di Mario Lombardo

Dopo quasi un decennio di ininterrotto governo, il Partito Conservatore canadese del primo ministro, Stephen Harper, è stato letteralmente travolto dal Partito Liberale centrista nelle elezioni federali di lunedì. Il 43enne leader Liberale e prossimo capo del governo, Justin Trudeau, è stato in grado di capitalizzare un diffusissimo senso di repulsione nei confronti delle politiche reazionarie della maggioranza uscente, resuscitando un partito che solo quattro anni fa aveva fatto registrare il peggior risultato della propria storia.

Il Partito Liberale ha conquistato circa il 40% dei voti espressi, assicurandosi la maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni di Ottawa con 184 seggi sui 338 complessivi. Nella precedente tornata elettorale, i liberali avevano ottenuto appena 34 seggi ed erano diventati clamorosamente il terzo partito canadese, dietro anche al Nuovo Partito Democratico (NDP) di ispirazione social-democratica.

Proprio quest’ultima formazione e il suo leader, l’ex ministro nel governo provinciale del Québec, Tom Mulcair, erano stati per settimane indicati dai sondaggi come i possibili vincitori di un voto che si presentava piuttosto equilibrato. Alla fine, l’NDP ha invece visto dimezzarsi i propri seggi in seguito alla perdita di oltre un terzo dei consensi su scala nazionale. Particolarmente grave e sintomatica è stata la batosta patita a favore dei Liberali in Québec, provincia che aveva fatto da trampolino di lancio per il partito nel 2011.

Il vero tracollo l’ha fatto segnare però il Partito Conservatore che è passato da 166 a 99 seggi. Subito dopo la chiusura delle urne, Harper ha prevedibilmente rassegnato le proprie dimissioni da leader del partito. La misura della sconfitta dell’ormai ex partito di governo canadese è stata data, tra l’altro, da un lungo elenco di trombati eccellenti in svariati distretti elettorali (“ridings”), come il ministro delle Finanze, Joe Oliver, a Toronto, e quello dell’Immigrazione, Chris Alexander, in una cittadina dell’Ontario meridionale.

Il Partito Liberale, in definitiva, ha beneficiato di una campagna elettorale condotta in maniera energica e con toni costantemente positivi da Trudeau, figlio di Pierre Trudeau, primo ministro canadese quasi ininterrottamente dal 1968 al 1984. I Conservatori avevano cercato in tutti i modi di dipingere Trudeau come troppo giovane e inesperto, ma il leader Liberale ha sfruttato i suoi presunti punti deboli per cavalcare il desiderio di cambiamento tra gli elettori.

A pesare sulle sorti di Harper e del suo partito sono state però soprattutto le politiche attuate in questi anni, fatte di austerity, militarismo e attacchi ai diritti democratici dei cittadini in nome della lotta al terrorismo. Inoltre, un recente scandalo sulle spese gonfiate di alcuni senatori Conservatori ha contribuito al disastro, così come e ancor più il rallentamento di un’economia basata sull’industria estrattiva e fortemente penalizzata dal crollo delle quotazioni del petrolio.

La promozione del Partito Liberale come l’alternativa progressista cercata dagli elettori canadesi è stata possibile anche grazie alle principali organizzazioni sindacali che hanno appoggiato Trudeau. L’NDP, poi, è sembrato giocarsi nel peggiore dei modi la possibilità di conquistare per la prima volta il potere, impostando una campagna elettorale in parte appiattita sulle posizioni dei Conservatori, principalmente per convincere la borghesia canadese della capacità del partito di governare sotto la leadership di Mulcair.

Come i Conservatori, l’NDP aveva così promesso il pareggio di bilancio per i prossimi quattro anni, altri tagli al carico fiscale delle imprese e nessun aumento delle tasse per i più ricchi. Il risultato di questa strategia è stato inevitabilmente quello di consentire ai Liberali di proporsi come il vero partito anti-austerity.

La proposta forse decisiva lanciata da Trudeau è stata quella di rompere apertamente con il rigore, promettendo nei prossimi tre anni altrettanti deficit di almeno 10 miliardi di dollari per finanziare una serie di opere pubbliche.

Se durante la lunghissima campagna elettorale si è discusso ad esempio dell’inclinazione islamofoba del Partito Conservatore e dei tentativi di alimentare simili sentimenti retrogradi da parte di Harper, altre questioni fondamentali sono rimaste praticamente fuori dal dibattito politico.

Per cominciare, la progressiva integrazione del Canada nel sistema militare americano non è stata sollevata in maniera seria. Il governo Harper ha quasi sempre assecondato gli obiettivi strategici dell’imperialismo americano, dall’Ucraina alla Siria e all’Iraq, coinvolgendo il proprio paese in pericolosi e impopolari conflitti oltreoceano.

Parallelamente a ciò, il governo uscente ha creato un clima di assedio nel paese, ingigantendo la minaccia del terrorismo fondamentalista anche in seguito ad alcuni episodi di violenza dai contorni peraltro non chiarissimi. In questo quadro, la scorsa primavera i Conservatori erano riusciti ad approvare la famigerata Legge C-51, la quale assegna tra l’altro ai servizi di sicurezza un accesso pressoché illimitato alle comunicazioni personali dei cittadini e ampi poteri discrezionali nel perseguimento di qualsiasi genere di “minaccia” alla sicurezza nazionale.

Tutti i partiti del panorama politico canadese hanno di fatto assicurato di voler conservare la legge, con i Liberali che tutt’al più si sono limitati a proporre maggiori poteri di “supervisione” per il Parlamento nell’implementazione delle misure previste dal provvedimento.

In generale, la débacle dei Conservatori, oltre che alla crescente ostilità di ampie fasce della popolazione, è dovuta anche al cambiamento di attitudine di almeno una parte delle élite canadesi, preoccupate per le conseguenze in termini di tensioni sociali delle rovinose politiche perseguite negli ultimi nove anni.

L’orientamento di queste sezioni della classe dirigente del paese nordamericano a favore dei Liberali era apparso evidente anche dal sostegno o, quanto meno, dalla simpatia espressa per Trudeau da svariati giornali di tendenze conservatrici o che rappresentano i poteri forti canadesi.

Il Partito appena uscito vincitore dal voto, d’altra parte, come i Democratici a sud del confine e quelli di centro-sinistra in Europa, ha una lunga storia di promesse di stampo progressista puntualmente tradite una volta al governo. Esemplare in questo senso era stata l’esperienza dell’esecutivo Liberale guidato dal primo ministro Jean Chrétien tra il 1993 e il 2003, caratterizzata da tagli alla spesa pubblica superati solo successivamente da quelli implementati da Harper.

Viste perciò le pressioni degli ambienti finanziari internazionali e del business domestico, il clima economico non esattamente incoraggiante e le tensioni crescenti tra le potenze mondiali sullo scacchiere internazionale, appare più che legittimo dubitare della volontà e della capacità del Partito Liberale di Justin Trudeau di mettere in atto le promesse di cambiamento per invertire la rotta segnata dalla dolorosa esperienza di governo di Stephen Harper.

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