di Michele Paris

Nelle ultime settimane, i leader di tre delle principali economie europee sono stati protagonisti di incontri ad altissimo livello con esponenti del governo cinese a riprova dei crescenti legami economico-finanziari tra Pechino e il vecchio continente. Questo processo di avvicinamento si sta evolvendo singolarmente in parallelo all’inasprirsi delle tensioni tra la Cina e gli Stati Uniti, tornate di recente al di sopra dei livelli di guardia in seguito a una nuova provocazione di Washington nel Mar Cinese Meridionale.

L’ultimo in ordine di tempo a visitare la Cina è stato il presidente francese, François Hollande, preceduto di alcuni giorni dalla cancelliera tedesca, Angela Merkel. Ancora prima, era stato il presidente cinese, Xi Jinping, a recarsi in Gran Bretagna, dove aveva ricevuto una caldissima accoglienza come quella riservata poco più tardi ai suoi ospiti europei.

La visita di Hollande ha seguito il tradizionale schema delle missioni occidentali di questi anni in Cina. Il leader socialista si è cioè presentato con una schiera di rappresentanti del business transalpino e ha presieduto alla firma di sostanziosi accordi commerciali e di altro genere per il valore di svariate decine di miliardi di euro. Soltanto una singola intesa nell’ambito dei rifiuti delle centrali nucleari ha superato i 20 miliardi di euro.

La delegazione tedesca aveva a sua volta sottoscritto accordi economici per una ventina di miliardi di euro, mentre a Londra il presidente Xi e il governo conservatore avevano concordato investimenti cinesi nell’economia britannica per oltre 100 miliardi. Sia con la Gran Bretagna sia con la Francia, inoltre, sono state gettate le basi per una più solida collaborazione in ambito finanziario, nel quadro dei tentativi di Pechino di creare mercati off-shore su cui scambiare la propria valuta.

In tutti i casi, le relazioni commerciali e finanziarie tra la Cina da una parte e, dall’altra, Francia, Germania e Gran Bretagna, hanno fatto segnare aumenti spesso esponenziali nell’ultimo decennio. La Germania resta il principale partner commerciale europeo della Cina, anche se, come fanno notare molti osservatori, il modello di sviluppo meno impetuoso che Pechino intende perseguire e la necessità di accedere ai mercati finanziari internazionali prefigurano un intensificarsi dei rapporti soprattutto con la Gran Bretagna nel prossimo futuro.

La questione dell’atteggiamento da tenere nei confronti della Cina indica dunque divisioni sempre più evidenti tra gli Stati Uniti e i loro alleati in Europa. Quest’anno, proprio il governo britannico aveva preso una decisione che ha in qualche modo inaugurato in maniera ufficiale il convergere degli interessi economici europei con la strategia di espansione cinese.

Nel mese di marzo, Londra aveva per prima annunciato l’adesione come membro fondatore alla Banca Asiatica per gli Investimenti nelle Infrastrutture (AIIB) promossa da Pechino. Dopo la Gran Bretagna erano arrivate le adesioni di svariati altri paesi alleati degli Stati Uniti, nonostante le pressioni e il parere contrario dell’amministrazione Obama.

Emblematico di questi nuovi scenari è anche il caso della Francia. Oltre alla visita di Hollande in Cina, va rilevato il mancato appoggio pubblico da parte dell’Eliseo agli USA nell’ambito del recente scontro diplomatico tra Washington e Pechino, scaturito dalla decisione americana di inviare una propria nave da guerra all’interno dei limiti territoriali stabiliti dalla Cina al largo di un atollo rivendicato anche da altri paesi nel Mar Cinese Meridionale.

Più in generale, Parigi appare sempre più impaziente nei confronti degli Stati Uniti, la cui politica estera all’insegna del confronto con Cina e Russia si scontra con gli interessi strategici ed economici francesi. Significative in questo senso sono state le recenti dichiarazioni dell’ex presidente Sarkozy, il quale, dando probabilmente voce alle preoccupazioni non sempre espresse pubblicamente dal governo Socialista, ha condannato le sanzioni economiche applicate alla Russia dall’Europa - dietro pressioni americane - per la vicenda ucraina.

