Alcune delle modeste restrizioni agli abusi delle grandi banche americane, implementate dopo la crisi finanziaria del 2008, sono state di fatto smantellate la scorsa settimana con un voto sostanzialmente “bipartisan” della Camera dei Rappresentanti di Washington. A quasi dieci anni dall’esplosione della bolla dei mutui “subprime”, i giganti di Wall Street continuano ad avere il controllo pressoché totale sulla politica USA e anche le minime limitazioni alla speculazione e all’accumulo di profitti a spese della società risultano intollerabili.

 

La legge presa di mira dal voto dell’aula di martedì è la cosiddetta “Dodd-Frank”, approvata dal Congresso nel 2010. Questo provvedimento non sarà in effetti revocato, ma, con un atto di indescrivibile ipocrisia, il discrimine che farà scattare le regolamentazioni da esso previste viene quintuplicato fino a risultare applicabile al massimo a una decina di istituti bancari.

 

 

Riserve di capitali incrementate, “stress test” annuali per verificare la resistenza a situazioni di crisi, restrizioni nell’uso dei derivati e altre misure saranno ora previste solo per le banche che dispongono di patrimoni di almeno 250 miliardi di dollari, contro i 50 miliardi fissati dalla “Dodd-Frank”.

 

Per giustificare il drastico innalzamento del tetto dei controlli e delle prescrizioni, i promotori della legge hanno fatto riferimento in primo luogo alla necessità di liberare gli istituti di piccole e medie dimensioni, spesso attivi solo a livello locale, dai vincoli delle regolamentazioni federali, responsabili di una penalizzante limitazione della disponibilità del credito. Per chiarire la definizione di “piccole e medie dimensioni”, tra gli esclusi dalla supervisione di legge figurano giganti come American Express, BNP Paribas, Credit Suisse e Barclays.

 

La montagna di menzogne proposta dalla politica americana per legittimare il nuovo provvedimento è stata esposta anche da un rapporto, pubblicato sempre martedì dalla Federal Deposit Insurance Corporation, l’agenzia federale che assicura i depositi bancari e vigila sugli istituti finanziari statali. La FDIC ha rivelato cioè che, anche con le “catene” della “Dodd-Frank”, i profitti delle banche americane nel primo trimestre del 2018 hanno fatto segnare la cifra record di 56 miliardi di dollari, con un aumento del 27,5% rispetto al 2017.

 

La liquidazione di fatto della “riforma” di Wall Street voluta dall’amministrazione Obama, come ha scritto il New York Times, è stata una “rara dimostrazione di spirito bipartisan” del Congresso di Washington. A praticamente tutti i voti favorevoli dei deputati repubblicani, si sono infatti aggiunti quelli di 33 democratici, garantendo al provvedimento un’ampia maggioranza e il sicuro approdo sulla scrivania del presidente Trump per la ratifica definitiva, avvenuta giovedì.

 

Nel mese di marzo, il Senato aveva già licenziato la legge con l’appoggio di 17 democratici, di cui 11 co-promotori. Nella camera alta del Congresso, il sostegno dell’opposizione è determinante, vista la risicata maggioranza repubblicana, insufficiente ad approvare autonomamente la gran parte dei provvedimenti che approdano in aula.

 

Il processo di smantellamento delle esili regolamentazioni dell’industria finanziaria negli Stati Uniti è solo all’inizio, nonostante per molti analisti il grado di pericolosità della situazione odierna sia anche superiore a quello che precedette la crisi del 2008. La deregolamentazione di Wall Street e degli altri settori dell’economia USA era d’altra parte una delle principali promesse elettorali di Donald Trump.

 

Il suo predecessore aveva comunque favorito l’approvazione di una legge come la “Dodd-Frank” e di altre misure solo come risposta all’ondata di repulsione popolare nei confronti delle grandi banche, senza tuttavia ostacolarne attività ed eccessi. Lo stesso Obama si era inoltre sempre opposto a qualsiasi procedura penale nei confronti dei responsabili della crisi finanziaria, malgrado i crimini dimostrati anche da un durissimo rapporto del 2011 di una speciale commissione del Senato.

 

La precedente amministrazione democratica non era stata in grado nemmeno di introdurre misure largamente simboliche, come il tetto ai compensi dei top manager degli istituti salvati dalla bancarotta grazie all’intervento del governo federale. L’attitudine di Obama verso Wall Street era stata riassunta dal suo ministro della Giustizia, Eric Holder, in un intervento al Senato del 2013, nel quale aveva in sostanza dichiarato le grandi banche al di sopra della legge, in quanto non perseguibili perché ciò avrebbe avuto un impatto negativo sull’economia statunitense.

 

Il recente voto sulla “Dodd-Frank” è arrivato in pratica contemporaneamente alla notizia che le principali agenzie federali con autorità di controllo sul settore finanziario, inclusa la “Federal Reserve”, emaneranno a breve delle direttive per neutralizzare un’altra misura fortemente avversata da Wall Street, la cosiddetta “Volcker rule”.

 

Questa norma era stata propagandata da democratici e “liberal” come fondamentale per evitare gli eccessi e le distorsioni alla base della catastrofe finanziaria del 2008. Essa prende il nome dal suo ideatore, l’ex governatore della “Fed” Paul Volcker, e prevede il divieto per le banche garantite dal governo di dedicarsi ad attività speculative con capitali propri, inclusi i depositi dei loro clienti (“proprietary trading”).

 

La “Volcker rule” faceva parte della legge “Dodd-Frank” ma, vista l’opposizione dell’industria finanziaria, era entrata in vigore solo nel 2015. Anche in questo caso, le prescrizioni lasciavano ampi margini d’azione a Wall Street, tanto che fino ad ora nessuna banca è stata nemmeno sottoposta a indagini per avere violato la norma. Cionondimeno, i giganti della finanza americana intendono liquidarla nell’ambito dell’offensiva in atto contro ogni minima restrizione alle loro attività predatorie.

 

Da tempo nel mirino della Casa Bianca e dei repubblicani c’è infine anche l’Ufficio per la Protezione Finanziaria dei Consumatori (CFPB), la cui istituzione era stata sollecitata dall’ala “liberal” del Partito Democratico. Questa agenzia dovrebbe vigilare sulle attività illegali degli istituti finanziari, ma l’amministrazione Trump ha operato fin dal suo insediamento per svuotarla di significato.

 

L’ex direttore del CFPB nominato da Obama, Richard Cordray, era stato costretto alle dimissioni e al suo posto è stato installato temporaneamente il responsabile bilancio della Casa Bianca, Mick Mulvaney. Quest’ultimo si è subito dedicato allo smantellamento dell’agenzia, fermando tra l’altro le pratiche in corso, congelando le assunzioni di personale e impedendo la consultazione pubblica dei ricorsi contro le banche già presentate dai consumatori.

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