Le terze elezioni generali in meno di quattro anni in Spagna sono state caratterizzate nuovamente da una marcata frammentazione politica e dal processo di disintegrazione del sistema bipolare che già aveva segnato le più recenti consultazioni del 2015 e del 2016. Il Partito Socialista (PSOE) del premier uscente, Pedro Sánchez, ha ottenuto comunque di gran lunga il maggior numero di seggi nella camera bassa del parlamento di Madrid, ma per far nascere un nuovo governo saranno necessarie complicate trattative con i possibili partner, mentre la presenza del partito neo-fascista Vox determinerà con ogni probabilità un ulteriore spostamento a destra del baricentro politico iberico.

 

I risultati quasi definitivi del voto di domenica hanno sostanzialmente rispettato le previsioni della vigilia. Il PSOE è diventato il primo partito spagnolo ma senza disporre della maggioranza necessaria a governare in autonomia. La soluzione più logica sembra essere quella di una coalizione che ricalchi quella uscente, con il movimento Unidos Podemos, in netto calo rispetto al 2016, e le formazioni regionali moderate – basche e catalane – ad appoggiare un gabinetto Sánchez.

 

 

Uno scenario di questo genere rischierebbe però di riproporre i problemi di stabilità di governo che avevano portato alla decisione di sciogliere anticipatamente il parlamento nel mese di febbraio. I nazionalisti catalani in quell’occasione negarono i loro voti alla legge di bilancio del governo di minoranza del PSOE in risposta ai processi-farsa in corso contro i leader indipendentisti coinvolti nelle vicende del referendum dell’ottobre 2017.

 

Proprio l’approccio di Sánchez alla questione della Catalogna potrebbe rappresentare uno dei principali ostacoli alla formazione di un nuovo gabinetto a guida PSOE. Il tentativo del primo ministro di risolvere con il dialogo la crisi esplosa in seguito al referendum e alla durissima repressione del governo dell’ex premier Rajoy era infatti finito nel nulla. Lo stesso Sánchez e il suo partito avevano inoltre approvato in buona parte il pugno di ferro del governo del Partito Popolare per piegare le spinte indipendentiste.

 

Un’altra soluzione teoricamente possibile è quella di un’intesa tra PSOE e il partito di centro-destra “Ciudadanos”. Il suo leader, Alberto Rivera, in campagna elettorale aveva però tenuto posizioni molto critiche nei confronti dei socialisti per la loro presunta linea morbida verso la Catalogna e nella serata di domenica ha ribadito pubblicamente la chiusura verso Sánchez.

 

La leadership di “Ciudadanos” aveva ostentato una retorica sempre più reazionaria nelle ultime settimane, con l’obiettivo di cavalcare l’ondata populista che gli ambienti della destra spagnola auspicavano poter favorire un governo tra il PP, il partito di Rivera e quello di estrema destra Vox, entrato domenica per la prima volta in parlamento. Questo modello era stato inaugurato lo scorso dicembre in Andalusia, dove le elezioni regionali avevano segnato una sconfitta clamorosa per il Partito Socialista.

 

Vox è un movimento sostanzialmente xenofobo e neo-fascista e il risultato che ha fatto segnare in questa tornata elettorale ha dato indicazioni contraddittorie. Da un lato, il 10% dei consensi e i 24 seggi conquistati sono un chiaro segnale d’allarme della crescita dell’estrema destra anche in Spagna più di quarant’anni dopo la caduta del franchismo.

 

Dall’altro, tuttavia, le previsioni di uno sfondamento da parte di Vox sono state smentite, così come non si è concretizzata la possibilità che questo partito diventasse l’ago della bilancia del nuovo quadro politico spagnolo, risultando decisivo per la formazione del prossimo governo. Alla fine, il risultato di Vox ha confermato come non esista ancora una base di sostegno di massa per l’estrema destra, in Spagna come altrove. Questo partito ha così capitalizzato in particolare le frustrazioni dell’elettorato più reazionario e disorientato del PP, il cui crollo ha assunto proporzioni storiche, ma ha pagato a caro prezzo la retorica anti-indipendentista nelle regioni con una forte identità locale.

 

Il contenimento della destra ha rappresentato senza dubbio il dato più confortante delle elezioni spagnole. A dare un contributo determinante è stata un’affluenza mai così alta dal 1982 – 76% – stimolata dagli appelli del PSOE e non solo a impedire l’arrivo al potere dell’estrema destra nel paese che ha vissuto l’incubo franchista.

 

Per quanto riguarda i numeri, il Partito Socialista ha toccato quota 123 seggi (29%), contro i 66 del PP di Pablo Casado (17%), i 57 di “Ciudadanos” (16%), i 42 di Unidos Podemos (14%) e, come già ricordato, i 24 di Vox. PSOE e Unidos Podemos sono lontani dai 176 seggi necessari per governare e, se l’ipotesi di un esecutivo di centro-sinistra dovesse diventare l’unica percorribile, saranno necessari anche i seggi – rispettivamente 6 e 15 – dei nazionalisti baschi (PNV) e dei catalani di “Esquerra Republicana”.

 

Alla luce delle tensioni esplose nei mesi scorsi, non è poi da escludere la nascita di un altro governo di minoranza, a cui è sembrata fare riferimento lunedì la numero due del PSOE Carmen Calvo, o uno stallo prolungato e possibili nuove elezioni anticipate di qui a qualche mese, come avvenne dopo il voto del 2015.

 

Il rifiuto della destra estrema in Spagna e il relativo successo del PSOE non implicano ad ogni modo né un cambiamento in senso progressista né tantomeno un contenimento nel medio e lungo periodo delle forze reazionarie. Proprio l’esempio delle recenti elezioni locali in Andalusia, tradizionale feudo del PSOE, aveva mostrato come proprio le politiche sempre più all’insegna del neo-liberismo dei socialisti avessero favorito la crescita dell’estrema destra.

 

Su base nazionale, nei pochi mesi del suo governo, Sánchez aveva mostrato ugualmente l’intenzione di rispettare l’impegno per il rigore finanziario richiesto da Bruxelles e che il suo predecessore Rajoy aveva implementato senza alcuno scrupolo. Anche nella campagna elettorale, da cui i temi economici sono rimasti in larga misura esclusi, l’insistenza del PSOE è stata sulla necessità di tenere la Spagna ancorata all’Unione Europea, lasciando intendere in maniera indiretta che non ci sarebbero state deviazioni significative dalle politiche restrittive degli ultimi anni.

 

Nel dibattito internazionale pre-elettorale, d’altra parte, erano stati in molti negli ambienti finanziari più influenti a esprimere la speranza di un successo convincente di Pedro Sánchez e del PSOE. I socialisti sono ritenuti evidentemente i più affidabili nel panorama politico spagnolo odierno per garantire la stabilità del paese a fronte di tensioni sociali sempre presenti, vista la persistente precarietà della situazione economica, e del rischio di scatenare forze centrifughe in seguito al successo dell’estrema destra populista.

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