Com’è ovvio, a spingere verso una progressiva integrazione eurasiatica è anche e soprattutto Pechino, principalmente sotto forma della cosiddetta “Nuova Via della Seta”. Denominata anche “One Belt, One Road”, quest’ultima è una colossale iniziativa che include tra l’altro progetti per infrastrutture destinate a favorire la creazione di rotte commerciali che colleghino i mercati cinesi e quelli europei passando attraverso l’Asia centrale e il Medio Oriente.

Questo ambiziosissimo disegno cinese è da sempre osteggiato in maniera ferma dagli Stati Uniti, impegnati a impedire l’integrazione economica del continente europeo con una potenza rivale - come Cina o Russia - che possa esercitare la propria influenza sugli sconfinati e strategicamente cruciali territori centro-asiatici.

Queste dinamiche sono però in buona parte favorite proprio dagli Stati Uniti e dal loro riallineamento strategico verso l’Asia. Da qualche anno, la dottrina della “svolta asiatica” ha determinato un’offensiva economica, diplomatica e militare da parte di Washington che si traduce in una concreta minaccia nei confronti delle rotte commerciali marittime vitali per la Cina che attraversano l’Oceano Indiano.

Ciò ha spinto quindi Pechino o, quanto meno, una parte della classe dirigente del regime a guardare con estremo interesse alle rotte terrestri verso occidente e, di conseguenza, a cercare di costruire rapporti più profondi con i paesi europei.

Se la propaganda cinese non manca di sottolineare il livello qualitativo raggiunto dai rapporti con l’Europa, a Pechino vi sono allo stesso tempo ben poche illusioni circa gli ostacoli sulla strada verso la creazione di una vera e propria alleanza con il vecchio continente, nonostante gli enormi interessi economici in gioco.

I legami diplomatici ed economico-finanziari tra UE e USA restano ovviamente molto solidi, così come i vincoli militari assicurati dalla NATO. Inoltre, è altrettanto evidente che l’evoluzione dei rapporti internazionali che vedono la Cina protagonista difficilmente lasceranno indifferenti gli Stati Uniti.

Anzi, l’intensificarsi dei contatti tra la Cina e i paesi europei contribuisce all’irrigidimento delle posizioni americane nei confronti di Pechino, come risulta chiaro dagli eventi di questi ultimi giorni, con effetti destabilizzanti su scala globale.

La già ricordata provocazione americana nel Mar Cinese Meridionale della scorsa settimana ha suscitato la dura risposta da parte del regime cinese e ha avuto riflessi tutt’altro che rassicuranti anche sul biennale summit dei ministri della Difesa dell’Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico (ASEAN), in corso questa settimana a Kuala Lumpur, in Malaysia.

I paesi di quest’area vivono in maniera diretta le conseguenze della crescente rivalità tra la Cina e gli USA, in molti casi rispettivamente il loro principale partner commerciale e l’alleato strategico e militare più importante. All’interno dell’ASEAN, perciò, si manifestano tradizionalmente le tensioni tra le due superpotenze.

Come già accaduto nel recente passato, così, sullo sfondo delle persistenti provocazioni di Washington, della reazione di Pechino e delle divergenze circa i rapporti con Cina e USA tra i paesi membri, mercoledì i ministri ASEAN non sono riusciti ad accordarsi sul contenuto della consueta dichiarazione congiunta che suggella la fine dei lavori.

Il punto del contendere è stato l’inclusione nel comunicato di un riferimento alla situazione nel Mar Cinese Meridionale. Per la delegazione americana all’ASEAN, Pechino avrebbe insistito per omettere qualsiasi riferimento all’area contesa, mentre la Cina ha accusato indirettamente gli USA - e il Giappone - di voler forzare la mano ai paesi del sud-est asiatico per includere una dichiarazione che manifestasse preoccupazione per l’escalation della crisi nelle aree marittime contese.

La disputa ha visto alcuni paesi schierarsi a fianco di Washington in maniera chiara, come le Filippine e il Vietnam, mentre altri, come la Malaysia, hanno assunto un atteggiamento più cauto, ben attenti a valutare possibili impatti negativi sui loro rapporti economici con Pechino.

 

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