La freschissima crisi di governo in corso in Austria ha disintegrato un’alleanza di destra che, negli ultimi 17 mesi, aveva cercato di implementare un’agenda politica ed economica all’insegna dell’ultraliberismo e della xenofobia. A determinare la caduta dell’esecutivo del cancelliere, il 32enne leader del Partito Popolare Austriaco (ÖVP) Sebastian Kurz, non è stata però una rivolta contro la deriva reazionaria registrata a Vienna, bensì una manovra altamente sospetta che ha coinvolto in uno scandalo il numero due del governo, Heinz-Christian Strache del Partito della Libertà (FPÖ) di estrema destra.

 

Com’è noto, venerdì scorso due giornali tedeschi avevano pubblicato un video nel quale Strache si intratteneva con la presunta figlia di un miliardario russo e altri ospiti in una villa a Ibiza nel luglio del 2017, cioè alcuni mesi prima delle elezioni che avrebbero riportato il suo partito al governo. Sull’isola spagnola, Strache aveva discusso di possibili donazioni all’FPÖ in cambio di favori sotto forma di appalti pubblici.

 

 

Da principio, il futuro vice-cancelliere era sembrato respingere proposte palesemente illegali ma, con il proseguire della serata, aveva iniziato a ostentare contatti ai vertici dello stato austriaco, fino ad arrivare a offrire, a fronte di denaro per il suo partito, potenziali contratti per lavori pubblici in quel momento e ancora oggi in gran parte appaltati alla compagnia austriaca di costruzioni STRABAG.

 

Nell’estate del 2017 l’FPÖ non deteneva alcun incarico di governo e Strache non poteva evidentemente elargire favori ai suoi interlocutori russi. Nemmeno in seguito alle elezioni e all’ingresso nell’esecutivo si sarebbero concretizzate le ipotesi sollevate durante la serata di Ibiza. Strache, da parte sua, nei giorni scorsi ha parlato di un’operazione paragonabile a un “assassinio politico” nei suoi confronti, operato probabilmente da “servizi segreti stranieri”. Nonostante il tentativo di difesa, l’ormai ex vice-cancelliere austriaco ha dovuto rassegnare le proprie dimissioni di fronte alla linea dura tenuta dal premier Kurz.

 

Se la provenienza del filmato in questione non è chiara, le circostanze della sua apparizione fanno subito pensare a una trappola tesa nei confronti del leader dell’estrema destra austriaca. Sulla più che discutibile integrità di Strache e del suo partito possono anche esserci pochissimi dubbi e non c’è ragione per non credere che la disponibilità mostrata a scambiare favori con finanziamenti russi corrisponda alla sua reale attitudine.

 

Il fatto che il video sia apparso quasi due anni dopo essere stato girato e a una manciata di giorni da una consultazione europea che dovrebbe segnare una netta avanzata della destra estrema in tutto il continente solleva tuttavia più di un interrogativo. Strache, inoltre, è caduto in disgrazia, almeno momentaneamente, il giorno prima della sua prevista partecipazione al raduno “sovranista” organizzato da Matteo Salvini a Milano e che doveva appunto servire da trampolino elettorale per l’estrema destra continentale.

 

Secondo alcuni, dietro alla possibile imboscata contro Strache potrebbe esserci l’intelligence tedesca. In Germania, molti politici di spicco, inclusa la cancelliera Merkel, non hanno d’altra parte perso tempo ad attaccare il governo di Vienna e l’FPÖ, cercando di impartire una lezione sui pericoli dell’accogliere un partito di estrema destra nel panorama politico “mainstream”.

 

Lo scandalo esploso a Vienna, insomma, potrebbe risultare utile per provare a screditare populisti e “sovranisti” in vista delle elezioni europee, teoricamente a vantaggio dei partiti tradizionali in arretramento un po’ ovunque negli ultimi anni. Questa strategia rischia però di trasformarsi in un boomerang, visto che la natura sospetta della vicenda Strache potrebbe fare di quest’ultimo una sorta di martire della destra estrema e alimentare l’insofferenza di una parte dell’elettorato verso l’establishment europeista.

