Il ritiro dalla corsa alla nomination democratica di Bernie Sanders ha di fatto consegnato la vittoria nelle primarie del Partito Democratico all’ex vice-presidente Joe Biden. Significativamente, la decisione del senatore “democratico-socialista” del Vermont è arrivata in piena emergenza Coronavirus negli Stati Uniti, cioè quando la sua proposta politica “radicale”, incentrata in buona parte su un ruolo più forte dello stato nel settore della sanità, sembrava in grado di raccogliere un consenso sempre più vasto. A ben vedere, la ragione principale dell’abbandono, determinato da fortissime pressioni dei vertici democratici, a cominciare dall’ex presidente Obama, potrebbe essere proprio il crescente appeal dell’agenda di Sanders in parallelo all’avanzata dell’epidemia.

Il tempismo della sua uscita di scena è stato singolare, visto che è arrivata il giorno dopo il voto nelle primarie del Wisconsin, per le quali i risultati non saranno noti ancora per svariati giorni. Gli exit poll in questo stato non sono infatti disponibili per via delle misure anti-COVID-19. Sul voto c’era stato un duro scontro politico dopo che il governatore democratico aveva rinviato le primarie a giugno, prima della cancellazione del provvedimento da parte della Corte Suprema statale. Se l’intenzione di Sanders era quella di lasciare, è evidente che un annuncio avvenuto solo pochi giorni prima avrebbe evitato il recarsi alle urne di molti votanti democratici che martedì hanno invece rischiato il contagio.

Il ritiro di Sanders ha comunque comportato una prevedibile e avvilente dichiarazione di appoggio a Joe Biden, ovvero la personificazione stessa dell’establishment ultra-corrotto e reazionario contro cui il senatore del Vermont aveva condotto una durissima campagna. In un discorso video di un quarto d’ora postato su Twitter, Sanders ha assicurato che intende indirizzare il “movimento” creato attorno alla sua candidatura verso il vicolo cieco della candidatura Biden.

Il processo che si aprirà ora è sostanzialmente lo stesso di quattro anni fa, quando Sanders uscì da un’aspra contesa con Hillary Clinton e finì per sostenerla in pieno malgrado il complotto orchestrato nei suoi confronti dal Partito Democratico per impedirgli di conquistare la nomination. Se i toni quest’anno sono stati apparentemente meno accesi, dopo i primi successi di Sanders nelle primarie (New Hampshire, Nevada) i vertici democratici avevano mobilitato tutti gli ambienti politici, mediatici e della società civile vicini al partito per resuscitare la campagna di Biden.

Le successive primarie della South Carolina e gli appuntamenti del “Supermartedì” avevano così assicurato il rilancio dell’ex vice-presidente, nemmeno scalfito dall’evidente deteriorarsi delle sue condizioni di salute mentale e dal moltiplicarsi delle accuse di molestie sessuali. La macchina del Partito Democratico ha in definitiva boicottato il candidato che ancora nel mese di febbraio era sulla rampa di lancio verso la nomination e stava generando i maggiori entusiasmi nel paese grazie alla sua agenda progressista.

Nello spiegare il ritiro, Sanders ha rivendicato il suo ruolo nello spostare a sinistra il dibattito politico americano e, a suo dire, il fatto di avere introdotto alcuni temi cruciali, come l’assistenza sanitaria pubblica universale o l’istruzione universitaria gratuita, nella coscienza collettiva del Partito Democratico. Da queste premesse, il 78enne senatore ha prospettato un ruolo determinante dei suoi sostenitori nella formulazione della piattaforma del partito in vista delle presidenziali di novembre. In realtà, anche quest’anno Sanders ha svolto il ruolo previsto per lui dall’establishment democratico, vale a dire quello di incanalare verso il partito l’avversione per il sistema oligarchico americano, se non per il capitalismo stesso, e neutralizzarne la portata potenzialmente rivoluzionaria.

In questo senso, non è un caso che a spingere Sanders verso l’uscita dalla competizione per la nomination sia stata in qualche modo la più grave crisi sanitaria da un secolo a questa parte. La vergognosa gestione dell’epidemia di Coronavirus da parte dell’amministrazione Trump ha mostrato in tutta la sua drammaticità le carenze della sanità americana basata sul settore privato, portando all’attenzione di decine di milioni di persone la necessità di un solido sistema pubblico.

Proprio in questo frangente, le potenzialità della proposta politica di Sanders sembravano poter tornare ad avere un peso determinante, forse addirittura in chiave nomination. Lo sfidante di Biden, invece, ha mollato precisamente in questo momento, quasi a sottolineare la necessità di evitare la radicalizzazione del clima politico negli Stati Uniti. In altre parole, con la minaccia concreta di un’esplosione sociale nel paese, alimentata anche dall’impennarsi del numero dei disoccupati, Sanders ha abbandonato qualsiasi pretesa di alternativa progressista o “rivoluzionaria”, per impedire che la situazione sfuggisse di mano. Sulla decisione ha pesato comunque anche l’opera di convincimento dei leader democratici. La stampa USA ha infatti scritto che Obama aveva intrattenuto “svariate conversazioni telefoniche” con Sanders nelle ultime settimane.

Recentemente, Sanders aveva già provveduto ad attenuare la retorica di “sinistra”, abbracciando inoltre le iniziative del Congresso per ridurre l’impatto economico del Coronavirus, oggettivamente sbilanciate a favore di Wall Street e delle grandi aziende. Sanders aveva votato a favore del pacchetto di aiuti da duemila miliardi di dollari e, parallelamente, nei suoi discorsi non si è più trovata traccia di proposte per reperire risorse tra le enormi ricchezze private americane.

La lezione più importante del secondo fallimento di Bernie Sanders nella corsa alla Casa Bianca, nonostante la capacità di generare un seguito popolare difficilmente eguagliabile da qualsiasi altro politico americano negli ultimi decenni, consiste dunque nell’avere mostrato ancora una volta come siano illusori e inutili i tentativi di utilizzare il Partito Democratico come strumento di cambiamento in senso anche solo moderatamente progressista.

Il ritiro di Sanders lascia ora strada a Joe Biden nella corsa alla Casa Bianca, anche se non è da escludere che proprio la decisione del senatore del Vermont possa consentire un qualche colpo di mano ai leader democratici se l’ex vice-presidente dovesse mostrarsi impossibilitato, con ogni probabilità per ragioni di salute, a sostenere una campagna efficace contro Trump. Alcune voci sui media americani stanno già circolando sulla possibile alternativa di Andrew Cuomo, la cui gestione dell’emergenza Coronavirus in veste di governatore dello stato di New York continua a essere elogiata dai media vicini al Partito Democratico.

I sondaggi su base nazionale stanno in ogni caso evidenziando un vantaggio più o meno consistente di Biden sull’attuale inquilino della Casa Bianca. Le rilevazioni sono però premature e, a meno che la situazione economica negli Stati Uniti dovesse precipitare nei prossimi mesi, destinate a cambiare drasticamente non appena inizierà la vera e propria campagna elettorale con i due candidati che si fronteggeranno quotidianamente. A contare, infine, non saranno tanto gli equilibri nazionali, quanto le sfide in una manciata di stati perennemente in equilibrio, dall’Ohio alla Florida, dove la strada di un candidato ultra-screditato e legato a doppio filo all’apparato di potere di Washington come Joe Biden risulterà decisamente in salita.

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