di Fabrizio Casari

Il neo-eletto presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha riservato parole acide, volgari e senza senso nei confronti di Fidel Castro. Insultare chi ormai non può rispondere a tono, versare veleno sui resti di un uomo molto migliore di lui, rappresenta in qualche modo la cifra del tycoon che non riesce ad indossare i panni del Presidente. A fronte della compostezza nel dolore manifestata da milioni di cubani, Trump ha proposto lo sguaiato uso della volgarità che gli è riconosciuta.

Il buon gusto, del resto, non gli appartiene e, di fronte a ciò che non conosce e non capisce, come dinanzi ad una gonna, ha difficoltà a tenere sotto controllo i suoi istinti più bassi, che in lui coincidono con gli istinti in generale.

Dovrebbero esserci dei limiti alla mancanza di rispetto ed alla bassezza umana ma forse Donald Trump non li conosce. Dovrebbe limitarsi nella barbarie verbale, anche solo per il ruolo istituzionale che si esercita, ma anche qui siamo lontani dalla consapevolezza di cosa significhi.

Gli insulti e le cialtronate inviate via Twitter non devono sorprendere. Twitter è lo strumento preferito da Trump proprio per essere utilizzabile con un massimo di 140 caratteri, che corrispondono precisamente all’estensione massima dell’elaborazione culturale del neopresidente americano. Ma oltre a ciò, emerge con preoccupazione l’affidamento per la sua politica verso Cuba alla banda di terroristi e faccendieri legati alla FNCA di Miami.

Costoro hanno concepito e pianificato con ogni Amministrazione - ad eccezione di quella di Obama - la politica statunitense verso l’isola. Politica che, come aveva giustamente sottolineato lo stesso Obama, si è rivelata un fallimento totale, visto che 11 presidenti e 20 direttori della CIA si erano presentati con la caduta di Fidel Castro ai primi punti del loro programmi, per poi uscire di scena con il Lider Maximo al potere e loro nel dimenticatoio. Terrorismo e persino atti di guerra biologica, blocco economico e diplomatico, piani per la sovversione interna, hanno causato circa 3500 vittime e danni per miliardi di dollari allo sviluppo possibile dell’isola, ma non ne hanno mai spostato di una virgola le scelte politiche.

Ma se per l’establishment statunitense l’ostilità ridicola ed anacronistica contro Cuba è stata una delle manifestazioni più evidenti della lsua impotenza, per la Fondazione Nazionale Cubano Americana, fondata dal defunto Jorge Mas Canosa, il blocco economico e il terrorismo contro Cuba sono stati un gran business. Sia per i loschi personaggi che girano intorno alla FNCA, sia per la distrazione di fondi pubblici verso le bande terroristico-mafiose che hanno riempito le tasche a diversi attori della politica terroristica contro l’isola.

Ma non solo di terrorismo si è trattato. Dal traffico di migranti ai fondi statali destinati ai piani di sovversione contro Cuba, la FNCA ha ampliato ricchezze ed influenza senza pari. E aver costituito un bacino elettorale a disposizione di chiunque dimostrasse di voler affamare ed aggredire l’isola, ha rappresentato una azione di lobbyng che ha arricchito enormemente i suoi esponenti mentre ha tenuto gli Stati Uniti con la testa nel secchio, impedendogli di guardare ciò che succedeva a 90 miglia dalle sue coste. Agli USA, l’aggressione contro Cuba è costata figuracce planetarie, miliardi di dollari buttati ed isolamento politico nel consesso internazionale.

Benché Trump appaia già come ostaggio della FNCA, la Fondazione non dispone più del livello d’influenza che ebbe sotto Reagan - che la promosse ad interlocutore della Casa Bianca - o durante le diverse amministrazioni della famiglia Bush (compresa la presidenza della Florida di Jeb) e lo stesso Trump dovrebbe sapere che la maggioranza dei voti in Florida sono andati ad Hillary Clinton e non a lui.

Naturale, visto che le nuove generazioni di cubano-americani, che rappresentano l’emigrazione economica da Cuba, da diverso tempo esprimono sentimenti e volontà politica di dialogo con L’Avana e lo fanno anche scontrandosi duramente contro i vecchi sodali di Batista.

A proporre impensabili invasioni ed ostilità continua sono infatti rimasti solo i residui maleodoranti dell’esercito batistiano riparati a Miami dopo l’abbattimento della dittatura militare nel 1959, meglio noti come gusanos. Sono, costoro, ormai solo un manipolo di vecchi assassini e torturatori che passano il loro tempo a raccontare gesta spesso inventate ai loro amici che vivono giocando a domino nella Calle Ocho di Miami.

I furbetti business man della FNCA, con annessi i parlamentari cubano-americani che li rappresentano, sono solo un residuato bellico, capace sì di avvelenare il clima tra Washington e L’Avana ma non in grado di proporre una politica estera e tanto meno i suoi aspetti collegati. Gli affari legati ai loro traffici criminosi non possono infatti - per volume e decenza - rappresentare una alternativa a quelli legali, che vedono ormai compagnie aeree e di navigazione, aziende turistiche ed immobiliari, società farmaceutiche ed aziende alimentari, progressivamente impegnate negli scambi con Cuba.

Anche solo per essere uomo d’affari, Trump dovrebbe riuscire a comprendere come l’isola rappresenti un bacino d’utenza importante oggi e ancor più in prospettiva per l’economia statunitense. Lui stesso, del resto, poco tempo addietro aveva inviato tre manager del suo gruppo a Cuba per studiare investimenti e, quando gli venne chiesto se fosse interessato a fare affari con l’isola, rispose:“Si, ma solo quando sarà legale farlo”.

Ma, qualora non riuscisse a comprendere commercio e scambi al netto delle truffe, almeno gli si dovrebbe spiegare come dopo oltre cinquant’anni di fallimenti, gli Stati Uniti non hanno nulla da guadagnare nel proseguire a sbattere la testa contro il muro. In questo modo continuerebbero solo a distrarre risorse, arricchire mafiosi e terroristi ed accumulare sconfitte.

Cuba, anche dopo Fidel, non è sola nel continente e nel mondo. Ha resistito e vinto in condizioni più difficili di quelle in cui versa oggi, in periodi storici più oscuri e contro amministrazioni più influenti di quella che rappresenterà Trump. Ha cumulato esperienza da vendere in questo ambito.

Non si faccia dunque illusioni il neopresidente circa le ricadute politiche o psicologiche della scomparsa fisica di Fidel Castro. Il sistema cubano è adulto e vaccinato, strutturato e indisponibile a cambi repentini e, soprattutto, inabile alla cessione di dignità e sovranità nazionale.

Se Trump pensa che minacciando Cuba qualcuno sull’isola si spaventi, non ha capito nulla. Se crede che una politica aggressiva porti a qualche risultato è completamente fuori strada. Più facile, se non cambierà atteggiamento, che Cuba lo consegni alla galleria dei fallimenti simili a quelli di altri suoi predecessori, che non a quella della novità che vorrebbe rappresentare.


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