 

Il caso austriaco solleva anche un’altra questione non esattamente edificante per i partiti e i leader che stanno cercando di sfruttare politicamente la crisi scoppiata a Vienna. La condanna dell’FPÖ, nonostante la retorica, non ha a che fare cioè con le tendenze xenofobe e anti-democratiche di questo partito, come conferma tra l’altro il fatto che in Germania la coalizione di governo CDU-SPD ha ormai sdoganato l’estrema destra dell’AfD (Alternativa per la Germania) e ha fatto proprie varie proposte di quest’ultima sul fronte delle politiche migratorie.

 

Le reali preoccupazioni che agitano le stanze del potere a Berlino, così come a Bruxelles e altrove, sono legate piuttosto ai noti legami del partito di Strache con quello del presidente russo Putin. Che un movimento politico intrattenga simili rapporti in un frangente segnato dal progressivo deterioramento dei rapporti tra Occidente e Mosca rappresenta quindi una colpa imperdonabile.

 

A riprova di ciò, sempre da Berlino proprio nel fine settimana è arrivata una dichiarazione probabilmente non casuale del numero uno dell’intelligence federale tedesca (BfV), Thomas Haldenwang, il quale in un’intervista al giornale Welt am Sonntag ha avvertito del “rischio considerevole” nel condividere informazioni riservate con i servizi segreti austriaci. Haldenwang ha spiegato come, a suo dire, esista la possibilità che Vienna possa “inoltrare alla Russia le informazioni ricevute da partner come la Germania”. L’attuale ministro degli Interni austriaco, da cui dipende appunto l’intelligence del paese alpino, è Herbert Kickl, ex braccio destro del defunto Jörg Haider e membro dell’FPÖ.

 

Il cancelliere austriaco Kurz, intanto, ha anch’egli quanto meno cercato di utilizzare a proprio vantaggio i guai di Strache. Il giovanissimo leader dell’ÖVP è già sembrato in campagna elettorale nel fine settimana, quando ha attaccato il partito con cui ha governato per quasi un anno e mezzo e caratterizzato questi mesi come una battaglia continua contro l’FPÖ per cercare di attuare il proprio programma di governo.

 

Kurz ha ipotizzato anche una possibile incriminazione per il suo ex vice, nel chiaro tentativo di scommettere sul crollo del partito di estrema destra per ottenere un mandato pieno dagli elettori. Lo stesso Kurz e il presidente austriaco, Alexander van der Bellen, hanno concordato che l’unica via d’uscita dalla crisi in atto è rappresentata dal voto anticipato, da tenersi probabilmente nel mese di settembre.

 

Al di là della retorica e della fermezza ostentata pubblicamente, prima di sganciarsi dall’FPÖ Kurz avrebbe fatto in realtà un tentativo per salvare il suo governo di coalizione. Per mantenere in vita l’esecutivo, il cancelliere aveva chiesto le dimissioni del ministro dell’Interno Kickl, oltre a quelle di Strache, ma davanti all’opposizione del loro partito, Kurz ha alla fine desistito e deciso di puntare sul voto anticipato. Lunedì, infatti, Kurz ha proposto al presidente federale la rimozione di Kickl, dopo quest’ultimo si era rifiutato di lasciare volontariamente. In seguito, tutti i ministri dell’FPÖ hanno allora rassegnato le proprie dimissioni.

 

Qualunque sia l’origine dello scandalo che ha colpito l’estrema destra austriaca, i prossimi sviluppi politici a Vienna comportano fortissimi rischi e la potenziale disgrazia toccata al Partito Popolare potrebbe ritorcersi contro coloro che stanno cercando di approfittarne. Già il voto per le europee di domenica prossima sarà un test significativo e, nel caso l’FPÖ dovesse tenere o far segnare progressi malgrado i problemi del suo leader, il Partito Popolare e le altre formazioni politiche tradizionali farebbero meglio a cercare al proprio interno i responsabili dell’ennesima avanzata dell’estrema destra.

 

La legittimazione dell’FPÖ è stata infatti possibile grazie, da un lato, al partito guidato oggi da Kurz, il quale ha portato i populisti di destra austriaci al governo come già aveva fatto l’allora cancelliere conservatore Wolfgang Schüssel nel 2000, e dall’altro anche ai socialdemocratici (SPÖ) all’opposizione, protagonisti da tempo di alleanze politiche a livello locale con il partito di Strache.

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