di Bianca Cerri

Qualcuno ha definito Barack Obama “un miraggio” e forse lo è, visto che in poco più di un anno è riuscito a passare da perfetto sconosciuto a candidato ufficiale alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Non si sa se ha già saggiato gli umori della gente, visto che la sua dote maggiore è proprio quella di adeguarsi alla tendenza del momento senza dire mai nulla di veramente concreto. Ai media, l’allure popolare di Obama non dispiace, perchè ha il pregio di essere commerciabile come qualsiasi altro prodotto e tanto basta. L’unica cosa incomprensibile è perché vengano associati al suo nome concetti altisonanti come l’uguaglianza razziale. Il personaggio è labile come una banderuola esposta alla tramontana e la sua mente non riesce ad andare oltre l’effimero. Nonostante riesca a far credere di essere pronto a risolvere anche i mali più antichi della società, basta grattare sotto la superficie per scoprire il vuoto. Non che i suoi probabili avversari siano migliori, visto che si vantano di privilegiare la verità senza mai lasciar trapelare dove stiano andando a parare. L’annuncio che Barack Obama aveva formato una Commissione Elettorale aveva inizialmente sorpreso anche alcuni tra i commentatori politici più stagionati, ma sentendolo parlare la loro sorpresa è rientrata.. Obama riconosce che gli Stati Uniti si trovano in un momento molto difficile, con una sanità costosa e al tempo stesso inefficiente, tasse universitarie che solo un nababbo può permettersi e, soprattutto, una spesa militare che ha ridotto il paese sul lastrico; ma non ha mai spiegato agli americani come uscirne. Continua ad indugiare nell’auto-compiacimento sperando che la nomination democratica vada a lui e non a Hillary Clinton o a John Edwards, già pupillo di John Kerry alle presidenziali del 2004, tornato a casa con la coda tra le gambe.

Qualcuno crede che sia il colore della pelle il vero avversario dell’attuale superstar della scena politica, ma non è così. Barack Obama è figlio di una donna bianca e di un nero di origini keniote, il che fa di lui un meticcio. In campagna elettorale non potrà dunque puntare sugli antenati assoggettati alla schiavitù né vantarsi di avere origini umili. Detto altrimenti: la sua condizione era già prima del debutto politico molto diversa da quella della maggior parte degli afro americani dei quali vorrebbe aggiudicarsi i voti. La sua principale preoccupazione dovrebbe essere piuttosto quella di dotarsi di una vera spina dorsale e diventare un vero uomo politico in tempo per il 2008, visto che fino a questo momento ha solo spinto per i finanziamenti pubblici al suo partito prima ancora di averne discusso con il Direttivo.

Le aspettative nei suoi confronti di Barack Obama sono molto alte, ma proprio lui rischia di compromettere tutto per mancanza di piani concreti. Non basteranno le sue abilità dialettiche a prevalere su un avversario come Hillary Clinton, che venderebbe anche la propria famiglia per aggiudicarsi il potere, ammesso che non l’abbia già fatto. Poco tempo fa, il segretario particolare di Obama si è lamentato per la mancanza di accuratezza con la quale la stampa non di regime lo aveva descritto ai lettori. Nella fattispecie, i giornalisti avevano deprecato il comportamento indifferente di Obama nei confronti dei prigionieri di Guantanamo e le sue parole, giudicate troppo blande, sulle torture imposte dagli americani. D’altra parte, le ragioni per temere che al senatore democratico interessi più rassicurare l’establishment corporativo che mettere fine alle ingiustizie, non mancano. La sua vaghezza nei confronti di un tema duro come la guerra rischia di inimicargli quella parte dell’elettorato contraria agli interventi militari.

E’ quasi certo che gli americani non torneranno a votare per il partito di Bush, ma questo non significa necessariamente che favoriranno Obama se le sue posizioni continueranno ad essere ambigue. I più delusi potrebbero essere proprio i simpatizzanti del partito democratico che alle precedenti elezioni presidenziali avevano dovuto sorbirsi candidati come Howard Dean e John Kerry e speravano nell’arrivo di un uomo capace di parlare chiaro. Perché il problema non è se preferire la grinta di Hillary alla vaghezza di Obama, ma accordare la fiducia ad un candidato che sappia assumersi le proprie responsabilità. Prima fra tutte quella di condannare a chiare lettere l’attacco illegale al popolo iracheno, la distruzione delle infrastrutture dell’Iraq, l’orrore voluto da Washington e immancabilmente addebitato ai “terroristi”. E qualcosa ci dice che quell’uomo non sarà Barack Obama.


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