di Emy Muzzi

Londra. Nel tentativo di venire a capo della disfatta Labour e di capire cosa ci riservano gli scenari post elettorali in Gran Bretagna, Altrenotizie ha incontrato Tony Travers, professore di politiche governative alla London School of Economics e direttore "LSE London”, centro di ricerca di livello mondiale che sforna studi ed analisi di impatto mondiale sugli assetti di politica, geopolitica ed economia. LSE London sta lavorando ad un’analisi del comportamento dell’elettorato a queste elezioni politiche che segnano il ‘disincanto’ degli elettori verso i Labour.

Professor Travers, in questi giorni coincitati di dimissioni, candidature e ritiro candidature alla guida dei Labour il partito sembra allo sbaraglio. Quali scelte dovrebbero fare i Labour del post-Miliband per sopravvivere alla disfatta elettorale?

“Sicuramente la questione è più profonda e radicale dell’andare a destra, verso i New Labour di Tony Blair o più a sinistra verso i sindacati. Andrei oltre tutto questo per dire che il Labour Party ha bisogno di andare avanti con un leader nuovo e giovane che non abbia alcun legame con la leadership del partito dal 1997 al 2010.

Perché?

“Per via dell’eredità del passato. Penso che Tony Blair sia stato un leader importante; del resto ha vinto tre elezioni. Ma la ragione principale è il coinvolgimento di Blair con la guerra in Iraq, ed anche per via del fatto che i labour erano al governo nel momento in cui è scoppiata la crisi finanziaria globale”.

I sindacati (Unite in particolare) hanno portato Ed Miliband alla leadership a scapito del fratello David, ma portano fondi e voti; come può il partito svincolarsi visto che, anche attraverso la campagna contro la privatizzazione della sanità pubblica  (NHS) hanno un ruolo fondamentale?

“Innanzitutto bisogna chiarire che sì, la NHS può essere anche una bandiera della campagna elettorale, ma non porta necessariamente alla vittoria; questa è una delle lezioni di questo risultato elettorale. Penso che le relazioni tra Labour e Trade Unions siano complicate da decenni. Questo ha danneggiato il partito negli anni ’70; in seguito sono state le leggi-sindacato della Thatcher a favorire - involontariamente e paradossalmente - i Labour, perché, indebolendo le Unions riducevano anche la loro influenza sul partito.

Chi, tra i candidati alla guida Labour è il meno ‘influenzato’?

“Beh, vediamo, Liz Kendall è lontana dall’eredità di partito di cui  parlavamo, ed anche David Lammy; sono entrambi lontani dalle ultime leadership e sufficientemente distanti dalle passate amministrazioni Blair-Brown”.

LSE London sta elaborando un’analisi sul comportamento di voto. A cosa si deve ciò che lei ha definito ‘disincanto’ rispetto ai Labour?

“Nel nord dell’Inghilterra c’è stato uno spostamento di voti dai Labour all’UKIP in un contesto in cui i Liberal Democratici hanno perso sia dai Conservatori che dai Labour stessi. Questo si deve al fatto che in termini di contenuti i Labour hanno incentrato la loro comunicazione sul fatto di essere il partito in favore dei poveri contro i ricchi escludendo del tutto gli aspiranti middle-class che rappresentano poi gran parte dell’elettorato. Si tratta di non aver avuto l’abilità di comunicare con successo, e questo lo hanno riconosciuto anche loro stessi”.

Ma nel frattempo l’opposizione in Parlamento è di fatto divisa tra Labour e SNP. Si rischia l’immobilità?

“Questo aspetto non è ancora stato discusso sui media, ma è vero che l’opposizione è spaccata in due fazioni in lotta tra loro e che gli stessi laburisti sono spaccati in due fazioni. Questo è un grosso vantaggio per Cameron in Parlamento,

Lei ha detto che i risultati di queste elezioni sono un passo ulteriore verso la fine del sistema bipartitico inglese. Possiamo considerarlo già finito?

“Da tempo parlo della fine del two-party system. Ma se da una parte la percentuale del consenso elettorale per entrambi Laburisti e Conservatori diminuisce e nuovi pariti emergono, dall’altra i nuovi soggetti in campo non hanno ancora raggiunto grandi dimensioni. Lo stesso SNP ha 56 seggi contro 331 della maggioranza Tory e 232 dei Labour. In sostanza il sistema bipartitico continua a funzionare anche se lo share dei voti diminuisce progressivamente. Credo che questo durerà più a lungo di quanto abbiamo previsto...”

Questo complica il pieno svolgimento della dialettica democratica e del dibattito parlamentare?


“Io ho fiducia nella democrazia britannica perché è l’elettorato che fa la democrazia non i partiti politici. Del resto abbiamo avuto maggioranze assolute molto più problematiche come ad esempio sotto la Thatcher”.



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