Il progetto del governo conservatore di Boris Johnson per fare del Regno Unito post-Brexit una potenza in grado di muoversi in maniera indipendente ed esclusivamente secondo i propri interessi sugli scenari internazionali continua a dover fare i conti con una serie di ostacoli e complicazioni che rischiano di aprire più di un fronte di crisi sul piano interno. La questione più calda a questo proposito riguarda i rapporti con la Cina, da qualche tempo in fase calante sulla spinta delle pressioni provenienti da Washington.

Hong Kong e Huawei sono in questo frangente le ragioni principali delle frizioni crescenti tra Regno Unito e Cina, non a caso le stesse, assieme alla gestione dell’epidemia di Coronavirus, su cui si concentra l’offensiva contro Pechino dell’amministrazione Trump. Quello a cui si sta assistendo è d’altra parte l’approdo del governo di Londra sulle posizioni degli Stati Uniti in merito alla Cina, anche se il processo in atto continua a essere fonte di conflitto tra la classe dirigente d’oltremanica.

Ai tempi del governo di David Cameron, le relazioni tra il Regno Unito e la Cina sembravano avere imboccato una parabola ascendente, come dimostrava tra l’altro la partecipazione di Londra nel 2015 alla fondazione della Banca internazionale di investimenti (“Asian Infrastructure Investment Bank”) promossa da Pechino, nonostante l’opposizione degli USA. Il raffreddamento delle relazioni sarebbe seguito a breve, ma la leadership di Theresa May era stata comunque segnata solo in maniera relativa da ripensamenti e passi indietro, come l’aggiunta di alcune restrizioni a un accordo per la costruzione di nuove centrali nucleari in territorio britannico con tecnologia cinese.

L’accelerazione impressa da Johnson è coincisa alla fine con l’intensificarsi della rivalità tra Stati Uniti e Cina, manifestandosi con iniziative recenti difficilmente equivocabili. Dopo l’approvazione da parte dell’organo legislativo cinese di una controversa legge sull’ordine pubblico e la “sicurezza nazionale” per il territorio autonomo di Hong Kong, Johnson si è subito allineato alle durissime critiche di Washington, per poi avanzare l’ultra-provocatoria proposta di offrire la cittadinanza britannica a tre milioni di abitanti della ex colonia.

La presa di posizione del premier conservatore anticipa l’appoggio di Londra alle sanzioni che la Casa Bianca intende imporre ai leader cinesi coinvolti nella stesura e nell’applicazione della nuova legge per Hong Kong. L’aspetto più interessante è legato comunque al fatto che l’intransigenza ostentata dal Regno Unito rischia di essere controproducente e di avere pesanti ripercussioni economiche, come ha fatto subito notare lo stesso governo di Pechino. In linea di massima, tutte le decisioni prese e prospettate da Londra riguardo i rapporti con la seconda potenza economica del pianeta potrebbero avere implicazioni di questo genere e provocare la rottura di quell’intreccio di interessi che da qualche anno ha fatto del Regno Unito la prima destinazione degli investimenti cinesi in Europa.

Le contraddizioni sono forse ancora più evidenti nel caso di Huawei e del lancio della rete 5G. Il contributo del colosso cinese delle telecomunicazioni in questo ambito è al momento cruciale per il Regno Unito, ma anche qui delle forze formidabili, guidate principalmente da Washington, hanno innescato un evidente ripensamento. Già a gennaio, il governo Johnson si era parzialmente piegato alle pressioni, classificando Huawei come fornitore “ad alto rischio” per il 5G. La compagnia di Shenzhen aveva visto così ridursi la propria partecipazione alla rete di nuova generazione in Gran Bretagna ed esclusa dai settori più delicati dal punto di vista strategico.

Queste concessioni agli ambienti anti-cinesi più radicali hanno tuttavia incoraggiato le richieste di un’esclusione tout court di Huawei, non solo dai progetti 5G ma da tutto il sistema britannico delle telecomunicazioni. Alcuni parlamentari conservatori hanno minacciato un’aperta rivolta se il governo non fisserà a breve una data vincolante per la rinuncia alla strumentazione di Huawei utilizzata nell’intera rete di comunicazione del Regno Unito. Simili richieste sono quasi sempre espresse con isterici toni anti-comunisti e feroci denunce rivolte alla Cina relativamente a pratiche anti-democratiche e violazioni dei diritti umani, in molti casi più adatte a definire il comportamento del governo di Londra che non quello di Pechino.

