di Carlo Musilli

Bombe in aeroporto, bombe nella metro, 31 morti e circa 250 feriti. E il mirino puntato su Bruxelles, la città che ospita il Parlamento europeo e il comando centrale della Nato. Come a dire che il bersaglio non era un Paese in particolare, ma la sede della struttura politica europea e di quella armata dell'Occidente. Di fronte ad avvenimenti come questi, la reazione emotiva è inevitabile: viene voglia di seguire i suggerimenti che arrivano dalla pancia, lasciando in sottofondo quelli del cervello.

La pancia, però, è impulsiva. Davanti al pericolo di morire consiglia di non perdere tempo in ragionamenti e di allontanare la minaccia al più presto. Per riuscirci, mette a disposizione almeno due scorciatoie. La prima, difensiva, afferma la necessità di sbarrare la strada ai migranti e magari di rinnegare il principio della libera circolazione, seppellendo quel che resta di Schengen (che rimangano a casa loro, sono pericolosi, non facciamoli entrare). La seconda, offensiva, sostiene le ragioni del contrattacco (vendichiamoci, schiacciamoli a casa loro, non facciamoli tornare).

Entrambe le strade portano allo stesso vicolo cieco. Nel primo caso perché i migranti - che siano spinti dalla guerra o da motivi economici - non hanno nulla a che vedere con il terrorismo dell’Isis. I fatti del 13 novembre a Parigi e del 22 marzo a Bruxelles dimostrano che lo Stato Islamico non recluta gli attentatori sui barconi o nei campi profughi, ma all’interno del nostro stesso corpo sociale. Sono persone nate e cresciute in Europa, hanno documenti europei e quando vogliono spostarsi usano una normale compagnia aerea. Salah Abdeslam, l'ideatore degli attentati parigini arrestato la settimana scorsa, è nato a Bruxelles nel 1989 da genitori immigrati entrambi in possesso di nazionalità francese.

Quanto alla seconda scorciatoia, quella di chi vorrebbe autorizzare domani una missione militare, è ancora più miope della prima, perché non tiene conto del fatto che la guerra non avrebbe un campo di battaglia circoscritto alla Siria, all’Iraq o alla Libia. Quello che i nostri eserciti farebbero in quei Paesi tornerebbe indietro sotto forma di rappresaglia. Il proselitismo dell’Isis ne uscirebbe rafforzato e a quel punto gli attentati in Europa potrebbero aumentare. E poi invieremmo le nostre truppe allo sbaraglio, senza una missione precisa, senza un obiettivo da raggiungere e perciò senza una durata prestabilita per la missione. Quando potremo considerare finita la guerra, visto che chi ci colpisce non è nemmeno laggiù, ma in mezzo a noi?

Le scorciatoie hanno il pregio di essere comode, ma cedere alla tentazione di percorrerle significa concedere un punto ai carnefici. Chi si fa esplodere non vuole solo cancellare le vite che ha intorno, ma soprattutto condizionare quelle di chi rimane. Non lo capiscono, o fingono di non capirlo, tutti i fascistoidi che usano l'onda emotiva prodotta dalla strage per chiedere l'instaurazione di un nuovo stato di polizia orwelliano, in cui le libertà dei cittadini diventano orpelli trascurabili.

Questo non significa che l'attuale strategia europea anti-terrorismo sia adeguata, anzi: gli attentati di Bruxelles hanno messo in luce tutte le carenze del coordinamento fra le intelligence dei vari Paesi a scopo preventivo. In teoria, i servizi segreti dovrebbero fornire dettagli utili alle forze di polizia, ma in questo caso non sono riusciti ad andare oltre un generico annuncio dell'azione imminente. Chi doveva essere messo sotto sorveglianza? Dove e quando poteva agire? Nessuno sapeva nulla.

Da parte loro, i responsabili della sicurezza hanno dato prova di grande ingenuità quando hanno fatto sapere che Salah Abdeslam si era detto pronto a collaborare, un'informazione che verosimilmente ha indotto il resto del commando a entrare rapidamente in azione. La prevenzione ha perciò fallito e a quel punto garantire la sicurezza in un territorio vasto come un'intera città è diventata un'operazione improba. Bisognava controllare giornalmente migliaia di cittadini europei. Perché questa jihad non arriva da lontano, ma dalla porta accanto.

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