di Rittenhouse è particolarmente illuminante per comprendere gli effetti della retorica trumpiana sugli elementi più disorientati della società americana. A inizio anno, infatti, il 17enne era stato ripreso mentre partecipava a un comizio di Trump in Iowa.

Lo stesso discorso vale per le “carovane” di militanti del sottobosco suprematista e fascistoide che sempre nei giorni scorsi si sono riversate a Portland, nell’Oregon, per far fronte al persistere delle manifestazioni contro le forze di polizia. Qui a perdere la vita in uno scontro a fuoco dai contorni non ancora del tutto chiari è stato un membro del gruppo di estrema destra Patriot Prayer, ma sono stati proprio questi gruppi estremisti ad alimentare il caos e a prendere di mira i manifestanti, il tutto con la benedizione di Trump e di almeno una parte del Partito Repubblicano.

L’ingresso di questo fenomeno “squadrista” nel quadro americano di questi mesi rappresenta un elemento estremamente preoccupante. Ben lontano dall’essere un prodotto spontaneo, esso è la diretta conseguenza della strategia di Trump per restare al suo posto dopo il voto di novembre, con o senza un successo elettorale. Questa base di estrema destra che sostiene il presidente repubblicano potrebbe facilmente essere mobilitata anche dopo la chiusura delle urne, soprattutto se le tensioni nelle città americane dovessero persistere e in caso l’esito del voto fosse incerto o la vittoria di Joe Biden risicata.

Per arrivare a questo obiettivo e, nel contempo, cercare di recuperare terreno elettorale sul rivale democratico e sviare l’attenzione del pubblico dalla disastrosa gestione dell’emergenza Coronavirus, Trump sta ingigantendo la minaccia che rappresenterebbero i movimenti di estrema sinistra per l’americano medio, preferibilmente bianco, dietro ai quali, incredibilmente, a suo dire ci sarebbero proprio Biden e il Partito Democratico. In questo scenario, la rielezione di Trump garantirebbe “legge e ordine” nelle città americane, in particolare quelle governate dai democratici come Portland o Kenosha, mentre il successo di Biden scatenerebbe il caos e una fantomatica agenda “socialista” verrebbe alla fine implementata nel paese.

La glorificazione dell’estrema destra è alimentata anche dagli ambienti trumpiani del Partito Repubblicano e dai media vicini al presidente, a cominciare da Fox News e dagli svariati siti di pseudo-informazione della galassia cospirazionista, neo-nazista e antisemita. Questi ambienti sono in sostanza gli stessi che nei mesi scorsi avevano dato vita a manifestazioni altrettanto reazionarie per denunciare le misure restrittive contro l’epidemia di Coronavirus e, di riflesso, promuovere la campagna di riapertura precoce delle attività economiche, responsabile in larga misura dell’impennata di contagi a partire dall’inizio dell’estate.

Anche se oggettivamente non esiste negli Stati Uniti una maggioranza disposta ad appoggiare le tendenze fascistoidi della Casa Bianca, la strategia adottata da Trump per garantirsi un secondo mandato sembra già raccogliere qualche successo. I sondaggi pubblicati dopo la convention repubblicana indicano un netto recupero del presidente su Joe Biden e, secondo alcuni osservatori, la reticenza di molti elettori a rivelare la propria preferenza per Trump, come accadde senza dubbio alla vigilia del voto nel 2016, fa in modo che la corsa sia ancora più equilibrata di quanto possa apparire.

Il nervosismo dei democratici è dunque palese e le pressioni su Biden si stanno moltiplicando. L’ex vice-presidente ha tenuto un discorso pubblico lunedì proprio per cercare di contrastare gli attacchi di Trump e, invece di difendere le proteste in grandissima parte pacifiche, ha assecondato i timori della classe dirigente affiliata al suo partito per denunciare le presunte violenze dei manifestanti e, in sostanza, appoggiare la durissima risposta delle forze di polizia.

