Gli iscritti del Partito Social Democratico tedesco (SPD) hanno respinto nel fine settimana la linea dell’austerity e la collaborazione con la CDU (Unione Cristiano Democratica) della cancelliera Angela Merkel, per scegliere una nuova leadership che rappresenta almeno sulla carta una qualche alternativa progressista. La coppia che dovrebbe guidare il partito, formata dai finora poco conosciuti Norbert Walter-Borjans e Saskia Esken, ha infatti battuto piuttosto nettamente nel ballottaggio decisivo i candidati preferiti dall’establishment socialdemocratico, Klara Geywitz e, soprattutto, il vice-cancelliere e attuale ministro delle Finanze, Olaf Scholz.

Il voto era stato indetto dopo le dimissioni offerte lo scorso mese di giugno dall’allora leader della SPD, Andrea Nahles, in seguito alla pessima prestazione del suo partito nelle elezioni europee. I candidati alla successione si erano presentati in coppie, composte da un uomo e una donna, e le due che si sono affrontate sabato erano quelle con i maggiori consensi ricevuti dopo il primo turno.

Mentre Scholz e Geywitz erano dati come i favoriti in senso assoluto, la necessità del ballottaggio, a causa del mancato ottenimento della maggioranza assoluta al primo turno, li ha penalizzati per via del compattamento dei voti che si erano spartiti i loro rivali. A dire il vero, il 55% ottenuto da Borjans ed Esken testimonia della crescente insofferenza per la deriva della SPD, arrivata a tal punto che la maggioranza dei circa 425 mila iscritti ha finito per premiare due membri del partito semi-sconosciuti grazie a una piattaforma in teoria diametralmente opposta al candidato di gran lunga più noto su scala nazionale, oltre che tra i politici più potenti a livello federale.

Norbert Walter-Borjans ha ricoperto la carica di ministro delle Finanze nel governo dello stato della Renania Settentrionale-Vestfalia dal 2010 al 2017. La sua partner nella segreteria del partito, invece, è un membro del parlamento federale per la SPD. La nuova leadership dovrà essere confermata dal congresso del partito, in programma tra venerdì e domenica. Se vi sono pochi dubbi sul fatto che i delegati ratificheranno la scelta degli iscritti, c’è molta attesa per la mozione programmatica che sarà votata, in particolare per quanto riguarda il futuro della “grosse Koalition” guidata dalla Merkel.

Borjans ed Esken avevano impostato la loro campagna elettorale su una possibile uscita dal governo con la CDU e i cristiano-sociali bavaresi (CSU) se non dovesse esserci una revisione dell’accordo che aveva fatto nascere l’ennesimo gabinetto Merkel nel 2017. Ufficialmente, i due partiti di destra dovrebbero accettare l’introduzione nel programma di governo di iniziative di carattere progressista, come ad esempio l’aumento del salario minimo, una tassa sulle grandi ricchezze e un pacchetto contro i cambiamenti climatici.

Com’è ovvio, la Merkel non ha alcuna intenzione di spostare a sinistra, sia pure in maniera trascurabile, il baricentro politico del proprio governo. Il muro contro muro che si prospetta ha spinto così in questi giorni i media tedeschi e non solo a ipotizzare un voto anticipato nei prossimi mesi. Il ritiro della fiducia al governo di Berlino da parte della SPD appare tuttavia improbabile. I vertici del partito sono fermamente contrari a una crisi di governo. Per cominciare, la SPD, in caso di elezioni federali, andrebbe con ogni probabilità incontro a una nuova batosta, come sembrano confermare i sondaggi che danno il partito attorno al 14%, cioè in netta discesa dopo il già deludente 20,5% del 2017.

Molti commentatori escludono perciò che la nuova leadership socialdemocratica possa decidere di tenere una linea dura con CDU-CSU, fino a forzare un’elezione anticipata. Con la legge di bilancio per il 2020 già approvata, oltretutto, la Merkel potrebbe più o meno agevolmente restare alla guida di un governo di minoranza fino al prossimo appuntamento elettorale del 2021.

