di Mazzetta



Ancora una volta la Turchia bussa alla porta dell’Europa e non vi trova dietro una posizione unitaria. Molti sono i motivi che hanno spinto le più diverse formazioni politiche europee ad opporsi, con alterne fortune, all’ingresso della Turchia nella UE. Le destre più o meno integrate nel neoconservatorismo occidentale e quelle inclini alla xenofobia, basano il loro rifiuto soprattutto sulle differenze culturali e sull’inconcepibile (per alcuni) associazione di un paese privo delle “comuni radici giudaico-cristiane” alla carovana con la testa a Bruxelles, ma con il cuore e le viscere divisi da mille localismi. Al contrario i sinceri democratici sono più preoccupati per l’assetto istituzionale turco, nel quale i militari godono di status, potere e libertà d’azione inconcepibili nel resto del continente. Poi ci sono gli interessi nazionali. Dai francesi che, subendo la pressione di una forte comunità armena, rinfacciano ai turchi il mancato mea-culpa sulle stragi di un secolo fa, all’ostilità storica della Grecia, di Cipro e dei paesi balcanici, fino ai razzisti a vario titolo, teutonici, angli o padani.
La Turchia può contare sul sicuro favore tedesco, la Germania è il paese dove vivono più turchi dopo la Turchia, sulla scomoda sponsorizzazione americana e sull’appoggio di tutti quanti hanno una visione strategica dell’Europa che non può prescindere dall’apporto della Turchia. Se le attese americane concorrono verso la speranza di una Europa “appesantita” dalla Turchia - ma soprattutto nell’ancorare un baluardo della Nato di sicura fiducia all’alleanza Occidentale - molti guardano più prosaicamente alla Turchia come ad un paese maturo, un paese di settanta milioni di abitanti in grado di essere allo stesso tempo ponte ed ammortizzatore verso l’Asia ed il Medioriente.

In mezzo a questa sovrana confusione molti si sono un po’ persi. Si sono perse le opinioni pubbliche europee e anche quella turca, una volta compattamente a favore, oggi spaccate a metà come meloni, così come si è perso il dibattito europeo, troppe volte indecifrabile e tendente ad allungare i tempi dell’adesione turca oltre ogni consuetudine. Se ai turchi questi interminabili esami e messe in discussione hanno portato sconforto, lo stesso non si può dire per la corrotta politica turca. I militari, recentemente sotto accusa per aver compiuto attentati e torture, hanno reagito minacciosi, assecondati dai partiti nazionalisti e anche da settori di quello islamico.

L’Europa si trova di fronte ad un paese che, almeno rispetto alle medie europee risulta corrotto, percorso da oscure trame militari e con un importante partito islamico; e deve decidere se associarlo ora o forse un giorno più in là. La scelta più razionale propende per l’associazione. Anche nel caso dell’Italia si è visto che un paese dalla sana costituzione, una volta associato nell’Unione deve comunque adeguarsi alle regole comunitarie. Per diversi paesi europei l’adesione all’Unione ha comportato un reale aumento del tasso di democrazia e della qualità istituzionale e non parliamo solo dei paesi dell’Est. L’entusiasmo dei cittadini turchi, ora calante, è lo stesso che animava i cittadini di Grecia, Italia e Portogallo, che si attendevano dall’Europa quell’innalzamento di standard che le rispettive classi politiche non erano in grado di garantire, fosse per mancanza di qualità o perché distratte da altre lotte.

Allungare ancora i tempi della decisione non pare possibile. Certamente l’assimilazione della Turchia nell’Unione ha bisogno dell’attenzione e della collaborazione più vasta possibile, anche per evitare l’emergere un partito trasversale europeo “americano”, che si identifichi con il nocciolo duro della Nato spingendo la UE verso orizzonti militari molto lontano dai compiti e della missioni immaginate dai padri del trattato. La popolazione della Turchia ha un’istruzione di standard simile a quello dell’Unione, l’economia turca è vivace e i turchi rivolgono storicamente la loro attenzione all’Europa, non esistono “muri” tra i turchi, peraltro emigrati a milioni nel continente, ed il resto degli europei.

Il miglior modo per ancorare la Turchia all’Europa, cosa che è sicuramente più desiderabile che lasciarla ai militari al guinzaglio degli Stati Uniti (a sparare sui curdi) o al perderla nei sogni dei predicatori e nei deliri religiosi., è assimilarla con garbo e lasciare che il tempo faccia il suo corso. A quel punto molte questioni della Turchia verranno discusse inter pares nell’interesse comune e non più tra uno scomodo podio e un imbarazzante banco da ultimo della classe. E questa è sicuramente la premessa fondamentale per riuscire a sciogliere le tensioni del nazionalismo turco, come quelle di gran parte dei “preoccupati” europei. Quando i turchi non saranno più “altri”, l’Europa sarà grande come non mai ed allora si tratterà veramente di entrare nella fase successiva, quella che attende la stesura di una vera carta costituzionale che non sembri il regolamento di un condominio e l’apparizione di una politica estera comune che dica finalmente agli europei e al mondo cosa vorrà fare da grande quell’entità nascosta dietro la bandiera blu con le stelle d’oro, oltre mezzo miliardo d’europei in cerca d’autore.



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