Le divisioni interne all’amministrazione Trump e l’ondata di repulsione suscitata dalla detenzione di minori separati dai loro genitori, entrati “clandestinamente” negli USA, stanno provocando una confusione totale nell’implementazione delle politiche migratorie da parte della Casa Bianca.

 

Il caos è alla base di decisioni e prese di posizione contraddittorie, le quali a loro volta si intrecciano ai calcoli e alle manovre della classe politica americana in previsione delle elezioni di “metà mandato” in programma nel mese di novembre.

 

 

Gli ultimi sviluppi della crisi dei migranti negli Stati Uniti includono una dichiarazione da parte del numero uno dell’agenzia incaricata della protezione dei confini (CBP o Customs and Border Protection), Kevin McAleenan, che a inizio settimana è sembrata ammettere l’impossibilità di proseguire la politica di “tolleranza zero” nei confronti dei “clandestini”, proclamata lo scorso aprile dal ministro della Giustizia di Trump, Jeff Sessions.

 

Il direttore della CBP ha affermato che sarà momentaneamente sospesa la controversa pratica dell’arresto e dell’incriminazione di chiunque si presenti “illegalmente” ai confini americani con figli minori al seguito. Casi di questo genere avevano scatenato la polemica relativa alla detenzione di bambini e ragazzi una volta separati dai genitori destinati ad apparire di fronte a un tribunale.

 

La nuova direttiva della CBP, se applicata, consentirebbe alle famiglie dei migranti di essere rilasciate, con la promessa di presentarsi alle udienze relative ai casi di “immigrazione clandestina” aperti nei loro confronti. Questa pratica sarebbe in sostanza la stessa in vigore durante l’amministrazione Obama e già criticata duramente dal presidente Trump perché non sufficientemente dura nei confronti degli “irregolari”.

 

La Casa Bianca ha comunque precisato che il possibile cambiamento di attitudine degli agenti di frontiera non implica alcuna variazione del principio della “tolleranza zero”. L’ammorbidimento annunciato dipende infatti soltanto dalla mancanza delle risorse necessarie a sostenere un piano di detenzione di massa degli immigrati che entrano negli Stati Uniti. L’amministrazione Trump intende perciò lavorare con il Congresso per ottenere queste risorse, sostanzialmente destinate a creare una rete di campi di concentramento per “clandestini” in attesa di essere processati ed espulsi per il presunto crimine di avere attraversato il confine americano.

 

Che la notizia della sospensione delle detenzioni di migranti adulti con figli al seguito non comporti alcun ravvedimento da parte della Casa Bianca è confermato dalla pubblicazione di un documento inquietante della marina militare USA nel fine settimana. Il “memorandum” apparso sulla stampa USA descrive la proposta di creare alcuni nuovi campi di detenzione per migranti irregolari in attesa di deportazione. Un paio di strutture in grado di ospitare quasi 50 mila persone dovrebbero sorgere in California, una nei pressi della baia di San Francisco e l’altra in un’area tra Los Angeles e San Diego.

 

Il Pentagono ha in seguito fatto sapere che sono in preparazione anche sistemazioni provvisorie per famiglie di immigrati all’interno di due basi militari, questa volta in Texas: a El Paso e a San Angelo. Il piano dovrebbe rispondere al decreto firmato settimana scorsa da Trump per mettere fine alle separazioni forzate delle famiglie, ma che prevede la detenzione congiunta di genitori e figli “clandestini”.

 

Il delinearsi di quello che sembra un sistema concentrazionario coerente con l’agenda xenofoba e ultra-reazionaria dell’amministrazione Trump si accompagna a un’uscita dello stesso presidente che prospetta niente meno che la sospensione dei diritti costituzionali per chi entra “irregolarmente” negli Stati Uniti.

 

In un “tweet”, scritto mentre si stava recando a un “golf resort” di sua proprietà in Virginia, Trump ha spiegato che il suo governo “non può permettere a tutte queste persone [gli immigrati clandestini] di invadere il paese”, così che, “quando qualcuno entra”, è necessario “riportarlo immediatamente da dove è venuto, senza [passare attraverso] giudici o tribunali”.

 

Le parole di Trump sono state giudicate da qualcuno come una delle consuete “sparate” del presidente con poche possibilità di essere messe in pratica. Il drastico spostamento verso destra dell’apparato di potere americano, compreso quello giudiziario, e la già flagrante violazione dei diritti umani di cui è responsabile il governo di Washington, tra cui la separazione dai genitori e la detenzione arbitraria di minori immigrati, non consente tuttavia di prendere alla leggera la minaccia lanciata da Trump.

