di Giuseppe Zaccagni

Le istituzioni ufficiali dell’Europa democratica e antifascista per ora mantengono il silenzio. E così l’Estonia si spinge sempre più a destra, verso lidi che ricordano gli anni del fascismo e del nazismo. Con il vertice del paese che rispolvera le peggiori tradizioni reazionarie e mette in atto una politica di totale revisione della storia. A Tallin, infatti, il parlamento vara una legge che permette alle amministrazioni locali di smantellare quei monumenti eretti in memoria dei militari sovietici che morirono sul territorio estone durante la Seconda guerra mondiale. E quella battaglia per la libertà del Baltico e per cacciare da quelle terre le SS naziste viene non solo contestata, ma si parla addirittura di aggressione sovietica e di una conseguente “occupazione”. La nuova legge, comunque, viene presentata come espressione di una nuova forma di civiltà democratica. Si sostiene che una certa “arte monumentale” (e questo eufemismo sta per “tombe” nei cimiteri di guerra) può contribuire ad alimentare l’ “odio razziale”. E di conseguenza si considerano i soldati sovietici sepolti in Estonia come i rappresentanti di un’altra razza... Non solo, ma nella legge si sostiene che i fatti dell’ultima guerra vanno considerati come una “occupazione dello stato estone”. E così via libera per "smantellare i monumenti e qualsiasi altro simbolo in grado di minacciare l'ordine sociale nonchè il prestigio internazionale dell'Estonia". Ma sull’intera vicenda si scatenano le proteste che però coinvolgono solo quella pur agguerrita minoranza che ricorda il valore della guerra antifascista. Il fronte che si oppone - quello della destra - conta sui deputati della “Unione Patriottica”, sul “Partito dei riformatori” ed infine sui socialdemocratici che si sono vergognosamente uniti agli ambienti più reazionari del paese.
Ma nonostante tutta questa situazione di crisi Tallin va avanti nelle sue scelte.

Torna ad ispirarsi a quel 1921 quando i suoi governi si orientarono sempre più verso destra e poi, dopo aver stroncato un colpo di stato comunista nel 1924-25, mirarono a riformare la costituzione in senso autoritario. Sino a giungere a quel 1935 quando venne imposto lo stato d'assedio. Allora vennero soppressi anche i partiti e si costituì una camera corporativa. Ci fu poi, nel 1941 l'occupazione tedesca che si protrasse sino al settembre 1944. L’Estonia fu quindi liberata dall’Armata Rossa. Si impose però un governo sovietico che non riuscì a creare una situazione di reale normalizzazione.

Nell’immediato dopoguerra si registrò poi un massiccio esodo di estoni di origine svedese e tedesca e di dissidenti che non accettavano la nuova situazione politica. Nel Paese restarono, comunque, ampi schieramenti antisovietici, antirussi ed anticomunisti che continuarono ad operare in condizioni di clandestinità. La perestrojka gorbacioviana ha poi contribuito - nonostante tutte le buone intenzioni democratiche - a portare alla luce le tendenze antisovietiche sino a giungere alla proclamazione dell'indipendenza politica: quel totale distacco dall’Urss mentre a Mosca si registrava la farsa del colpo di stato contro Gorbaciov. Era appunto il 20 agosto del 1991.

Ma per l’Estonia la transizione non è finita. L’obiettivo attuale consiste nel cancellare ogni traccia di “regime sovietico”. Ecco perchè anche le tombe dei soldati che vinsero il nazismo danno fastidio. E a Tallin, negli ambienti democratici, la domanda che avanza sempre più è questa: “Cosa pensa l’Europa?”.


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