di Michele Paris

La rivolta popolare iniziata la settimana scorsa in Burkina Faso contro il presidente Blaise Compaoré era sfociata nel fine settimana in un colpo di stato messo in atto dalle forze armate del paese dell’Africa occidentale. La mossa dei militari ha però scatenato nuove proteste tra la popolazione, convincendo alla fine i nuovi leader “burkinabè” a cedere alle pressioni occidentali e a promettere il trasferimento dei poteri provvisori a un organo civile di transizione.

Come è noto, una folla di manifestanti a partire da martedì scorso era scesa per le strade della capitale, Ouagadougou, chiedendo al presidente di ritirare una proposta di modifica della Costituzione che gli avrebbe permesso di candidarsi per ottenere un nuovo mandato dopo 27 anni già trascorsi alla guida del paese.

Due giorni più tardi, le dimostrazioni si sono ulteriormente radicalizzate e la cronaca dal Burkina Faso ha registrato l’irruzione nella sede del Parlamento, che è stata data alle fiamme, e il tentativo di occupazione della principale stazione televisiva del paese.

Compaoré, dopo avere provato a rimanere al suo posto almeno fino alle prossime elezioni, è stato costretto venerdì a lasciare il potere e a rifugiarsi nella vicina Costa d’Avorio, dove ha trovato ospitalità in un lussuoso edificio della capitale amministrativa di questo paese, Yamoussoukro.

Inizialmente, il comandante delle forze armate del Burkina Faso, generale Honoré Traoré, si era auto-proclamato in diretta televisiva nuovo leader del paese ma, poco dopo, un identico annuncio è stato diffuso dal numero due della guardia presidenziale, colonnello Isaac Zida. Per alcune ore non è stato chiaro se tra i militari ci fossero divisioni significative ma Zida è sembrato infine ottenere l’appoggio effettivo delle forze armate.

L’iniziativa dei militari aveva di fatto comportato la dissoluzione dell’Assemblea Nazionale e la sospensione della Costituzione, la quale, in caso di dimissioni o impedimento da parte del presidente, prevede che quest’ultimo sia sostituito dallo “speaker” dello stesso organo legislativo e che nuove elezioni siano indette entro 90 giorni.

I piani dei vertici militari hanno da subito incontrato la resistenza della popolazione mobilitatasi contro il presidente Compaoré. Domenica, infatti, nuove manifestazioni sono andate in scena nella capitale per protestare contro il colpo di stato e chiedere il passaggio del potere alle autorità civili.

La sede dell’emittente televisiva nazionale è stata ancora una volta presa di mira, con due esponenti dell’opposizione che hanno trasmesso altrettanti comunicati nei quali si sono anch’essi auto-dichiarati leader ad interim del paese.

Alla fine, l’esercito ha deciso di prendere in mano la situazione e disperdere le proteste, provocando la morte di un manifestante, colpito, secondo la versione ufficiale, da un proiettile sparato accidentalmente ad altezza d’uomo. Secondo l’opposizione, nel corso di una settimana di proteste ci sarebbero stati almeno 30 morti, mentre fonti ospedaliere citate dall’agenzia di stampa AFP hanno parlato di 6 decessi.

La manifestazione di domenica era stata almeno in parte organizzata dai partiti dell’opposizione del Burkina Faso, dopo un incontro tra i loro leader e l’ambasciatore francese un paio di giorni prima. Parigi, assieme a Washington, ha infatti emesso comunicati ufficiali per fare appello alla calma e per chiedere il rispetto formale della legge, così da incanalare la crisi in atto in un processo di transizione “democratico”.

Esposta alle pressioni internazionali e, come aveva ipotizzato nel fine settimana l’inviato delle Nazioni Unite per l’Africa occidentale, Mohamed Ibn Chambas, alla minaccia di sanzioni, la neonata leadership militare ha finito per annunciare nella giornata di lunedì la formazione di un governo di transizione. Il gabinetto che sarà chiamato a guidare il paese dovrà essere il risultato di un “ampio consenso”, anche se il colonnello Zida non ha fornito indicazioni sui tempi previsti.

Un vertice dell’Unione Africana organizzato lunedì ad Addis Abeba, in Etiopia, si è risolto con una sorta di ultimatum ai militari del Burkina Faso, accusati di avere agito contro la Costituzione e invitati a trasferire il potere a un governo civile entro due settimane per evitare sanzioni.

Gli appelli ai diritti democratici della popolazione “burkinabè” da parte americana o francese sono in ogni caso del tutto risibili. I timori dei governi occidentali derivano piuttosto dall’eventualità più che concreta che la situazione nel paese strategicamente importante della regione del Sahel avesse potuto sfuggire di mano.

