di Fabrizio Casari

Si deve all’abilità della sicurezza dello stadio dove si svolgeva la partita tra Francia e Germania se il bilancio degli attentati terroristici non è arrivato a contare migliaia di morti. Aver immediatamente chiuso le uscite dallo stadio ha impedito la fuga generale di decine di migliaia di tifosi nel pieno del panico, che avrebbe potuto replicare moltiplicando per cento quanto avvenuto all’Heysel nel 1985.

Nella dinamica degli attentati emergono alcuni dati che vanno evidenziati. La scelta del Venerdì, giorno santo dedicato alla preghiera per i musulmani non sembra casuale. I luoghi scelti, in primo luogo il teatro Bataclan (dove si svolgeva un concerto di musica metal), ma anche lo stadio, sono luoghi per eccellenza dove si recano i parigini.

Sono posti difficilmente meta di turisti che, invece, sono soliti muoversi in altre zone, dal Quartiere Latino a Montmartre, dagli Champs Elysees e Place de la Concorde, al Louvre, alla Tour Eiffel.

C’è, con tutta evidenza, un salto in avanti rispetto agli scorsi attentati contro Charlie Hebdo. Se nei confronti della rivista satirica si poteva leggere, per quanto folle e omicida, la risposta di presunti musulmani presumibilmente offesi per le cialtronate che venivano pubblicate e dunque la scelta di colpire a Parigi poteva essere una sorta di effetto collaterale dovuto alla collocazione fisica della redazione, quelli di ieri non hanno un bersaglio in qualche modo identificabile con l’avversione all’Islam.

In questo senso, volendo cercare una linea unificante con gli attacchi di pochi mesi orsono, quelli di ieri più che ad un obiettivo preciso ed identificato nell’occasione con la redazione del giornale satirico, sembrano inserirsi nello stesso orribile solco di quanto avvenne nel supermercato. Il nemico dichiarato è la gente comune, il normale vivere quotidiano di una città europea. A maggior ragione di una capitale che contiene milioni di musulmani, la maggior parte stipati in banlieues che, a semplice vista, ricordano la vita in cattività di ormai tre generazioni di maghrebini.

Il silenzio assoluto delle guide musulmane di Francia colpisce non poco. E’ forse figlio di una difficoltà a pronunciarsi, stretti tra un dovere di cittadinanza europeo e un obbligo di solidarietà e comprensione con i giovani assassini che uccidono in nome del Corano. Colpisce ed inquieta, quel silenzio, perché ridurrà ulteriormente i margini di manovra di coloro che cercheranno di differenziare la caccia agli assassini dalla caccia all’Islam.

La rivendicazione arrivata dall’ISIS accusa la Francia di essere “la capitale dell’abominio e della perversione”, ma se così fosse gli attentati avrebbero avuto luogo a Pigalle o in altri luoghi dove le libertà negli usi e costumi francesi si manifesta con maggiore nettezza. E quindi più credibil l’obiettivo fosse il terrore per il terrore, fosse cioè infondere la paura a 360 gradi.

E così come avvenne nello scorso Gennaio, non si realizzano attacchi singoli, ma più nuclei in posti diversi per quanto relativamente vicini. Il che dice qualcosa sugli assassini e qualcos’altro su chi dovrebbe difendere l’incolumità delle città.

Sono circa una decina i commandos suicidi. Il che significa che, includendo ideazione, organizzazione, logistica e comunicazioni, sono state perlomeno una quarantina le persone coinvolte nell’organizzazione della strage. La domanda, dunque, è inevitabile: i servizi segreti francesi hanno esaurito la loro fama nelle cantine dove torturavano i resistenti algerini negli anni 60? Dove e su quale qualità dell’intelligence riposa l’ostinata riproposizione di una grandeur che ormai risulta drammaticamente imbelle?

E’ evidente che i protagonisti, per quanto abili possano essere (ma certo, vista la giovane età, non si tratta di veterani guerriglieri) sono riusciti a bucare completamente le maglie della rete di controllo che dalle banlieues al resto di Francia, la DGSE e il Ministero dell’Interno hanno teso successivamente all’assalto a Charlie Hebdo.