La ragione pratica dello stop alla partecipazione di Huawei al lancio della rete 5G sarebbe il possibile accesso della compagnia cinese a informazioni e strutture sensibili o collegabili alla sicurezza nazionale del Regno Unito. Le stesse autorità americane caratterizzano in questo modo i rischi che correrebbero i propri alleati nell’affidare lo sviluppo del 5G a Huawei, poiché a loro dire questa compagnia sarebbe in qualche modo controllata dal governo di Pechino o comunque vincolata alle direttive dei vertici della Repubblica Popolare.

In realtà, la guerra contro Huawei, oltre a tradire le ansie degli Stati Uniti per il primato tecnologico di Pechino nella rete di nuova generazione, nasconde il timore che la macchina della sorveglianza globale americana perda buona parte delle proprie capacità di penetrazione nelle reti dei paesi, compresi quelli alleati, che utilizzano apparecchiature cinesi.

Il governo di Londra starebbe così sondando il terreno per reperire fornitori alternativi a Huawei, come le scandinave Ericsson e Nokia o la sudcoreana Samsung. La stampa britannica ha anche parlato di progetti promossi da commissioni del parlamento per identificare e promuovere produzioni domestiche di equipaggiamenti da utilizzare nel settore delle telecomunicazioni.

La strada che va in questa direzione è però tutta in salita e comporta un possibile pericoloso ritardo nell’implementazione di una rete che risulterà determinante in molti settori. Per questa ragione, non sono poche le voci che mettono in guardia il governo Johnson da scelte estreme per assecondare le pressioni americane. I vertici di Vodafone, ad esempio, questa settimana hanno avvertito che “la leadership britannica nell’ambito del 5G andrà persa se gli operatori di telefonia mobile fossero costretti a spendere tempo e denaro per sostituire le apparecchiature esistenti”, fornite da Huawei.

L’impegno che implicherebbe uno stravolgimento delle infrastrutture della rete britannica è ritenuto eccessivo e insostenibile da molti in Gran Bretagna e a questi settori più cauti dell’economia e della politica fanno riferimento coloro che hanno minimizzato i rischi di una presenza importante di Huawei nella realtà del 5G d’oltremanica. Di estremo rilievo in questo senso è stato un recente intervento del direttore del GCHQ (“Government Communications Headquarters”), cioè l’agenzia governativa che si occupa di sorvegliare le comunicazioni elettroniche e che corrisponde alla NSA americana.

Jeremy Fleming ha affermato in sostanza che l’affidamento a Huawei del controllo di una parte determinante della rete 5G non rappresenterebbe un rischio per il suo paese, per poi respingere gli allarmi arrivati nelle ultime settimane per la sicurezza dei cosiddetti “Cinque Occhi”, l’alleanza informale tra Regno Unito, USA, Canada, Australia e Nuova Zelanda che prevede lo scambio di informazioni relative alle comunicazioni elettroniche. La presa di posizione del numero uno del GCHQ era arrivata in risposta al rapporto di un “think tank” britannico che invitava appunto i governi dei “Cinque Occhi” a ridurre la propria dipendenza dalla Cina per equipaggiamenti destinati alle infrastrutture più critiche per la sicurezza nazionale.

Le opzioni di fronte a Boris Johnson e al suo governo appaiono dunque problematiche, anche perché implicano un ridimensionamento delle ambizioni per il futuro del Regno Unito. A ben vedere, il complicarsi delle prospettive di Londra, una volta finalizzata la Brexit, è dovuto alle contraddizioni insite nel progetto politico di quanti si sono battuti per l’uscita dall’Unione Europea.

La speranza era quella di liberarsi dai vincoli di Bruxelles, in modo da avere mano libera nel raggiungimento di accordi di libero scambio con qualsiasi paese, a cominciare dalla Cina, e nel rafforzare la partnership a tutto campo con gli Stati Uniti. Queste dinamiche avrebbero dovuto sia compensare la perdita di una parte del mercato europeo sia agire da leva per ottenere un accordo post-Brexit più vantaggioso con l’UE. Queste manovre si sono tuttavia scontrate con una realtà globale sempre più segnata dalla rivalità tra Washington e Pechino, che sta rendendo di fatto impossibile per Londra, così come per molti altri paesi alleati degli Stati Uniti, mantenere un atteggiamento equidistante tra le due potenze.

Costretto a fare una scelta, il primo ministro britannico ha finito per muoversi cautamente contro la Cina. Ma, alla luce del clima venutosi ormai a creare, le pressioni da destra per intensificare le politiche anti-cinesi si sono moltiplicate e, inevitabilmente, sono iniziate ad arrivare anche le reazioni di Pechino. Il risultato potrebbe essere così l’aggravarsi della crisi politica e dell’isolamento internazionale del Regno Unito, costretto a rinunciare al miraggio di un futuro da grande potenza strategicamente indipendente e a dover scegliere invece tra la partnership con i padroni di Washington e le opportunità economiche e commerciali offerte dalla Cina.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy