di Mario Lombardo

La trasferta europea del vice-presidente americano, Mike Pence, avrebbe dovuto servire a rassicurare i leader del vecchio continente circa l’impegno della nuova amministrazione Trump nei confronti della NATO, ma anche per l’integrità dell’Unione e per il consolidamento della partnership transatlantica, nonostante le prese di posizione minacciose su tutti questi fronti da parte del nuovo inquilino della Casa Bianca.

Gli interventi pubblici di Pence, prima in occasione dell’annuale Summit sulla Sicurezza di Monaco di Baviera poi a Bruxelles nella giornata di lunedì, non sembrano essere andati però al di là di rassicurazioni formali in merito al mantenimento dei tradizionali legami tra USA ed Europa. Da questa parte dell’Atlantico, perciò, la diffidenza è apparsa evidente, così come le apprensioni per le scelte di un’amministrazione che potrebbe minacciare per la prima volta gli equilibri strategici in Occidente usciti dal secondo conflitto mondiale.

Già a Monaco, Pence aveva suscitato più di un malumore dopo avere confermato sostanzialmente le intenzioni di Trump di cercare un’intesa con Mosca su determinate questioni. Vista l’isteria anti-russa che continua a prevalere in alcuni paesi europei, ciò è bastato a far passare relativamente in secondo piano la promessa del “fermo sostegno” alla NATO da parte di Washington.

Le ansie europee vanno collegate a una serie di dichiarazioni fatte da Trump fin dalla campagna elettorale, come quella in cui aveva definito la NATO “obsoleta”. In altre occasioni, il neo-presidente americano aveva invitato i partner dell’Alleanza ad aumentare le spese militari almeno fino al 2% del PIL, per evitare il possibile disimpegno degli USA nei confronti di alleati che non intendano contribuire a sufficienza alla propria sicurezza.

Su quest’ultimo punto era tornato settimana scorsa il segretario alla Difesa, generale James Mattis, e lo ha ribadito lo stesso Pence a Monaco. Entrambi avevano in mente soprattutto la Germania, i cui leader hanno però escluso che questo livello di spesa possa essere raggiunto nel breve periodo, nonostante il massiccio aumento già previsto da Berlino per gli stanziamenti destinati all’ambito militare.

Per quanto riguarda l’approccio alla Russia, la delegazione americana a Monaco ha mostrato tutte le divisioni che sono emerse a Washington e che hanno recentemente portato alle dimissioni del consigliere per la Sicurezza Nazionale, Michael Flynn.

Se Pence ha dato voce in parte agli auspici di Trump per la riapertura del dialogo con Mosca, due senatori USA presenti a Monaco – il Repubblicano Lindsey Graham e il Democratico Christopher Murphy – sono apparsi di tutt’altro avviso. Il primo, ad esempio, ha annunciato che nel corso del 2017 il Congresso americano si dedicherà alla stesura di nuove sanzioni contro la Russia, mentre il secondo ha garantito che su questo fronte non ci saranno differenze tra i punti di vista dei due partiti.

Le parole di Pence sono state però quelle ascoltate con maggiore attenzione in Europa. I media hanno evidenziato il persistere di riserve da parte dei leader europei, non tanto per le convinzioni del vice-presidente quanto per il fatto che nessuno in questo momento appare in grado di sapere fino a che punto gli impegni presi da quest’ultimo corrispondano a quelli che intenderà prendere Trump.

Per alcuni giornali americani, il sentimento prevalente in Europa dopo la visita di Pence è perciò di “aperto scetticismo”. All’ambivalenza di Pence sulle questioni della sicurezza in Europa ha fatto seguito quella del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk. L’ex premier polacco ha assicurato di avere ricevuto tre risposte confortanti da Pence su altrettante domande relative alla visione di Washington “sull’importanza dell’ordine internazionale basato sul diritto, sulla sicurezza fondata sul ruolo della NATO e sull’idea di un’Europa unita”.

Tuttavia, Tusk non ha nascosto nemmeno alla stampa il momento critico che stanno vivendo le relazioni transatlantiche, poiché “troppe cose sono accadute nei mesi scorsi negli USA e in Europa, troppe opinioni nuove e talvolta sorprendenti sono state espresse… per fare finta che tutto sia come prima”. Simili dichiarazioni sono decisamente inconsuete nel quadro di un vertice bilaterale tra alleati e confermano la natura eccezionale di un frangente nel quale sembra essere proprio il governo americano il principale elemento destabilizzante degli equilibri occidentali.

I tentativi del vice-presidente americano di calmare le acque nei rapporti con i vertici europei, quanto meno in attesa di una definizione migliore delle strategie della Casa Bianca, sono comunque apparsi chiari. Ad esempio, nell’incontro organizzato lunedì con la numero uno della politica estera della UE, Federica Mogherini, l’ex governatore dello stato dell’Indiana ha manifestato l’impegno del nuovo governo di Washington nel “cercare nuove modalità per rafforzare i legami con l’Unione”.

Che le relazioni rimangano tese è però innegabile e lo conferma un’iniziativa estremamente insolita presa recentemente dai leader dei tre principali gruppi del parlamento europeo, i quali hanno scritto ai presidenti della Commissione e del Consiglio per chiedere loro di bloccare il candidato alla carica di ambasciatore USA presso l’UE.

Trump ha infatti scelto l’ex diplomatico Ted Malloch, più volte dichiaratosi oppositore dell’Unione Europea e sostenitore della “Brexit”. In un’intervista nel mese di gennaio alla BBC, Malloch aveva poi paragonato l’UE all’Unione Sovietica, auspicando in sostanza anche il crollo della prima.

Malgrado i toni generalmente concilianti impiegati a Monaco e a Bruxelles, la trasferta europea di Mike Pence ha fatto dunque poco o nulla per alleviare le preoccupazioni legate all’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. L’agenda ultra-nazionalista del nuovo presidente americano, assieme agli incerti progetti di pacificazione con la Russia, prospetta infatti un percorso divergente tra USA e Europa e, soprattutto, tra Washington e Berlino, sotto le spinte di una competizione crescente in ambito economico e commerciale.

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