di Daniele John Angrisani

A soli due giorni dalle elezioni e con i sondaggi che vedono in leggerissima rimonta i candidati repubblicani nei collegi chiave del Senato (Missouri, Montana e Virginia), la tanto famigerata november suprise, da molti attesa come l’evento che potrebbe cambiare le sorti della campagna elettorale di mid term, sembra essere arrivata da Baghdad: il collegio giudicante, guidato dal giudice speciale Rauf Rashid Abdul Rahman, ha infatti considerato Saddam Hussein colpevole di genocidio ai danni della popolazione di un villaggio sciita del sud e lo ha quindi condannato a morte per impiccagione. Sentenza da molte parti considerata già scritta ma, nonostante questo, ritenuta abbastanza sospetta da alcuni osservatori politici a causa della sua tempistica. Mentre lo stesso Saddam urlava "Dio è grande" nell'aula del tribunale, è stata però la stessa Casa Bianca a smentire queste voci, affermando che sarebbe "cospirazionista" pensare che la data per la sentenza di Saddam fosse stata scelta di proposito per motivi elettorali; anzi, il portavoce della Casa Bianca, Tony Snow, ha precisato che il verdetto mostra inequivocabilmente che “in Iraq vi è un sistema giudiziario indipendente”. Da parte dei leader repubblicani del Congresso il refrain è stato il medesimo con la speranza, neanche tanto nascosta, a seguito di questo verdetto il cui merito viene da loro attribuito esclusivamente alla Casa Bianca, di guadagnare qualche punto che potrebbe risultare fondamentale in alcune sfide all’ultimo voto nelle elezioni di martedì. Da parte loro invece, i leader democratici - in primis il capogruppo di minoranza al Senato, Harry Reid - hanno fatto sapere di apprezzare il verdetto ma di ritenere che sia ormai imprescindibile da parte della Casa Bianca una chiara timeline negoziata con il governo iracheno per il ritiro delle truppe americane dall'Iraq, per poi andare all'offensiva su altri temi.

L’obiettivo dei democratici in questi ultimi due giorni di campagna elettorale è infatti quello di cercare di galvanizzare ancora di più il proprio elettorato, sapendo bene che l’unico modo per assicurarsi definitivamente la vittoria elettorale è quello di portare quanta più gente alle urne a proprio favore, in special modo negli Stati chiave. Nel panorama sociopolitico americano non manca comunque chi ha espresso, come le organizzazioni per la difesa dei diritti umani Amnesty International e Human Rights Watch, una forte preoccupazione per la scelta di condannare a morte Saddam Hussein, affermando tra le altre cose che il processo era “inquinato” sin dall’inizio per l’assoluta partigianeria dei giudici implicati.

Per quanto riguarda invece la tempistica sospetta di questo verdetto, c'è da dire che il governo iracheno avrebbe tutto l'interesse a far si che i repubblicani non perdano il controllo delle due Camere. Ciò per il semplice motivo che il governo di Al Maliki si regge, volente o nolente, ancora solo sulla forza militare americana, visto che non è attualmente in grado di gestire il proprio esercito o le proprie forze di polizia, minate all'interno dall'autorità dei vari comandanti delle milizie paramilitari religiose che fanno il bello ed il cattivo tempo. E' proprio la sua insita debolezza, il motivo per cui neanche una settimana fa il governo di Al Maliki ha chiesto alle Nazioni Unite il rinnovo del mandato alla forza multinazionale (ovvero americana) in Iraq. Ed è altresì questo il motivo per cui, secondo alcuni, Maliki potrebbe aver cercato di aiutare l'amico Bush spingendo sulla Corte affinché questo verdetto fosse emesso giusto a cavallo delle elezioni di mid term.

Quello che è certo è che in qualche modo s’intravede anche dietro questo mezzo colpo di scena proveniente dall'Iraq, la mano sapiente del consigliere “onnipotente” di Bush, Karl Rove. E' lui la persona che ormai si sta giocando il tutto e per tutto, sapendo che se riuscisse quantomeno, a limitare le perdite, diverrebbe davvero una leggenda all'interno del partito repubblicano, dopo aver organizzato altre 3 campagne elettorali tutte vittoriose. Qualsiasi sia la verità, rimane comunque il fatto che l'impressione di molti analisti politici è che comunque ormai i giochi siano fatti e, a meno di altre sorprese dell'ultimissimo minuto, la gran parte degli elettori abbia già deciso per chi votare a prescindere dalla sentenza su Saddam Hussein. Staremo a vedere se la sua scommessa, anche questa volta, avrà successo o se si infrangerà contro la delusione e il malcontento degli americani per questa guerra che, Saddam o meno, non mostra nessuna intenzione di finire presto e vittoriosa come era stato promesso dalle fanfare militariste in tutti questi anni.

Per finire proprio parlando dei militari, è notizia proprio di questi ultimissimi giorni che il Military Times Media Group (un gruppo giornalistico che pubblica quotidiani dedicati ai militari, in particolare l'Army Times) ha pubblicato su tutti i suoi giornali un editoriale di fuoco in cui ha chiesto le dimissioni di Rumsfeld per totale incompetenza nella gestione della guerra. Questo rischia di avere un effetto molto più devastante della sentenza su Saddam Hussein. Dovessero davvero i repubblicani perdere anche il voto dei militari, o almeno parte di questo, le loro chances per questa elezione sono davvero al minimo. Per non parlare del danno di immagine enorme che è stato già dato da questa vera e propria “sollevazione” dei militari contro il loro ministro della Difesa, nel bel mezzo di una guerra. Che sia davvero l’ora di cambiare rotta?


Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy