di Tania Careddu

Senza processo, condannate a pene detentive o di morte, torturate e maltrattate da parte dell’Agenzia Nazionale per la Sicurezza (NSA), principale organismo di Stato impegnato nella repressione del dissenso e dell’opposizione, e dell’intelligence militare egiziana: sono le vittime di sparizione forzata. Solo per essere sostenitrici del deposto presidente Mohamed Morsi o di altri movimenti politici opposti al governo.

Il quale, manco a dirlo, sostiene che gli abusi e le violazioni da parte delle sue forze armate non hanno fondamenta e sono il frutto di una distorta propaganda a favore della Fratellanza Musulmana. Della quale, nel 2013 e nel 2014, sono stati arrestati tremila membri insieme a quasi ventiduemila sospettati di altri movimenti; ai quali si aggiungono, nel 2015, altre dodicimila persone, compresi studenti, accademici, ingegneri, medici e operatori sanitari.

Sebbene per la stessa natura della sparizione non sia possibile avere una stima precisa, Amnesty International, nel suo rapporto “Egitto: ufficialmente, tu non esisti. Scomparsi e torturati in nome della lotta al terrorismo”, sostiene che, ogni giorno, in media, tre o quattro persone sono soggette a sparizione forzata. Tanto che, tra il 2013 e il 2016, sono state costruite e progettate dieci nuove prigioni per contenere l’elevato numero di detenuti. In genere, uomini tra i cinquanta e i quattordici anni, con l’accusa di aver violato la legge sulle manifestazioni, di aver partecipato a cortei non autorizzati, di averne programmato la partecipazione o di aver attaccato le forze dell’ordine.

Trattenute in stazioni di polizia o nei campi delle Forze centrali di Sicurezza – campi di addestramento e alloggio della polizia antisommossa – oppure in uffici dell’NSA, luoghi non ufficiali per la detenzione, le vittime vengono fatte sparire, arbitrariamente e in assenza di provvedimenti giudiziari, per periodi che vanno dai quattro giorni ai sette mesi, in incommunicado, soggetti alla falsificazione della data di arresto nelle relazioni ufficiali di indagine, con lo scopo di nascondere l’illegittimità degli arresti e il tempo di sparizione.

Durante la quale sono stati pestati, sospesi per gli arti al soffitto, ammanettati e bendati per lungo tempo, sollecitati con scosse elettriche al viso, alle labbra e ai denti e impedendo loro di dormire. Stessa sorte anche per i minori, con l’aggravante dello stupro, fermati dai sette ai cinquanta giorni senza poter contattare le famiglie o aver rapporti con un legale: torturati in isolamento per ottenere confessioni o dichiarazioni incriminanti terze persone.

Nonostante il volume crescente di prove di torture e di altri trattamenti illeciti da parte delle forze di sicurezza egiziane e sebbene la legge imponga diverse responsabilità relativamente alla detenzione, nessun pubblico ministero ha preso alcuna iniziativa al fine di avviare indagini sulle accuse di tortura avanzate.

Anzi, le dichiarazioni ufficiali negano che avvengano le sparizioni forzate e che il termine sia una creazione dei leader esiliati di Fratellanza Musulmana – una delle più importanti organizzazioni islamiste internazionali -  che desiderano ostacolare gli sforzi del ministero degli Interni alla lotta al terrorismo.

Invece, viene proprio da pensare che l’uso della sparizione forzata sia destinato, piuttosto, a scoraggiare l’opposizione al governo ed a veicolare un chiaro messaggio secondo cui, l’NSA in particolare, può violare i diritti umani fondamentali, incoraggiando la diffusione della tortura e di un sistema giudiziario iniquo basato su confessioni ottenute da persone sospette senza fornire loro l’opportunità di essere tutelate da qualsiasi organo di controllo indipendente. Il caso del nostro Giulio Regeni non è isolato. Purtroppo.

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