di Raffaele Matteotti

Il vincitore delle elezioni in Congo è ufficialmente Joseph Kabila, che al ballottaggio ha ottenuto il 58.5% dei voti contro il 41.5% del rivale Bemba. Nonostante lo sconfitto reclami la vittoria e i suoi sostenitori abbiano denunciato brogli elettorali, il risultato appare congruo sia con i sondaggi che con quanto si conosce della configurazione di alleanze che sosteneva i due candidati. Mentre Bemba poteva contare infatti solo su un sostegno localizzato in alcune province, Kabila ha invece potuto fare affidamento su un sostegno diffuso in tutto il paese, ma soprattutto sul sostegno dell’anziano leder lumumbista Gizenga, che al primo turno aveva raccolto intorno al 13% delle preferenze. Anche gli osservatori internazionali, tra i quali il Centro Carter, hanno valutato positivamente le elezioni e affermato che eventuali brogli localizzati non avrebbero avuto influenza sul risultato finale. Il risultato era in fondo scontato; sono passati dieci anni da quando il tiranno Mobutu abbandonò il paese dopo una più che trentennale tirannia durante la quale aveva fatto del paese il suo feudo personale e la ricchezza delle grandi imprese estrattive occidentali.

Il Congo è grande come tutta l’Europa Occidentale, con una densità abitativa modesta ed è stato definito “uno scandalo geologico” per le ricchezze minerarie che contiene e che da sempre sono la sua disgrazia. Il suo sfruttamento cominciò sul finire dell’Ottocento quando alla conferenza di Berlino il Libero Stato del Congo fu consegnato quale possedimento privato a Leopoldo II, re del Belgio. Dopo una ventina d’anni, Leopoldo II venne costretto a consegnare l’amministrazione del paese al Belgio; negli ultimi 10 anni la sua compagnia, la Societè General du Belgique aveva sterminato la popolazione riducendola alla metà; una quindicina di milioni di morti di lavoro, fame e stenti perché il tiranno esigeva la gomma e l’avorio del Congo.

Tramontato Leopoldo la gestione belga non brillò per umanità. Il Belgio fu uno degli ultimi paesi europei a concedere l’indipendenza alla sua colonia, nella quale aveva portato l’istruzione elementare per mano dei missionari, una ferrovia e preteso in cambio lavoro e ricchezze immense.
Questo ai belgi, come alle compagnie che lucravano sul paese non bastò. Il primo leader del Congo indipendente, Patrice Lumumba, durò qualche mese, poi nel 1961 venne ucciso, il suo corpo fatto a pezzi e bruciati da due ufficiali dell’esercito belga che confesseranno solo nel 2002. In quei mesi trovò la morte in Congo anche il Segretario Generale dell’ONU Hammarskjöld, perito in un misterioso incidente aereo mentre visitava i caschi blu giunti su invito di Lumumba.
Dal 1965 il Belgio è stato governato da un dittatore fantoccio, Mobutu Sese Seko, che aveva cominciato la sua carriera nelle fila della Force Publique coloniale e che con un golpe gradito alle potenze coloniali si liberò del debole presidente Joseph Kasavubu.

Finito il regno di Mobutu si aprì una feroce lotta di successione, alla quale parteciparono ben nove paesi confinanti, oltre agli Stati Uniti, al Belgio e molte corporation che agirono dietro le quinte di quella che è stata chiamata la Prima Guerra Mondiale Africana. A prevalere fu il padre di Joseph Kabila, forte del sostegno del Ruanda e di quello delle cosiddette “young companies”, compagnie minerarie interessate a subentrare a quelle che storicamente sfruttano il paese. Giunto al potere il padre di Kabila decise poi di favorire ancora una volta le compagnie minerarie storiche e questo gli costò la vita.

Con il corpo del padre ancora caldo, Joseph divenne così il nuovo leader congolese e si recò subito in pellegrinaggio a Washington ottenendo il placet del Dipartimento di Stato. Sono passati alcuni anni da allora e finalmente il Congo ha potuto vedere per la seconda volta nella sua storia più che centenaria elezioni democratiche, o almeno qualcosa che gli assomiglia. I suoi abitanti sono sicuramente disillusi e sperano in un periodo di tranquillità, il governo Kabila in precedenza non è stato in gradi di spegnere i focolai di violenza che infiammano il paese. La regione del Kivu è ancora teatro di attacchi di ex soldati ruandesi, le province sono spesso isolate dal controllo centrale, la regione del Katanga è ancora in mano a poteri oscuri e le più importanti miniere sono ancora contese da compagnie straniere e dai mercenari da queste assoldati. Persino la famosa miniera di uranio dalla quale venne estratto il minerale per costruire le bombe lanciate su Hiroshima e Nagasaki è attualmente sfruttata da misteriosi operatori, nonostante in teoria fosse stata murata con imponenti colate di cemento.

Nel paese c’è la più numerosa missione ONU mai dispiegata, ed è una missione che per la prima volta nella storia è impegnata in duri combattimenti contro le varie guerriglie, in particolare nell’Est del paese. Il contingente è stato rinforzato da soldati occidentali in occasione delle elezioni

L’elezione di Kabila apre quindi la speranza, per i congolesi, di un periodo di stabilità dopo dieci anni di guerra, razzie e violenze che hanno provocato, solo nel corso della guerra, oltre cinque milioni di morti e qualche milione di profughi. Resta da vedere se l’opposizione di Bemba e dei suoi sostenitori palesi e non, accetterà il risultato delle urne consentendo ai congolesi qualche anno di respiro, anche se sicuramente non riusciranno ad evitare che le ricchezze del paese vadano a vantaggio di altri.

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