di Carlo Musilli

Il primo ministro britannico Theresa May vuole iniziare le procedure per la Brexit senza passare per il voto del Parlamento. Lo scrive il quotidiano The Telegraph, citando fonti anonime. Secondo il giornale conservatore, da sempre schierato in favore dell’addio a Bruxelles, l’obiettivo di May è evitare che i suoi avversari possano fermare l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Del resto, subito dopo l’insediamento al posto di David Cameron, il nuovo Premier aveva ricordato a tutti con cipiglio lapalissiano che “Brexit significa Brexit”.

Ma i politici europeisti fanno notare che il referendum dello scorso 23 giugno era soltanto consultivo e che perciò, in teoria, il Parlamento non è tenuto a ratificarne l’esito favorevole alla Brexit. Negli ultimi mesi l'ex premier Tony Blair e il candidato alla leadership laburista Owen Smith hanno parlato dell’eventualità che il fronte pro-Ue possa bloccare la Brexit proprio nella Camera dei Comuni. Forse avrebbero anche i numeri per farlo, visto che nei mesi scorsi la maggioranza dei deputati ha partecipato alla campagna per il Remain.

Eppure, a questo punto, fare la conta dei voti sembra davvero inutile. Al di là dell’orientamento personale, è ovvio che i parlamentari britannici non potranno sconfessare in modo così clamoroso il proprio elettorato. Sarebbe un suicidio politico. Piuttosto, Blair e compagnia sembrano voler lucrare qualche concessione dal nuovo leader conservatore, avanzando il più possibile la trincea laburista. Insomma, un bluff. Non una minaccia credibile.

Ma ci sono comunque degli equilibri politici da preservare. Pur non temendo per l’avvio della Brexit, ormai inevitabile, May non accetta d’iniziare la sua permanenza a Downing Street combattendo contro i ricatti. Per questo vuole scaricare la pistola in mano ai suoi oppositori, aggirando quel voto parlamentare che rischierebbe di rallentare enormemente le operazioni e comporterebbe in ogni caso trattative e imbarazzi.

Perché il suo progetto si realizzi, la numero uno dell’Esecutivo ha bisogno di un piccolo aiuto da parte del potere giudiziario. Il prossimo mese di ottobre, infatti, l'Alta corte di Giustizia di Londra deciderà se il Premier potrà attivare l'articolo 50 del Trattato di Lisbona per uscire dall'Unione senza chiedere il voto del Parlamento. Ma i consulenti legali del governo sono già sicuri: notificare la richiesta a Bruxelles rientra nei poteri di primo ministro. May potrà avviare la pratica in autonomia.

Una volta aperte le danze, però, le servirà tutto l’aiuto possibile. Dal punto di vista di Bruxelles, l’obiettivo numero uno è evitare che il risultato della trattativa induca altri Paesi comunitari a seguire le orme del Regno Unito. L’Ue non può permettere che Brexit si riveli un affare per Londra: al contrario, deve dimostrare ai i suoi membri quanto sia sbagliato e controproducente abbandonare la famiglia europea. Non si tratta di vendetta, ma di puro spirito di conservazione.

Le minacce più chiare in questo senso arrivano tutte dalla Germania. Nei giorni scorsi il vice ministro degli Esteri tedesco, Michael Roth, ha avvertito Londra che i negoziati per lasciare l’Ue “saranno molto difficili”, sottolineando che ai britannici non sarà concesso un approccio “cherry picking” (letteralmente, “raccolta di ciliegie”): non potranno cioè cancellare gli svantaggi e conservare solo il meglio che l’Europa può offrire.

Insomma, lo scenario non è dei più rassicuranti. May dovrà valutare se, prima di sedersi a un tavolo del genere, le convenga davvero dare uno strappo netto ai rapporti con il Parlamento.






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