di Mario Lombardo

La vista di questa settimana in Russia del presidente iraniano, Hassan Rouhani, ha rappresentato un significativo passo avanti nel consolidamento di una partnership che sembra dover resistere anche alle scosse che attraversano gli scenari mediorientali e al possibile rimescolamento strategico prospettato dall’amministrazione Trump. Il primo viaggio a Mosca di Rouhani ha anche rafforzato l’immagine di Putin e del suo governo, soprattutto in relazione al Medio Oriente.

Il faccia a faccia tra i due presidenti ha seguito le visite del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, in quella che è sembrata una sorta di sfilata per conferire e ottenere concessioni o garanzie dal leader della potenza con la maggiore influenza nella regione o, quanto meno, sulla crisi più urgente in atto, vale a dire quella siriana.

I tre vertici che hanno visto protagonista Putin nel mese di marzo sono dunque avvenuti con altrettanti leader di paesi che hanno punti di vista divergenti in Siria e che proprio con Mosca devono fare i conti per la promozione dei rispettivi interessi.

Il rapporto con l’Iran sembra ad ogni modo quello più importante per la Russia in questo momento, se non altro per il fatto che Mosca e Teheran combattono sullo stesso fronte in Siria a salvaguardia di interessi strategici cruciali per entrambi i governi.

Svariati analisti hanno fatto notare come Rouhani fosse alla ricerca di rassicurazioni nella sua trasferta a Mosca. I buoni rapporti della Russia con Israele e la recente incursione dei jet di quest’ultimo paese in Siria per colpire Hezbollah, anche se condannata più o meno esplicitamente dal Cremlino, devono avere infatti messo in allarme i leader della Repubblica Islamica.

Su un altro fronte, l’Iran vede con una certa apprensione anche le voci di un possibile accordo tra Mosca e Washington che preveda la relativa normalizzazione delle relazioni bilaterali tra le due potenze nucleari, come ipotizzato da Trump, in cambio di un raffreddamento dell’attitudine russa nei confronti di Teheran.

Di una simile prospettiva non vi è tuttavia alcun segnale, visto anche il sempre più probabile ripiegamento del presidente americano sulla spinta della campagna anti-russa in atto a Washington. Quasi a sottolineare la fermezza di Mosca sulla questione della partnership con l’Iran, inoltre, il documento finale seguito al vertice Putin-Rouhani ha ribadito la contrarietà di entrambi all’applicazione di “sanzioni unilaterali” contro qualsiasi paese, in un chiaro riferimento alle nuove misure punitive rivolte a Teheran allo studio al Congresso di Washington.

La scarsissima lungimiranza della politica estera americana, soprattutto quella dettata dalla galassia “neo-con”, è in ogni caso la prima ragione del progressivo irrobustimento delle relazioni tra Russia e Iran. Di ciò si è avuta ulteriore conferma proprio nei giorni scorsi, quando il numero uno del Comando Centrale americano, generale Joseph Votel, responsabile delle operazioni militari in Medio Oriente, ha definito Teheran come “la più grande minaccia a lungo termine della stabilità” della regione.

Senza insistere sulla colossale ipocrisia del rappresentante di una potenza che ha seminato e continua a seminare distruzione nel mondo arabo, le dichiarazioni di Votel hanno prospettato apertamente il possibile ricorso a “mezzi militari” per neutralizzare la presunta minaccia iraniana. Nei pensieri del generale americano vi era con ogni probabilità anche la collaborazione sul fronte militare tra Mosca e Teheran, sottolineata dallo sblocco della consegna del sistema di difesa anti-aereo russo nella primavera del 2016 in conseguenza della rimozione delle sanzioni internazionali dopo l’accordo sul nucleare iraniano.

L’intenzione di Rouhani è comunque quella di ottenere dalla Russia un qualche impegno a impedire il consolidarsi di un’alleanza anti-iraniana tra i paesi arabi, di cui si osservano da tempo i segnali nella guerra dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi in Yemen contro i ribelli Houthi sciiti e nella costante campagna mediatica che vorrebbe la Repubblica Islamica impegnata ad allargare illegittimamente la propria influenza nel mondo arabo.

Visto il ricorso, soprattutto da parte delle monarchie del Golfo Persico, al fondamentalismo sunnita per la proiezione dei propri interessi, è evidente che Russia e Iran sono interamente sulla stessa lunghezza d’onda nella battaglia contro questa minaccia.

In prospettiva futura, tuttavia, sono in molti a rilevare come Mosca, per varie ragioni, non abbia alcun interesse ad alienarsi i regimi del Golfo né tantomeno a schierarsi da una parte della barricata nel conflitto tra sunniti e sciiti. Un impegno in questo senso destabilizzerebbe ancor più un Medio Oriente nel quale la Russia intende piuttosto agire come forza stabilizzatrice in grado di esercitare la propria influenza e difendere i propri interessi.

Questa realtà sembra essere forse il limite attuale nell’evoluzione dei rapporti tra Russia e Iran, malgrado i progressi innegabili su numerosi fronti. Allo stesso tempo, le tendenze che si registrano in Medio Oriente, dalla promozione del settarismo sunnita del regime saudita alla rinnovata aggressività statunitense, appaiono propizie all’ulteriore rafforzamento dei legami nel prossimo futuro.

Questa convergenza d’interessi è d’altra parte supportata da un’intensificazione delle relazioni in ambito commerciale, energetico, militare e degli investimenti, confermata dal numero di importanti accordi bilaterali e “memorandum d’intesa” siglati durante la visita di Rouhani a Mosca.

Il Cremlino ha ad esempio approvato una linea di credito da oltre due miliardi di dollari per la costruzione di infrastrutture in Iran che coinvolgeranno compagnie russe. Inoltre, in programma vi è l’aggiunta di due reattori per una centrale nucleare iraniana già esistente e la realizzazione di altri due nuove impianti, sempre con tecnologia russa.

Su un piano più ampio, Putin e Rouhani hanno discusso poi di una possibile intesa su un’area di libero scambio tra l’Iran e l’Unione Economica Euroasiatica (EEU), promossa da Mosca e che comprende anche Bielorussia, Kazakistan, Armenia e Kirghizistan.

Una spinta importante alla partnership russo-iraniana potrebbe arrivare infine dalla decisione, prevista per il prossimo mese di giugno e di cui i due leader avranno discusso questa settimana a Mosca, di accogliere la Repubblica Islamica come membro a tutti gli effetti dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO).

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