di Mazzetta

La Turchia ha un grave problema in un robusto deficit di democrazia che pesa come un macigno sulla sua reputazione internazionale. La mistica dell'emancipazione turca dal dominio coloniale e dal retaggio imperiale ottomano ha prodotto nel paese un forte nazionalismo, disposto a tutto quando sente attaccata l'identità nazionale così come è stata designata dal padre della patria Kemal Ataturk, anche ricorrendo alla violenza. La spina dorsale del nazionalismo turco è l'esercito, un esercito imponente che da decenni opera al di sopra della legge e di qualsiasi volontà politica; è l’esercito che reprime ed opprime i curdi da decenni, è l’esercito che tiene sotto tutela il premier “islamico” Erdogan, è ancora l’esercito che blocca le indagini sui tanti episodi nei quali i suoi uomini vengono sorpresi a commettere crimini spesso atroci. Ancora l’esercito è l’autorità che veglia in maniera tanto ossessiva sull’identità repubblicana turca, che mantiene contro il parere di tutti, anche dell’unione europea, molte leggi illiberali, tra queste anche il famigerato articolo 301 del codice penale: offesa all’identità turca. Di questo reato era stato accusato Hrant Dink, scrittore e giornalista turco di origini armene. La sua colpa era quella d aver scritto del genocidio degli armeni, una storia della quale i militari turchi amano sentire parlare ancora meno di quelle dei curdi. Hrant Dink prese la rituale condanna nel 2005, l’articolo 301, come è facile intuire, ha colpito decine di giornalisti nella sua storia.

Hrant Dink è morto, ucciso a colpi di pistola da un sicario sconosciuto e ieri a Istambul sono scesi in piazza migliaia di turchi arrabbiatissimi che al grido di “siamo tutti Hrant Dink, siamo tutti armeni”, hanno percorso le strade della capitale invocando la democrazia e dirigendosi alla sede del giornale per il quale scriveva Dink. L’ufficialità vibra di sdegno, dai politici ai giornalisti, tutti hanno condannato l’omicidio con parole gravi, ma le migliaia di turchi in piazza hanno dimostrato che nel paese c’è stanchezza per la necrosi che uccide la politica turca.

L’ingombrante presenza dei militari impedisce la normale dialettica democratica, gli stessi militari agiscono condizionando la politica e l’economia come e quando vogliono. Di formazione atlantica, i militari turchi adottano metodi da Escuela del las Americas contro i curdi, il tragico manuale anti-sovversione visto all’opera in Sudamerica è la loro Bibbia. Così all’ombra dell’esercito prosperano impuniti gruppi spesso impiegati per lavori sporchi, formazioni nazionaliste che spesso si mescolano con le mafie economiche e non solo con quelle. Da questi gruppi dipartono facilmente schegge impazzite, schegge a volte autonome nella loro follia, ma più spesso indirizzate con discreta precisione.

Hrant Dink aveva ricevuto valanghe di minacce e l’ipotesi del nazionalista esaltato non è purtroppo improbabile. Sembra che la polizia abbia già arrestato tre indiziati, il che depone a favore dell’ipotesi per la quale l’omicidio è maturato al di fuori delle istituzioni. Un delitto contro il suo tentativo di parlare della strage degli armeni in maniera dedicata al superamento di un dogma assurdo e al tentativo di normalizzare e democratizzare il dibattito nazionale, decisamente appesantito dalla presenza di una robusta lista di argomenti tabù per volere dei militari e dell’ideologia nazionalista sottostante.

Migliaia di turchi ieri si sono detti fratelli e hanno mostrato una rara esplosione di rabbia per l’assassinio, ma ancora di più per la situazione politica che appare veramente di lontana soluzione. Questo è il vero motivo per il quale la Turchi non può entrare in Europa, il fatto che sia un paese maggioranza islamica è assolutamente secondario. La UE non può pensare di far sedere in parlamento politici telecomandati dai militari e nemmeno relazionarsi con una giunta militare o permettere la vigenza di leggi come la 301 e di molte peggiori dal punto di vista della compatibilità con le costituzioni democratiche europee.

Il problema è tutto nella dimensione dell’esercito e nella sua onnipresenza all’interno dello stato e della vita dei turchi. Esercito che peraltro si è assicurato la riconoscenza e l’amicizia degli Stati Uniti e che fa del suo essere baluardo contro il dilagare dell’Islam, il bastione d’Europa l’asso da mettere sul tavolo insieme alla sua indubbia potenza bellica. Un bastione che però sembra più interessato ad impedire ad ogni costo le rivendicazioni curde che ad occuparsi di islamici fanatici. La Turchia si è detta più volte pronta ad entrare in Iraq per impedire la formazione di una entità curda troppo autonoma, il doppio attentato a due leader di partiti curdi iracheni all’indomani dell’invasione americana non veniva da Baghdad, come non vengono da Baghdad gli attentati che stanno colpendo Kirkuk in questi giorni, in coincidenza con i referendum che dovrebbe sancire l’ingresso della ricca provincia petrolifera di Kirkuk nella sfera amministrativa del Kurdistan iracheno. Una eventualità che ad Ankara vedono malissimo, un Kurdistan iracheno ricco, stabile e autonomo, significherebbe risorse e sostegno per i curdi in Turchia; così il generale Buyukanit ammassa truppe nelle province curde, blinda le frontiere con l’Iraq e si tiene pronto a passare la frontiera all’occorrenza. Gli americani non gradiscono, ma non è che ci possano fare molto. I turchi sono anche ottimi clienti, per il momento pare che Washington riesca a difendere l’Iraq dagli interessi turchi, i generali turchi intanto spendono negli USA buona parte del bilancio statale.

I generali turchi hanno ottimi rapporti anche con quelli della NATO, con quelli israeliani, ma anche con gli iraniani, con i quali si trovano in sintonia e compiono operazioni militari congiunte nelle rispettive porzioni di Kurdistan; tutta questa corrispondenza di amorosi sensi obbliga i politici turchi a percorrere strade strettissime, quelle consentite dall’autonoma politica dei militari.

Infine c’è il dettaglio per il quale chi si schiera contro l’esercito è finito, politicamente e spesso fisicamente. Il giudice che si trovò costretto dalle circostanze ad accusare Buyukanit di essere a capo di una specie di Gladio, attiva nel compiere attentati contro i curdi o da attribuire ai curdi, non fa più il giudice. Altri non sono stati tanto fortunati.

La protesta scatenata dalla morte di Dink è la manifestazione dell’insofferenza dei turchi, che sono a tutti gli effetti un popolo che condivide immaginari ed identità con gli altri europei e con l’Occidente globalizzato in generale. Un buon segnale, le manifestazioni del genere dovrebbero essere ben più frequentate per scuotere i militari, ma d’altronde scuotere i militari turchi è un lavoro pericoloso e loro tendono a reagire male se scossi. Oggi lo slogan era “Siamo tutti fratelli” e ai nazionalisti non sarà piaciuto, ma è uno slogan che dovrebbe piacere agli europei, che forse potrebbero aiutare la società turca ad emanciparsi senza violenza dalla tutela militare.Invece la Turchia viene emarginata senza troppo dibattito e quella che si trasmette ai cittadini europei è una motivazione discriminatoria fondata sulla religione. Quei turchi che sono scesi in strada ad urlare la loro rabbia e il loro sdegno meriterebbero qualcosa di più.


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