di Bianca Cerri

In queste ore gli americani stanno scegliendo 435 nuovi congressisti, 33 nuovi senatori e 36 governatori. Gli exit-poll sono ancora oscillanti e non consentono previsioni, bisognerà aspettare le proiezioni ufficiali. Durante la campagna elettorale, i notiziari hanno alternato gli spots dei candidati ad allarmanti notizie di scandali sessuali, raggiri politici e tresche varie ed esiste il serio rischio che il pubblico decida di disertare in massa le urne. In ogni caso, non si verificheranno cambiamenti epocali. Votare per un partito solo per fare dispetto all’altro non sarà sufficiente a ripristinare la giustizia sociale negli Stati Uniti, una delle nazioni più sfortunate del mondo per quello che riguarda la scena politica. Molti vedono nelle elezioni di medio-termine solo un referendum che sarà vinto da chi avrà saputo sfruttare meglio la dabbenaggine degli elettori. Non è escluso che la vera vittoria sarà quella dei media, che durante la campagna elettorale hanno guadagnato circa il 15% di quanto avevano incassato con elezioni presidenziali del 2004. Tradotto in soldoni si parla più o meno di un miliardo e seicentomila dollari per le sole emittenti televisive. I Democratici, in particolare Robert Mendez, sono stati più spendaccioni dei Repubblicani oltre che più fantasiosi nella scelta degli spots. Quando i soldi non mancano ci si può sbizzarrire spaziando dalle ambientazioni horror, con tanto di anatemi contro gli immigrati clandestini, a quelli strappalacrime sulla vita del candidato “venuto dal nulla”, che agli americani piace molto. Un aspirante senatore democratico è apparso in TV la notte di Halloween con una zucca in mano per lanciare nuovi strali contro i terroristi dell’11 settembre. C’è chi giura di aver visto la una lacrima scendere dagli occhi scavati nella zucca....

Ai democratici servono 15 seggi in più per recuperare la maggioranza al Parlamento, persa nel lontano 1994. Il partito ha però il grande problema di essere allergico alla fermezza sia ideologica che morale e in epoca elettorale i sintomi si accentuano. Bush li ha accusati di essere “anti-patriottici” e “indifferenti ai destini del paese”, ma se dovessero farcela sarà pur sempre necessario che si dimostrino in grado di elaborare almeno uno straccio di programma politico. Dal canto loro, i Repubblicani hanno investito molte energie nel potenziare le lobbies che gravitano nella loro orbita, ma hanno sfiancato anche l’elettorato più conservatore con le continue restrizioni delle libertà costituzionali in nome della “lotta al terrorismo”. La condanna a morte a Saddam Hussein giocherà probabilmente a loro favore. Intanto, memori del baillame che seguì alle presidenziali del 2000, entrambi i partiti hanno destinato parte dei fondi elettorali alle battaglie legali che potrebbero dover affrontare. Le questioni centrali, come l’impoverimento del paese e il rispetto dei diritti umani sono state invece soltanto sfiorate sia dai Democratici che dai Repubblicani. Del resto, si era capito già il 17 ottobre, con la firma del Military Act, che l’unica preoccupazione dei politici americani è stringere la morsa sul paese. E per bene che vada anche stavolta andare a votare sarà una perdita di tempo..... Nell’America che si presenta all’appuntamento elettorale non c’è nulla di nuovo sotto il sole.


I reduci si candidano

Hanno servito la patria e ora pretendono di andare al governo, entrando da una porta qualsiasi.
I Democratici li hanno candidati in massa, i Repubblicani un po’ meno. Sono i reduci dalle tante guerre volute dagli Stati Uniti e si dicono sicuri che l’elettorato saprà apprezzare la loro dedizione al paese. Era dagli anni della seconda guerra mondiale che non si vedevano tanti ex-militari nelle liste elettorali. Forti di un’esperienza a suo modo unica, hanno chiesto l’aspettativa dall’esercito per propagandare le proprie candidature andando da uno stato all’altro. Tammy Duckworth, ex-pilota della guardia nazionale che ha lasciato tutte e due le gambe in Iraq, ha accettato la candidatura su invito di due politici dell’Illinois che molto probabilmente intendono sfruttare la sua immagine per offrire maggiori chances al partito. Duckworth, unica donna-soldato in corsa per il Congresso, ha dichiarato di essere nonostante tutto orgogliosa di aver combattuto per il suo paese. In Iraq aveva 42 sottoposti, tutti uomini e nel suo profilo ha scritto di adorare gli abito rosa.


