Nel pieno dell’emergenza Coronavirus, il ministero della Giustizia britannico ha deciso il rilascio temporaneo di circa 4 mila detenuti dalle carceri di Inghilterra e Galles per contenere la diffusione dell’epidemia in strutture che sono diventate di fatto ad altissimo rischio. Tra coloro che hanno beneficiato del provvedimento non figura però il detenuto politico più famoso del pianeta, il fondatore di WikiLeaks Julian Assange, per il quale il contagio potrebbe risultare letale e rappresenterebbe con ogni probabilità un esito gradito al governo di Londra.

I carcerati per i quali sono state per il momento decise pene alternative sono quelli considerati a “basso rischio” e verranno controllati con dispositivi come braccialetti elettronici. Per quanto riguarda Assange, i suoi legali avevano già presentato un’istanza di scarcerazione il 16 marzo scorso per via del rischio che costituivano le sue condizioni di salute, aggravatesi sensibilmente da anni di persecuzioni e torture subite in Gran Bretagna. Il ricorso era stato ovviamente respinto dal giudice Vanessa Baraitser, incaricata del caso relativo all’estradizione di Assange negli USA nonostante un colossale conflitto di interessi dovuto ai legami del marito con ambienti del “Foreign Office” britannico.

 

La mancata inclusione di Assange nel provvedimento di rilascio provvisorio suona come un’ulteriore beffa che conferma il carattere persecutorio e vendicativo della sua detenzione prolungata. Il numero uno di WikiLeaks non rientra infatti nella categoria dei carcerati a cui sono stati concessi gli arresti domiciliari perché non sta scontando una sentenza, bensì è in attesa di un verdetto di estradizione.

In altre parole, Assange deve continuare a restare esposto al rischio di contrarre il COVID-19 e, probabilmente, di morire in quanto non è stato giudicato colpevole di alcun crimine, ovvero è innocente. Per meglio dire, la sua detenzione e il pericolo di contagio sono dovuti precisamente al fatto di avere  pubblicato materiale riservato che documenta i crimini dell’imperialismo americano.

Nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, Assange è rinchiuso in condizioni barbare dall’aprile del 2019, quando fu illegalmente prelevato con la forza dall’ambasciata dell’Ecuador a Londra in seguito a un accordo criminale tra i governi dei due paesi. Negli Stati Uniti, dove potrebbe essere consegnato, è incriminato secondo capi d’accusa che fanno riferimento all’ultra-reazionario “Espionage Act”, rischiando fino a 175 anni di carcere. Per rispettare formalmente il trattato di estradizione tra USA e Regno Unito, le autorità americane hanno per ora escluso accuse che prevedono la pena di morte, ma è altamente probabile che, una volta giunto sul territorio degli Stati Uniti, ci siano ad attendere Assange capi d’imputazione anche di questo genere.

Il rischio di contagio nelle carceri britanniche resta estremamente concreto, malgrado il ministero della Giustizia abbia approvato un apposito piano di emergenza. Gli ultimi dati ufficiali parlano di quasi un centinaio di detenuti testati positivi al virus e parecchie guardie carcerarie. Più di mille sono invece i carcerati in isolamento cautelare e addirittura 8 mila tra il personale esterno delle strutture di Inghilterra e Galles.

Secondo i legali di Assange, 200 guardie della prigione di Belmarsh sarebbero in isolamento perché infetti o sospetti contagiati. Ciò dimostra che il Coronavirus potrebbe già essere presente anche tra i detenuti del carcere che “ospita” Assange, facendo aumentare seriamente il rischio di un suo imminente contagio. Non solo, in altre strutture sono già stati registrati una manciata di decessi per COVID-19, sia tra i detenuti sia tra il personale che vi lavora.

Dopo i rifiuti della giustizia britannica di liberare Julian Assange, numerosi medici e associazioni di specialisti hanno indirizzato lettere aperte al governo di Londra per chiederne il rilascio immediato ed evidenziare i fattori di rischio associati alle sue condizioni. Assange soffre ad esempio di una patologia cronica ai polmoni, conseguenza degli anni durante i quali è stato costretto a rifugiarsi all’interno dell’ambasciata ecuadoriana e che potrebbe risultare fatale in caso di contagio da COVID-19.

Un gruppo di noti psicologi e psichiatri ha inoltre spiegato come anni di comprovata tortura psicologica abbiano creato una situazione di stress estremo che, tra l’altro, ha a sua volta provocato in Assange un quadro di immunodepressione evidentemente in grado di favorire un rapido aggravarsi della sua salute in caso di contagio da Coronavirus.

Se la liberazione del fondatore di WikiLeaks era dunque già urgente prima dell’esplodere della pandemia in corso, essa è diventata ancora più necessaria nelle ultime settimane. A ricordare quanto sia assurda, crudele e disumana la sua continua detenzione non sono solo le grave condizioni di salute accertate da tempo, ma anche i meriti straordinari di Assange.

A questo proposito, proprio in questi giorni ricorre il decimo anniversario dalla pubblicazione da parte di WikiLeaks del famigerato video “Collateral Murder”, una delle più eccezionali testimonianze della brutalità della guerra scatenata dall’amministrazione Bush contro l’Iraq. Il filmato documentava l’assassinio deliberato di 18 civili disarmati, tra cui due giornalisti della Reuters, da parte dell’equipaggio di un elicottero americano Apache a Baghdad nel luglio del 2007.

La pubblicazione del documento che mostrava la strage ebbe un impatto enorme sulla coscienza di decine di milioni di persone in tutto il pianeta, distruggendo ciò che restava della pretesa degli Stati Uniti di avere condotto una guerra di liberazione nel paese mediorientale. L’orrore provocato non è mai stato dimenticato dalla classe dirigente americana, così come di quella dei suoi alleati e complici nel più grande crimine di guerra del ventunesimo secolo.

“Collateral Murder” resta uno dei motivi principali della persecuzione di Assange, così come di quella che ha preso di mira la fonte del video, Chelsea Manning, che fece avere eroicamente il filmato a WikiLeaks per la pubblicazione. L’ex analista dell’intelligence militare USA è stata recentemente rilasciata dopo avere tentato il suicidio in carcere, dove era stata rinchiusa per altri sei mesi a causa del suo rifiuto di testimoniare contro Assange davanti a un “grand jury” convocato appositamente per l’incriminazione del giornalista australiano.

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