La reazione di una popolazione impoverita alla presa del potere da parte dei militari ha in definitiva prospettato la fine di un regime decisamente ben disposto verso l’Occidente e che, sotto la guida di Compaoré, ha a lungo garantito gli interessi della ex potenza coloniale - la Francia - così come degli Stati Uniti.

La creazione di un governo di transizione nominalmente civile e che rispetti in apparenza le procedure democratiche servirà a spegnere il principio di rivolta nel paese e a certificare l’elezione di un nuovo leader, possibilmente attento a non deviare troppo dalle politiche filo-occidentali del presidente appena deposto.

Come hanno puntualmente ricordato quasi tutti i media occidentali nei giorni scorsi, Compaoré era oggetto dell’ammirazione della “comunità internazionale” perché, ad esempio, aveva favorito la risoluzione di recenti conflitti, come in Mali e in Costa d’Avorio, con modalità gradite all’Occidente.

La prima di queste due crisi aveva portato, anche grazie all’ormai ex presidente del Burkina Faso, al dispiegamento in Africa occidentale di un contingente militare straniero - in gran parte francese - ufficialmente per combattere gruppi fondamentalisti islamici che avevano occupato le regioni settentrionali del Mali ma, in realtà, da inserire nel quadro della competizione soprattutto con la Cina per il controllo delle risorse localizzate in quest’area del continente

Nel caso della Costa d’Avorio, invece, Compaoré, aveva appoggiato i ribelli che, dopo le contestate elezioni presidenziali del 2010, intendevano installare alla guida del paese l’ex funzionario del Fondo Monetario Internazionale, Alassane Ouattara, al posto del presidente in carica, Laurent Gbagbo, responsabile di avere stabilito solide relazioni politiche ed economiche con la Cina.

Compaoré aveva già mediato un processo di pace in Costa d’Avorio nel 2007 e ha poi svolto lo stesso ruolo nel 2011 con il pieno appoggio del governo francese, impegnato a favore di Ouattara. In segno di gratitudine, secondo alcune fonti citate dalla stampa transalpina, proprio quest’ultimo avrebbe fatto visita al deposto presidente del Burkina Faso nella serata di sabato presso la sua nuova residenza ivoriana.

Blaise Compaoré aveva fatto irruzione sulla scena politica “burkinabè” partecipando a un colpo di stato militare nel 1983 contro il presidente dell’allora Repubblica dell’Alto Volta, Jean-Baptiste Ouédraogo.

Dopo il golpe, la carica di presidente era stata assegnata al capitano 33enne Thomas Sankara, diventato rapidamente popolare grazie all’avvio di politiche anti-imperialiste e di ispirazione socialista, come la nazionalizzazione delle compagnie private operanti nella ex colonia francese e la promozione di iniziative contro la povertà, così come per l’alfabetizzazione e la vaccinazione di massa contro malattie fino ad allora mortali.

Compaoré era considerato uno degli uomini più vicini a Sankara ma nel 1987 fu lui a guidare un nuovo colpo di stato contro il presidente, rimasto ucciso in circostanze tutt’altro che chiare. Dopo la fine della breve era Sankara, Compaoré interruppe le politiche adottate fino a quel momento, assicurando l’allineamento del suo paese alle potenze occidentali.

Pur avendo consolidato la propria posizione di potere in quasi tre decenni, Compaoré negli ultimi anni ha dovuto fronteggiare svariate proteste popolari, tra cui quelle più minacciose erano state registrate nel 2011 in parallelo con gli eventi della cosiddetta “primavera Araba” in Medio Oriente e in Africa settentrionale.

Uscito apparentemente indenne dalle manifestazioni di tre anni fa, Compaoré ha alla fine dovuto soccombere di fronte all’odio e all’insofferenza di una popolazione che continua a godere poco o per nulla delle ricchezze generate dalla produzione e dall’esportazione di beni e risorse di cui il Burkina Faso è ricco, a cominciare da cotone e oro.

A fornire l’occasione per l’esplosione della rabbia popolare covata da tempo è stata dunque la sete di potere del presidente, intenzionato a prolungare indefinitamente la propria permanenza al vertice dello stato anche contro il consiglio del collega francese François Hollande, il quale solo pochi giorni prima della sua caduta aveva saggiamente consigliato in una lettera privata all’amico “Blaise”, resa nota dal settimanale Jeune Afrique, di non assumersi “il rischio di un cambiamento non consensuale della Costituzione”.

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