L’opzione voto anticipato è poi ancora meno probabile se si considera che la Germania assumerà la presidenza dell’Unione Europea il prossimo 1° luglio e praticamente tutti gli schieramenti intendono evitare scosse politiche in concomitanza con questo evento. Simili scenari potrebbero dunque rendere superflue anche eventuali trattative per imbarcare nel gabinetto federale altre forze politiche in sostituzione della SPD, dai Verdi all’ex partner di governo della CDU-CSU, il Partito Liberal Democratico (FDP).

La Merkel e il suo partito potrebbero piuttosto decidere di accettare alcune proposte dei nuovi segretari della SPD ritenute non troppo destabilizzanti, magari sul fronte delle politiche ecologiste. Ciò potrebbe bastare ad allentare momentaneamente le pressioni e a convincere il duo Borjans-Esken a mettere in stand-by le richieste-chiave del loro programma, rilanciandole in occasione della campagna elettorale del 2021.

Indicazioni più chiare sul futuro del Partito Social Democratico e del governo Merkel emergeranno probabilmente dopo il congresso della SPD nel fine settimana. La crisi di questo partito resterà comunque una questione aperta e, anzi, rischia di aggravarsi proprio in seguito all’elezione della nuova leadership.

I due neo-segretari fanno parte di quella fazione della SPD, composta in particolare dalla sezione giovanile del partito, che vede in un riorientamento verso sinistra, in verità più apparente che sostanziale, l’unico modo per recuperare consensi tra la propria base elettorale di riferimento. La necessità di ritrovare un riferimento politico alternativo alle politiche di austerity senza fine e al pensiero unico neo-liberista è infatti alla base del voto del fine settimana a favore di Norbert Walter-Borjans e Saskia Esken o, più precisamente, contro il ministro delle Finanze Olaf Scholz.

Milioni di lavoratori, giovani e disoccupati tedeschi hanno abbandonato la SPD in parallelo allo spostamento a destra di questo partito, responsabile, fin dalle “riforme” del welfare del governo Schroeder oltre un decennio fa, dell’implementazione di politiche anti-sociali e a difesa dei grandi interessi economico-finanziari che, in definitiva, hanno contribuito all’avanzata dell’estrema destra.

In una situazione che sembra per certi versi quella del Partito Laburista britannico, la SPD odierna si ritrova con i vertici in buona parte favorevoli alla deriva verso destra in atto da tempo e la propria base che spinge invece in direzione contraria. L’approdo alla guida della SPD di due leader teoricamente allineati a quest’ultima tendenza fa dunque intravedere l’esplosione di un conflitto aperto nel partito, già alimentato negli ultimi anni dai ripetuti rovesci elettorali.

Le probabilità che il Partito Social Democratico torni a guardare a sinistra, al di là delle decisioni che verranno prese circa la permanenza nella “grosse Koalition”, sono comunque minime, per non dire inesistenti. La SPD è ormai un partito integrato nel sistema di potere tedesco e, in quanto tale, è stato parte attiva nella contro-rivoluzione operata in questi anni per garantire il salvataggio del capitalismo indigeno.

Mentre, da un lato, i socialdemocratici o una parte di essi cercano di evitare di scivolare nell’irrilevanza politica, i vertici del partito continuano a operare per la promozione di politiche reazionarie sul fronte interno e aggressive su quello internazionale. A dimostrazione della natura del partito, proprio alla vigilia del voto per la nuova leadership socialdemocratica, il parlamento aveva approvato il bilancio federale per il 2020 firmato dal ministro delle Finanze, nonché candidato sconfitto alla guida della SPD, Olaf Scholz.

In esso è previsto, tra l’altro, un sensibile aumento della spesa militare che, in un solo anno, salirà di ben 12 miliardi di euro, nel quadro di un adeguamento alle direttive NATO che prevedono un livello pari al 2% del PIL dei paesi membri. Inevitabilmente, queste risorse dovranno in ultima analisi essere sottratte alla spesa sociale, per andare a finanziare, ovunque gli interessi del capitalismo tedesco siano in gioco, il rilancio di politiche da grande potenza, promosse da tempo e in primo luogo proprio dai leader del Partito Social Democratico.

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