di Giuseppe Zaccagni

La piccola e disastrata Repubblica Popolare di Corea (Nord) - dominata da Kim Jong Il - continua a far paura per il suo (controverso) programma nucleare. Ed ora – precisamente l’8 febbraio, a Pechino – andrà a sistemarsi nella gabbia degli imputati. Avrà di fronte i giudici di cinque paesi: i nemici tradizionali che sono gli Usa, la Corea del Sud, la Gran Bretagna e gli amici critici come la Russia e la Cina. E sarà, appunto, in questo singolare tribunale internazionale che la Corea del Nord dovrà rispondere sul contenuto reale di quei segnali bellicosi rivolti al mondo nei mesi scorsi: un eventuale lancio di missili – i “Taepodong 2 - con testate nucleari capaci di raggiungere l’Alaska. Al tavolo di Pechino i coreani (dopo i positivi contatti preliminari a Berlino con gli Usa) potranno contare su russi e cinesi come difensori d’ufficio. Per Mosca, comunque, le eventuali sanzioni contro la Repubblica Popolare potrebbero essere messe in atto, ma non si dovrebbe mai arrivare all’uso categorico della forza. Il motivo? Sta nel fatto che la Corea confina anche con la Russia e, di conseguenza, - come ha detto recentemente il ministro della Difesa del Cremlino, Sergej Ivanov - “Immaginatevi che cosa succederebbe se ci fossero azioni militari sul territorio nordcoreano!". Posizione di cauta attesa è poi quella della Cina. Perché Pechino si dice sempre pronta ad agire nei confronti di Pyongyang "con fermezza, ma in modo costruttivo e con prudenza", mantenendo rapporti amichevoli e solidi, nonostante il governo nor¬dcoreano mostri sempre una decisa ostilità nei confronti della politica di aperture promossa dai cinesi. E’ chiaro, comunque, che la Cina non vuole la disintegrazione del sistema politico nordcoreano, per non mettere in pericolo la pace nella penisola e nell’intero continente.

Duri e all’attacco su tutti i fronti saranno poi i rappresentanti degli Usa, i quali potrebbero ribadire la linea delle sanzioni e dei controlli internazionali. E precisamente il blocco dei prodotti militari e di tutti gli articoli di lusso; il potere di ispezionare i carichi di merci che entrano o escono dal paese; un congelamento bancario di qualsiasi somma legata ai programmi bellici di Pyongyang; la messa al bando di aerei e navi nordcoreani da tutti gli aeroporti e i porti del mondo e restrizioni sui movimenti di esponenti ufficiali nordcoreani.

Sempre a Pechino gli uomini di Kim Jong Il – nel quadro di una loro politica di difesa e di contemporaneo attacco - riapriranno anche una questione che sembrava accantonata. E precisamente quella loro richiesta - avanzata agli Stati Uniti - di revocare le sanzioni imposte per presunto riciclag¬gio di denaro sporco e contraffazione che portarono, a suo tempo, al congelamento di 24 milioni di dollari su un conto di una banca di Macao intestato a Pyongyang. Ma a parte ogni controversia che figurerà sul tavolo di Pechino, è chiaro che i coreani hanno interesse a far slittare il più a lungo possibile qualunque decisione relativa alle loro iniziative atomiche, in modo da far accettare alla comunità internazionale il suo eventuale status di potenza nucleare come sono il Pakistan e l'India. Intanto gli esperti militari di vari paesi occidentali insistono nel sostenere che la Corea del Nord disporrebbe di una mezza dozzina di bombe atomiche.

Questo il contenzioso verrà esaminato nel corso dei colloqui di Pechino. Con molta probabilità la Corea del Nord dovrebbe riuscire a superare la condizione di isolamento nella quale si trova. L’arma che verrà utilizzata dai rappresentanti di Pyongyang potrebbe essere quella delle relazioni economiche e commerciali, soprattutto nei confronti della Russia che, da tempo, ha bisogno di manodopera per le sue regioni siberiane. E si sa che più volte Kim Jong Il ha fatto balenare la possibilità di aprire le frontiere per far arrivare contadini ed operai in quelle zone della Russia che più hanno bisogno di manovalanza straniera. Si tratterebbe, in sintesi, di uno scambio singolare: uomini contro favori politici e diplomatici. E Mosca, è noto, è sensibile ai problemi relativi al suo sviluppo economico nell’Estremo oriente.



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