Hillary & I Soldi

Le donazioni individuali ai candidati al Congresso e al Senato non possono superare per nessun motivo i 2100 dollari e solo se il candidato supera le primarie può riceverne altri 2100 dallo stesso sostenitore. I PAC, o Comitati d’Azione Politica, possono invece dare ai candidati fino a 5000 dollari, ma sono autorizzati a riceverne fino a 10.000 a patto che vengano distribuiti poi a due o più candidati. Naturalmente, i finanziatori investono denaro solo in chi assicura che, se verrà eletto, sosterrà le loro ragioni presso il Congresso o presso il Senato. Gli avvocati di New York, ad esempio, sono stati particolarmente generosi con Hillary Clinton, che ha ricevuto da vari studi il 63% dei $47,390,565 raccolti durante la campagna elettorale 2006. Le fortune elettorali di un candidato dipendono quasi esclusivamente dal sostegno dei supporters e in questo caso i fondi raccolti appaiono promettenti. Ma per guadagnarsi la nomination alle presidenziali del 2008 Clinton aveva bisogno di altri fondi, così ha cominciato ad inventare espedienti per raccoglierli. 418.000 dollari li ha messi insieme con l’aiuto dei lobbisti vicini ai Democratici. Altro denaro se l’è procurato organizzando una tre giorni di festa per i 60 anni del marito divenuti subito un evento-spot. La partecipazione, infatti, non era gratuita. Bisognava sborsare un minimo di sessantamila dollari per la cena e ben mezzo milione di dollari per avere “libero accesso”alla coppia Bill-Hillary. Resta però il fatto che se Hillary ottenesse la nomination, il 40% degli americani non voterebbe per lei alle presidenziali. A chi serve un’ex-first-lady che vuole fare il presidente dopo essere finita sotto inchiesta per truffa ai danni dello Stato?

Un grande passato attende l’America

Le elezioni di medio termine del 2006 passeranno alla storia come le elezioni più costose della storia degli Stati Uniti e non solo in termini monetari. Una cosa è certa: alla fine saranno premiati solo i candidati che riusciranno a rendere credibili le fandonie più macroscopiche. Giorno dopo giorno, gli americani hanno finito per abituarsi alle deludenti metafore dei politici e alla totale mancanza di verità e concretezza e non ci fanno neppure più caso. Tuttavia, il rischio è che sostituendo la fedeltà ai propri ideali con quella in una politica fallimentare scopriranno un giorno di essersi resi complici di orrori come quelli imposti ai detenuti di Abu Ghraib e di Guantanamo. Non è solo una questione di legalità, il problema è convincersi che né la tortura né e le invasioni e tanto meno le perfide parate elettorali riusciranno a ripristinare l’ordine.
Per non restare intrappolati in una dimensione maniacale che oscilla tra ottimismo forzato e isteria, gli americani dovranno guardarsi non solo dall’incapacità dei politici, ma anche dalle corporazioni che muovono i fili culturali e sociali della vita pubblica. Fino a quando permetteranno che comandino in casa loro sono destinati a restare degli schiavi. Che la maggioranza al Congresso e al Senato sia Repubblicana o Democratica non fa molta differenza: i primi hanno una fede cieca nel capitalismo, i secondi, pur riconoscendo qualche diritto al popolo, sono pur sempre convinti che il cuore di un paese batta nella sua economia. Invece, al di là delle tassazioni, dell’equità fiscale, del diritto privato, ci sono i sacrosanti diritti di ogni cittadino ad avere una propria visione morale e compiere in santa pace i propri errori, ci sono i diritti delle comunità che vogliono auto-governarsi ed essere servite dallo Stato, non diventarne schiave. E non ultimo, la politica è un teatro fatto per un pubblico brutto, sporco e cattivo, dove ognuno deve sentirsi libero di scrivere il proprio copione. E’ vero che la democrazia è una faccenda complicata ma allontanarsi da quella parte della politica che un tempo era parte integrante delle vicende umane significa autorizzare automaticamente gli altri a decidere per tutti. E non solo negli Stati Uniti d’America.


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