Per molti, l’intervento di Biden non sarebbe stato però sufficientemente incisivo e il rischio che il candidato democratico perda ulteriore terreno da Trump sulle questioni “law and order” appare concreto. Quel che è certo, ad ogni modo, è che lo sterile appello all’unità e la difesa della polizia, sia pure la parte “buona” di essa, non farà nulla per portare al Partito Democratico i consensi di quella ampia fetta di elettorato frustrata dal sistema e in attesa di una proposta politica autenticamente progressista.

Nel frattempo, il venire sempre più allo scoperto e la legittimazione di fatto delle tendenze di estrema destra minacciano il coagularsi di forze ultra-reazionarie che, pur essendo minoranza nel paese, dispongono di una forza d’urto a dir poco preoccupante. Se i vertici militari, come ha garantito nei giorni scorsi il capo di Stato Maggiore USA, generale Mark Milley, sembrano al momento escludere un possibile intervento per risolvere un eventuale scontro politico e sociale, in altri ambienti le mire di Trump potrebbero trovare terreno fertile.

Se delle formazioni ultra-radicali si è già detto, sono molteplici i segnali che indicano come all’interno delle forze di polizia americane siano ampiamente diffuse le simpatie per Trump e le tendenze neo-fasciste. La cosa non deve d’altra parte sorprendere, sia perché rappresenta un fenomeno comune a molti altri paesi sia perché queste tendenze si riflettono, tra l’altro, in un bilancio sconvolgente in termini di vittime per mano della polizia americana. A partire dall’assassinio di George Floyd a Minneapolis il 25 maggio scorso, ad esempio, in tutto il paese sono state uccise da agenti di polizia oltre 200 persone.

A ricordare questo stato di cose è stato tra gli altri l’ex agente dell’FBI e ora ricercatore, Mike German, in un articolo apparso lo scorso fine settimana sul britannico Guardian. German ha spiegato come il “bureau” abbia messo più volte in guardia nel recente passato dalla presenza di individui di destra estrema nelle forze di polizia locale USA. Un documento ufficiale del 2006 parlava di “infiltrazioni strategiche da parte di gruppi organizzati e infiltrazioni spontanee tra il personale di polizia simpatizzante della causa del suprematismo bianco”.

Ancora nel 2015, poi, una direttiva dell’anti-terrorismo destinata agli agenti dell’FBI avvertiva della necessità di focalizzare le indagini sulle “milizie estremiste che… hanno frequentemente legami con le forze di polizia”. Casi di questo genere sono stati scoperti in decine di stati negli ultimi due decenni e sull’argomento hanno indagato e offerto prove concrete numerosi studi di organizzazioni no-profit e centri ricerca.

La risposta delle autorità locali e dei vertici degli stessi dipartimenti di polizia USA è stata tuttavia quasi sempre sterile o all’insegna dell’indifferenza. L’ex agente Mike German ha ricordato un’audizione al Congresso di Washington nel giugno 2019 del numero uno dell’anti-terrorismo dell’FBI, Michael McGarrity. Quando un deputato gli chiese se il suo ufficio era preoccupato per le infiltrazioni di suprematisti bianchi nella polizia descritte nel già ricordato rapporto del 2006, McGarrity rispose di non averlo nemmeno letto e che l’ideologia di estrema destra di questi agenti era comunque protetta dal primo Emendamento della Costituzione americana.

Tutto fuorché inspiegabile è perciò il fatto che, anche durante le ultime proteste, sia stata documentata la presenza tra le forze di polizia impegnate nel mantenimento dell’ordine pubblico – dalla California alla Pennsylvania – di agenti segnalati in passato per le loro simpatie di estrema destra o sorpresi, magari con simboli razzisti o antisemiti sulla divisa, a fraternizzare con gruppi suprematisti intervenuti in risposta agli appelli dell’inquilino della Casa Bianca.

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