 

Il diritto a un giusto processo è fissato dal Quinto Emendamento alla Costituzione USA, mentre il Quattordicesimo lo estende anche agli immigrati. Casi di questo genere, hanno spiegato alcuni docenti di diritto sui media americani, risalgono alla fine del XIX secolo, anche se precedenti amministrazioni – sia democratiche sia repubblicane – hanno in realtà talvolta sostenuto che cittadini stranieri fermati ai confini con gli Stati Uniti non godono delle protezioni legali previste dalla Costituzione. Anzi, le autorità di frontiera americane agiscono frequentemente già al di fuori della legge, deportando in tempo reale “clandestini” che avrebbero diritto almeno a un’udienza di fronte a un tribunale.

 

L’evolversi della questione migratoria negli USA riflette la volontà della Casa Bianca di alimentare la percezione della minaccia di un esercito fuori controllo di “irregolari” intenzionati a invadere il paese, nel migliore dei casi per sottrarre posti di lavoro agli americani e, nel peggiore, per scatenare un’ondata di criminalità.

 

Questa strategia serve all’amministrazione Trump per coltivare una base di consenso tra gli ambienti più retrogradi e reazionari, ma anche per dividere le classi più disagiate, dirottando frustrazioni e sentimenti di rivolta verso una sezione ancora più debole della popolazione, quella dei migranti. Questi ultimi sono ritenuti responsabili di un degrado economico e sociale dovuto in realtà a ragioni ben diverse, a cominciare dalla concentrazione a livelli grotteschi di ricchezze nelle mani di pochi super-ricchi che, oltretutto, l’attuale governo di Washington ha contribuito ad accentuare tramite i tagli alle tasse e alla spesa pubblica.

 

Contro le politiche migratorie della Casa Bianca continuano comunque a crescere le manifestazioni di protesta negli Stati Uniti. Oltre alle dimostrazioni organizzate nei giorni scorsi contro la detenzioni di minori separati dalle loro famiglie, stanno trovando ampio spazio sui giornali casi nei quali esponenti dell’amministrazione Trump sono stati invitati a lasciare alcuni ristoranti dopo essere stati identificati come esecutori o ideatori degli abusi del governo nei confronti degli immigrati.

 

In situazioni di questo genere si sono ritrovati la numero uno del dipartimento della Sicurezza Interna, Kirstjen Nielsen, e il consigliere neo-fascista del presidente, Stephen Miller. Il caso più discusso è però quello della portavoce della Casa Bianca, Sarah Huckabee Sanders, allontanata dal ristorante “Red Hen” di Lexington, in Virginia, dopo che i dipendenti che vi lavorano si erano rifiutati di servirla.

 

Queste manifestazioni di protesta pacifiche e più che legittime sono state criticate ferocemente dal presidente Trump, il quale ha anche insultato e minacciato velatamente la deputata democratica Maxine Waters, responsabile di avere incitato gli americani a prendere di mira tutti i membri del governo avvistati in locali e ristoranti del paese.

 

All’interno del Partito Repubblicano ci sono in ogni caso non pochi malumori nei confronti dell’atteggiamento della Casa Bianca sul fronte immigrazione, soprattutto per il timore di possibili ripercussioni negative sull’esito del voto di novembre. Parallelamente, le critiche dirette contro Trump continuano a essere un evento raro, perché il presidente conserva livelli di gradimento piuttosto alti tra la destra del partito e gli elettori che a essa fanno riferimento costituiscono una fetta consistente dei votanti nelle primarie di queste settimane.

 

Per mettere almeno una pezza agli eccessi del presidente e del suo gabinetto, i vertici repubblicani al Congresso stanno così cercando di trovare una soluzione legislativa in tempi brevi. Una riforma di ampio respiro dell’immigrazione negli USA è in effetti allo studio da tempo, ma le speranze per una soluzione di questo genere hanno già lasciato spazio a ipotesi decisamente più modeste.

 

Tra Camera e Senato stanno circolando varie proposte, anche se l’approssimarsi delle vacanze estive e della campagna elettorale, assieme alle difficoltà di trovare un’intesa bipartisan con i democratici e ai segnali contraddittori provenienti dalla Casa Bianca, rendono altamente improbabile l’approvazione a breve di un provvedimento efficace.

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