Il processo diplomatico in corso nella penisola di Corea sembra avanzare a un ritmo chiaramente diverso a seconda dei governi coinvolti nei negoziati con il regime di Kim Jong-un. Se quello sudcoreano del presidente, Moon Jae-in, continua a spingere per un’accelerazione del disgelo, sollecitando iniziative concrete a livello internazionale, l’amministrazione Trump, nonostante la retorica, appare ancora incerta o quanto meno in attesa di ulteriori concessioni in aggiunta alle aperture già mostrate da Pyongyang.

 

Lunedì, nel corso di una visita di stato in Francia, il presidente sudcoreano ha sollevato a questo proposito la questione della sospensione delle sanzioni applicate a Pyongyang attraverso l’intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Moon ha fatto appello all’omologo francese Macron in quanto leader di un paese con un seggio permanente all’interno del Consiglio stesso.

 

 

In quella che sembra a tutti gli effetti una conclusione logica alla luce del negoziato, Moon ha invitato la comunità internazionale a “fornire garanzie alla Corea del Nord per avere fatto la scelta giusta” nell’impegnarsi per la denuclearizzazione. Per questa ragione, il regime di Pyongyang deve essere “incoraggiato ad accelerare il processo”. Le “pressioni” possono essere a suo dire mantenute fino a quando il regime non si sarà disfato del suo arsenale nucleare, ma allo stesso tempo è necessario che vengano “allentate”, in modo da rassicurare la Corea del Nord.

 

Macron, da parte sua, ha detto di condividere gli sforzi in atto nella penisola di Corea, ma ha in sostanza frenato gli entusiasmi di Moon. La posizione dell’Eliseo ricalca piuttosto quella della Casa Bianca, cioè che le sanzioni andranno mantenute fino alla denuclearizzazione “completa, verificabile e irreversibile” del regime di Kim.

 

Questo è precisamente il punto che divide al momento Washington da Seoul, malgrado i due alleati continuino ufficialmente a dirsi in piena sintonia sulla questione nordcoreana. Il governo sudcoreano, inoltre, concorda di fatto con Pyongyang sulla necessità da parte degli Stati Uniti di adottare misure distensive in risposta alle concessioni del regime, a cominciare da una dichiarazione di pace che getti le basi per sostituire il cessate il fuoco del 1953, tuttora in vigore, con un vero e proprio trattato.

 

Lo scarto tra le posizioni di USA e Sudcorea potrebbe essere in parte ricondotto alle motivazioni principali che hanno spinto i due paesi a intraprendere la via della distensione con Kim. Per Washington esse hanno a che fare con questioni strategiche, mentre per Seoul soprattutto di natura economica. Gli Stati Uniti, in altri termini, più che attendere la denuclearizzazione completa della Corea del Nord, puntano a sottrarre questo paese dalla sfera di influenza cinese, essendo appunto la competizione con Pechino il fattore cruciale delle dinamiche in atto in Asia nord-orientale.

 

Gli obiettivi strategici americani per la penisola di Corea fanno in modo che da Washington sia vista con sospetto la partecipazione al processo di pace della Cina, così come della Russia. Mentre gli USA preferirebbero di gran lunga siglare un accordo con Pyongyang a spese di Cina e Russia, questi due paesi e soprattutto il primo non hanno alcuna intenzione di essere esclusi dal processo di pace.

 

I rappresentanti dei governi di Mosca e Pechino, assieme a una delegazione della Corea del Nord, si erano infatti incontrati a Mosca il 9 ottobre scorso per discutere della questione nucleare, concludendo, sulla stessa linea di Seoul, con una condanna delle sanzioni unilaterali in presenza di progressi da parte di Pyongyang.

Lo sblocco del negoziato nella penisola di Corea o il passaggio a un nuovo livello dipende dunque in larga misura dalle decisioni americane.

 

Il possibile secondo faccia a faccia tra Trump e Kim, rinviato a dopo le elezioni di metà mandato negli USA del 6 novembre, aiuterà forse a fare maggiore chiarezza. Nel frattempo, la diplomazia di Seoul e Pyongyang sta facendo registrare un’intensa attività che, da un lato, potrebbe esercitare qualche pressione su Washington ma, dall’altro, rischia di irrigidire ancora di più le posizioni della Casa Bianca.

 

Una dimostrazione delle frizioni potenziali e, anzi, già evidenti tra USA e Corea del Sud si è avuta settimana scorsa, quando il governo di Seoul aveva annunciato la cancellazione di alcune sanzioni unilaterali imposte dopo un incidente navale nel 2010, la cui responsabilità era stata attribuita a Pyongyang. La Casa Bianca aveva replicato sostenendo che l’alleato non poteva prendere iniziative simili senza l’autorizzazione di Washington e l’amministrazione Moon è stata costretta a un’umiliante marcia indietro.

 

Il ministro degli Esteri sudcoreano, Kang Kyung-wha, aveva poi riferito in parlamento che il segretario di Stato americano gli aveva espresso il proprio disappunto per un’intesa, raggiunta indipendentemente da Washington tra Kim e Moon, sulla riduzione degli armamenti convenzionali dei due paesi.

 

Lunedì, le due Coree si sono comunque impegnate a proseguire nel progetto di ristabilire collegamenti stradali e ferroviari attraverso il 38esimo parallelo, nonostante il pericolo di violare le sanzioni internazionali. Non solo, i due governi vorrebbero celebrare il piano con una cerimonia pubblica, da tenersi alla fine di novembre o all’inizio del mese successivo. La determinazione del governo sudcoreano nel perseguire questo obiettivo rivela l’intenzione di Moon di creare il prima possibile le condizioni favorevoli allo sfruttamento economico della pace con il vicino settentrionale.

 

Questi progetti infrastrutturali erano previsti dall’intesa sottoscritta da Kim e Moon durante il loro primo incontro dello scorso aprile nella località di confine di Panmunjom. L’impegno a procedere in questo ambito è stato ribadito in occasione dell’ultimo round di colloqui tra i due paesi. In parallelo a ciò, Seoul e Pyongyang hanno anche fissato una serie di nuovi vertici per le prossime settimane, quando saranno affrontate ulteriori questioni utili al disgelo, tra cui quella della collaborazione militare e del ricongiungimento delle famiglie separate dalla guerra del 1950-53.

 

Martedì, invece, sono stati gli stessi Stati Uniti a essere coinvolti in un’iniziativa promossa dal negoziato di pace. Delegazioni delle forze armate delle due Coree e il comando delle Nazioni Unite, a guida americana, nella cosiddetta “Area Congiunta di Sicurezza” hanno discusso della possibile demilitarizzazione della zona di confine.

 

Secondo gli accordi, dovrebbe essere creata a breve un’area cuscinetto sia sulla terraferma che sul mare, dove entrerebbe in vigore una “no-fly zone” e verrebbero abolite le postazioni di guardia attualmente installate. Questo passo seguirebbe l’eliminazione delle mine anti-uomo dalla stessa zona di frontiera, già ultimata grazie all’opera dei militari delle due Coree nelle scorse settimane.

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