La notizia secondo la quale uno dei componenti del commando era schedato e “attenzionato” dai servizi francesi, aumenta gli interrogativi. Perché era libero? Ed era almeno sorvegliato? E chi lo sorvegliava non aveva notato nulla nei suoi movimenti che potesse insospettire? Qui non ci si trova di fronte alla scheggia impazzita, al gesto isolato di un esaltato obiettivamente difficile da prevenire, ma all’azione di un nucleo organizzato al quale la retata di 24 ore prima in Italia e Germania può aver solo spinto ad accelerare l’azione.

Il Presidente Hollande, una delle maggiori delusioni nella storia politica della Francia, ha invitato tutto il Paese alla mobilitazione, com’era inevitabile. Ma forse, più concretamente, dovrebbe decidere di proporre una modifica sostanziale alle linee operative dei suoi organi d’intelligence, in primo luogo dismettendo quella di punta di lancia degli interessi delle imprese d’Oltralpe per concentrarsi invece sulla difesa dell’integrità e inviolabilità del suo territorio dalla minaccia interna ed estera.

Si può - anzi si deve - ricordare che l’orrore provato ieri in Francia è solo una minima parte di quello provato in tutto il Medio Oriente ogni giorno, ma più che replicare all'unisono la retorica da boyscout e l’elegia del modello di democrazia occidentale contro la barbarie, è meglio che l’azione di ieri sia contestualizzata politicamente è della sua condotta in Siria che Parigi è chiamata a rispondere.

Che viene vista dall’ISIS come un tradimento, evidentemente. Perché in particolare in Libia, ma anche in Siria, la Francia è stata in prima linea contro i legittimi governi di Tripoli e Damasco ed anche in Irak Parigi non ha mai rappresentato un sostegno al governo sciita. Dunque, l’affermazione dell’ISIS è stata certamente agevolata dalla linea politica di Parigi, oltre che da quella di Londra e Washington.

Dallo scorso Settembre, però, pur con molte più parole che proiettili, Parigi ha dato un giro diverso con la sua partecipazione all'alleanza internazionale contro l'ISIS e, a seguito di questa nuova collocazione, ha effettuato alcune missioni di attacco in Siria.

Quello che però ha cambiato il quadro complessivo è la recente Conferenza di Vienna, nella quale hanno cominciato a delinearsi i primi contorni per un processo di pace. Nata a seguito dell’intervento russo in Siria, la consultazione tra le nazioni vede la presenza del governo di Damasco e di quello di Teheran, cominciando così a delineare un totale cambio di rotta verso l'ISIS da parte di Parigi e Londra. Nel comunicato dell'ISIS che rivendica gli attentati di ieri a Parigi, vengono indicate Londra, Washington e Roma come le tappe successive del terrore camuffato da religione. Dunque, sebbene i distinguo sono evidenti, la sfida è a l'Occidente tutto.

Tra dieci giorni, i 17 paesi che stanno scegliendo il percorso possibile per la soluzione politica alla guerra siriana torneranno a riunirsi. Ebbene sarà opportuno intraprendere un deciso e definitivo percorso che abbandoni l’ostilità politica contro Assad e sappia invece costruire un’alleanza militare con il governo di Damasco e l’esercito lealista per sconfiggere definitivamente il Califfato di Al Baghdadi.

Gli iraniani e i curdi in Irak, i Peshmerga curdi e i russi in Siria, stanno già facendo sul serio. E’ ora che l’Occidente si aggiunga e metta con le spalle al muro i suoi alleati sauditi e turchi invece di continuare ad individuare in Assad il problema.

In questo senso, le dichiarazioni di ieri del Ministro degli Esteri italiano, Gentiloni, che ritiene come l'obiettivo sia la cacciata di Assad, risultano particolarmente stupide. Per carità, non è certo Gentiloni la figura di riferimento per la politica estera del nostro Paese, ma sarebbe opportuno che fosse ricondotto al silenzio da chi decide.

Se si vuole pacificare la Siria, Assad è parte della soluzione, non il problema. Impossibile chiedergli di lasciare il comando perché il vuoto di potere produrrebbe solo una nuova Libia, dove pure l'Occidente e la Francia in particolare stanno sperimentando il fallimento totale. Serve piuttosto una rapida disfatta militare dell’islamismo per ridurre l’aureola del terrore e preparare un nuovo inizio per la Siria.

Ci sarà tempo successivamente per analizzare errori e fallimenti di chi per liberarsi dell’asse tra Teheran, Damasco, Beirut e Gaza ha pensato di costruire un Frankestein del terrore. Che poi, come già in Afghanistan, gli si è rivoltato contro facendogli pagare il prezzo più alto.

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