di Michele Paris

La leadership di Jeremy Corbyn continua a produrre accesi scontri e animate contese all’interno del “Labour” britannico, tanto che le divisioni emerse recentemente in seguito al voto in Parlamento sull’intervento militare in Siria hanno spinto il numero uno del partito a operare un mini-rimpasto del governo-ombra, tradizionalmente formato dalla principale forza di opposizione in Gran Bretagna.

A livello ufficiale e, verosimilmente, come auspicava la maggioranza dei potenziali elettori del Partito Laburista, l’iniziativa di Corbyn sarebbe dovuta servire a regolare i conti con l’opposizione interna, ovvero la destra del partito, attestata su posizioni molto simili a quelle dei Conservatori in materia di economia e di “sicurezza nazionale”, nonché in gran parte legata all’ex primo ministro Tony Blair.

I parlamentari laburisti che si oppongono alla leadership di Corbyn avrebbero cioè dovuto essere messi fuori dal governo-ombra a causa del loro comportamento nelle recenti vicende politiche che ha indebolito e screditato l’uomo scelto solo pochi mesi fa con una valanga di consensi per guidare il partito.

Lo stesso Corbyn e il suo entourage hanno però ancora una volta evitato di adottare provvedimenti incisivi, finendo in definitiva per accettare un compromesso con gli oppositori interni, esponendosi parallelamente allo scherno dei Conservatori e dei media che gravitano attorno al partito di governo o che simpatizzano con la destra del Labour, come ad esempio il Guardian.

Le stesse modalità del rimpasto e i quasi due giorni impiegati a decidere e annunciare i cambiamenti nel governo-ombra hanno infatti sollecitato molti commentatori ad attaccare Corbyn per la sua debolezza e per l’incapacità di imporre il proprio volere sul partito. Allo stesso tempo, non pochi sono stati coloro che hanno comunque dipinto i cambiamenti decretati dal leader laburista come una sorta di vendetta contro quanti avevano contestato la linea politica ufficiale del partito.

Per cominciare, il presunto principale obiettivo del rimpasto, il ministro-ombra degli Esteri, Hilary Benn, ha finito per conservare il proprio incarico. Il più volte ministro durante i governi di Tony Blair e Gordon Brown aveva dato voce all’opposizione interna al Labour a inizio dicembre, quando, al termine del dibattito alla Camera dei Comuni sull’autorizzazione ai bombardamenti in Siria, aveva parlato dopo Corbyn manifestando il proprio sostegno al governo Cameron.

Assieme ad altri 11 membri del governo-ombra laburista e a 65 compagni parlamentari, Benn aveva votato così a favore della guerra in Siria, condotta ufficialmente contro lo Stato Islamico (ISIS/Daesh), permettendo all’esecutivo Conservatore di incassare il via libera all’allargamento del conflitto in Medio Oriente.

La presa di posizione contro la leadership del suo partito da parte di Benn con queste modalità era apparsa oggettivamente clamorosa ma, in realtà, era stata consentita dallo stesso Corbyn. Di fronte alle frenesie guerrafondaie di molti membri del governo-ombra, quest’ultimo aveva infatti accettato un compromesso con la destra del partito per evitare spaccature, lasciando libertà di voto e autorizzando eccezionalmente Hilary Benn a tenere il discorso di chiusura del dibattito sulla guerra in Siria.

Un altro compromesso Corbyn lo ha sottoscritto nei giorni scorsi prima di procedere con il “rimpasto”. Se Benn fosse stato rimosso dal suo incarico, una decina di ministri-ombra avrebbe dato le dimissioni, così che a uno dei suoi più accesi oppositori interni è stato permesso di rimanere al proprio posto, in cambio soltanto della vaga promessa di appoggiare il leader del partito nel prossimo futuro.

Eventuali dissensi nei confronti delle politiche stabilite da Corbyn potranno essere espressi da Benn solo nella veste di semplice parlamentare e non di ministro-ombra. In definitiva, l’ex ministro ha assicurato che continuerà a svolgere il proprio incarico “esattamente come prima”.

Alla fine, il rimpasto di Corbyn è stato decisamente modesto. A perdere il posto sono stati soltanto due fermi oppositori della leadership: il ministro-ombra della Cultura, Michael Dugher, considerato anche tra i più strenui difensori di Israele nel Labour, e quello per gli Affari Europei, Pat McFadden.

Quest’ultimo era stato protagonista a dicembre di un intervento in Parlamento nel quale aveva chiesto al primo ministro Cameron di respingere le tesi che interpretano gli attacchi terroristici sempre come risposta alle azioni dei governi occidentali, con un chiaro riferimento proprio a Corbyn che aveva appunto sollevato qualche critica nei confronti della politica mediorientale della Gran Bretagna e dei suoi alleati.

Un altro provvedimento ha riguardato inoltre il ministro-ombra della Difesa, Maria Eagle, spostata al dicastero-ombra della Cultura a causa del suo sostegno al progetto del governo per il rinnovo del programma “Trident”, relativo al mantenimento e allo sviluppo dell’arsenale nucleare britannico, a cui Corbyn si oppone. Al suo posto è stata nominata Emily Thornberry, la quale risulta allineata alle posizioni della leadership in ambito militare.

La prudenza di Corbyn e le rassicurazioni circa la consensualità delle decisioni prese in merito al rimpasto non hanno comunque calmato gli animi all’interno del partito. Anzi, l’atteggiamento fin troppo remissivo del numero uno laburista ha convinto l’opposizione interna ad andare all’attacco.

Tre membri relativamente di secondo piano del governo-ombra hanno infatti rassegnato le loro dimissioni, accompagnandole con dichiarazioni pubbliche fortemente critiche di Corbyn. Il ministro-ombra dei Trasporti, Jonathan Reynolds, e Stephen Doughty, una sorta di sottosegretario-ombra agli Esteri, si sono dimessi addirittura in diretta TV. Il terzo a lasciare è stato infine Kevan Jones, sottosegretario-ombra alla Difesa, in polemica con il provvedimento che ha colpito la sua superiore, Maria Eagle. Jones ha affermato che nel rimpasto di Corbyn non vi è stato nulla di “onesto o trasparente”.

L’ennesimo polverone registrato in casa laburista a pochi mesi dall’elezione di Jeremy Corbyn conferma in ogni caso sia la natura del nuovo leader e del partito stesso sia quella dei suoi oppositori e del sistema politico britannico.

Corbyn ha confermato nuovamente la sua incapacità di capitalizzare il massiccio sostegno popolare manifestato per l’agenda progressista con cui si era presentato agli elettori laburisti. A ogni attacco della destra del partito, Corbyn ha fin qui risposto in maniera docile, mostrandosi più disposto a mediare tra le anime del Labour che ad affrontare in maniera decisa un gruppo di dirigenti e parlamentari in larga misura screditati e con pochissimo seguito al di fuori di certi ambienti dei media e della classe dirigente d’oltremanica.

L’attitudine di Corbyn è d’altra parte legata alla sua fedeltà al partito ancor prima che agli elettori che lo hanno scelto come leader del Labour. La volontà di preservare l’unità ed evitare spaccature, cedendo progressivamente terreno alla destra pro-business e sostenitrice dell’imperialismo britannico, non può perciò che condurre a una sconfitta politica del progetto Corbyn.

D’altra parte, al di là delle questioni di predisposizione personale, la stessa ambizione di tornare a fare del Labour un partito dei lavoratori o della classe media appare sempre più come una mera illusione, alla luce della sua trasformazione in uno strumento dei grandi interessi economici e finanziari del Regno.

I costanti attacchi portati da più parti contro la leadership di Jeremy Corbyn in questi mesi denunciano tuttavia un certo timore nella classe dirigente britannica, al di là dei toni spesso sarcastici e dell’insistenza sull’irresolutezza del numero uno laburista.

L’ansia che si nasconde dietro le critiche impietose e l’ostentazione del dominio assoluto dei Conservatori di fronte a un Labour ipoteticamente spostato a sinistra e, perciò, presumibilmente tagliato fuori da ogni ambizione di governo, ha a che fare non tanto con le effettive doti politiche di Jeremy Corbyn quanto con i segnali di mobilitazione popolare che hanno portato alla sua elezione.

L’irruzione, dopo molti anni, di proposte progressiste sulla scena principale della politica britannica, ancorchè per il momento limitate agli angusti confini di partiti interamente “mainstream” come quello Laburista, potrebbe indicare cioè una possibile coagulazione della crescente ostilità popolare nei confronti del pensiero unico che anima i sistemi politici occidentali attorno a un movimento indipendente e portatore di un cambiamento finalmente autentico, quanto meno in prospettiva futura.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy