di Tania Careddu

Centotredici i Paesi a cui l’Italia destina fondi. Tremiladuecentottantasette le iniziative e i progetti nel mondo. 2.980.351,00 di euro il totale dei soldi impegnati nel 2013. Per la cooperazione allo sviluppo. Riassunta nel decreto Missioni. Che stanzia, su base annuale o semestrale, parte delle risorse dedicate alle missioni militari e alle iniziative di cooperazione. Negli ultimi dieci anni sono stati approvati fondi pari, in media, a 1,3 miliardi di euro: diminuita progressivamente la spesa per le missioni militari, sensibilmente cresciuta, anche se inferiore alla prima, quella per la cooperazione, passando dal 9,4 al 12,7 per cento.

Annualmente, l’ammontare approvato rappresenta poco più del 4 per cento dell’investimento totale dell’Italia per le forze armate e per la cooperazione allo sviluppo: se per le missioni militari, con il provvedimento, si eroga circa un 1,3 miliardi di euro, la spesa militare totale è di ventitre miliardi. Stesso funzionamento per la cooperazione: per una spesa totale poco sotto i tre miliardi di euro, il decreto in oggetto ne stanzia solo centotrentasei milioni, cioè il 4,57 per cento.

Oltre il 76 per cento degli sforzi di cooperazione allo sviluppo da parte del nostro Paese vengono fatti per via indiretta, ossia attraverso il trasferimento di fondi a organizzazioni sovranazionali, per un ammontare, nel 2013, di più di 2,2 miliardi di euro. Ripartiti fra le organizzazioni internazionali di cui il Belpaese fa parte, che si occupano di impiegarli per svolgere attività a favore dei Paesi in via di sviluppo. Quindi, un miliardo e mezzo - pari al 68 per cento - è andato all’Unione europea, oltre trecento milioni all’Agenzia internazionale per lo sviluppo e centosettantadue alle Banche regionali di sviluppo.

I restanti spiccioli di quei quasi tre miliardi, pari a poco più di seicentonovanta milioni, cioè il 23 per cento, rimane sotto la gestione diretta delle nostre istituzioni. Di questi, il 43 per cento non ha mai varcato i confini nazionali per far fronte all’emergenza rifugiati politici dentro lo Stivale. E’ la tipologia d’aiuto più corposa: le risorse (queste) vengono altresì destinate alle infrastrutture e servizi sociali e agli aiuti per i settori produttivi, le altre (quelle oltralpe) per l’azzeramento del debito, gli aiuti umanitari e la costruzione di infrastrutture per attività economiche destinati a quei centotredici paesi sopracitati, dei quali i più sostenuti sono l’Albania con oltre ventotto milioni, l’Afghanistan con quasi ventotto milioni e l’Etiopia con circa diciotto.

Ma lo spostamento di tutti questi euro nonché l’importanza della questione, non trova un’adeguata risonanza nelle aule delle Camere. In nessuna pagina dell’agenda degli ultimi quattro esecutivi. Derubricato a una semplice prassi, al decreto Missioni è stato, da sempre, riservato l’iter di conversione più veloce. Solo ventitre ore di discussione e quaranta giorni di dibattito, viaggiando in una corsia preferenziale, raggiungendo tempi record di approvazione.

Sarà perché il suo consenso è sempre stato bipartisan - durante l’ultimo Berlusconi il PD ha votato a favore pur stando all’opposizione, e sotto il Governo Renzi, FI non ha votato contro il provvedimento - sarà (o forse proprio perché) non è più così centrale nella definizione della politica estera italiana.

Tanto che nella classifica delle priorità dei Governi ha sempre navigato in posizioni molto basse: ventisettesima nel Governo Berlusconi IV, quarantanovesima nel Governo Monti, quarantasettesima in quello Letta, e, finalmente, quattordicesima nell’esecutivo Renzi. Ad maiora.

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