di Carlo Benedetti

E’ stata un’esecuzione annunciata quella di Anna Politkovskaja, la giornalista russa che aveva dichiarato guerra al Cremlino, a Putin e a quei generali colpevoli del genocidio in Cecenia. L’hanno fatta fuori, a Mosca, sull’ingresso del suo condominio perché era stata scomodo testimone di un conflitto epocale tra la Grozny dell’indipendenza e la Mosca dell’autoritarismo e della sopraffazione. Ora si scopre anche che aveva previsto tutto. Aveva scoperto e rese note le regole di una guerra particolare sul fronte del Caucaso, ma soprattutto nelle retrovie del mondo dei servizi segreti. E così questa eterna ragazza di 47 anni e due figli - che teneva stretti i suoi occhiali da miope mentre correva tra le valli cecene – si era preparata alla fine. Sapeva che l’intelligence del Cremlino non poteva perdonarla. Era troppo invadente, nota, coraggiosa e dura nei confronti dei mastini di quel ministero della Difesa che lei chiamava ministero della Guerra. Aveva già conosciuto la repressione nei suoi confronti, ma nello stesso tempo aveva cercato ostinatamente di svolgere un ruolo di mediazione tra la guerriglia cecena e le truppe di Mosca. Combatteva la sua guerra scrivendo e denunciando. Lo testimoniano quelle corrispondenze dal fronte caratterizzate da notizie impietose di scontri, attentati, bombardamenti e raid. Tutto con stile freddo, toccante. Ma aveva annunciato – con notevole anticipo – anche la storia della sua fine.
Lo aveva fatto, con spirito critico, in uno dei suoi ultimi reportage. Una sorta di lapide. Perché aveva detto di non escludere che un bel giorno un suo articolo non sarebbe stato pubblicato. Sarebbe finito, come la sua vita, in un cestino. Sicuramente sapeva di aver messo le mani su qualcosa che scottava. E Dimitri Muratov, il direttore del quotidiano Novaia Gazeta dove Anna Politkovskaja scriveva regolarmente, ha voluto subito annunciare che l'omicidio "sembra essere una punizione per i suoi articoli".
Si sa ora che il giornale stava per pubblicare nuove rivelazioni su episodi di corruzione in seno al ministero della Difesa e del contingente russo in Cecenia. Ma la giornalista aveva anche nemici fra i guerriglieri i quali non le perdonavano i continui riferimenti al traffico di armi tra l’opposizione cecena e le forze russe. Nei suoi reportage raccontava, infatti, di soldati che rubavano munizioni e armi dalle basi militari.

Riferiva sempre, con precise documentazioni, il giro di affari e le tecniche usate per il commercio clandestino e forniva il costo delle operazioni: un dollaro per 10 proiettili di mitra, 10 dollari per il caricatore delle pistole Makarov; mitra da 400 dollari in su. Con un kalashnikov che poteva costare fino a mille dollari e le mine russe vendute dai soldati per 500 dollari. Ecco, quindi, che Anna Politkovskaja era malvista da quanti navigavano nel mercato nero delle armi.
Personaggio scomodo: così era definita a Grozny e a Mosca.
Di lei restano le cose che ha scritto. Restano quei premi che si era conquistata in patria ("Penna d'oro", l'equivalente del Pulitzer) e all’estero. Nel febbraio del 2003 in Danimarca aveva ricevuto un riconoscimento ufficiale per l’impegno giornalistico e per l’attività in favore della democrazia nel Caucaso. Nel 2004 era stata insignita con il premio intitolato all'ex premier svedese Olaf Palme in quanto "simbolo della lunga battaglia per i diritti umani in Russia"… Non aveva sponsor e partiti alle spalle. Aveva fatto dell’indipendenza di giudizio la sua arma preferita.

Nei suoi scritti aveva sempre parlato delle pesanti violazioni del Cremlino in riferimento agli articoli 3 e 4 della Convenzione di Ginevra, compiute durante le azioni repressive e intralciando – di conseguenza - il lavoro della Croce Rossa Internazionale nell’area di conflitto.
Aveva denunciato le sistematiche violazioni delle leggi di guerra da parte delle forze federali contribuendo ad “arricchire” - con drammatiche documentazioni - i pur circostanziati rapporti di Human Rights Watch. Riferiva sempre di bombardamenti e cannoneggiamenti di centri abitati e di distruzioni immotivate e rappresaglie contro i civili. E negli ultimi tempi aveva esteso il raggio delle sue inchieste anche ad una nuova attività messa in atto dall’intelligence di Putin. Una delicatissima operazione di ascolto e controllo dell’intera popolazione. Un piano denominato “Sorm2” - una versione russa di “Echelon” – organizzato dal Goskomsvyaz (Comitato statale per le comunicazioni) in collaborazione con il Kgb con il compito di intercettare i messaggi di posta elettronica in Cecenia. Si parla, in proposito, di centinaia di "black box" che, analogamente a quelle installate a bordo degli aerei, sarebbero capaci di registrare tutte le attività che hanno luogo in Internet.
Anna Politkovskaja, dal fronte della Cecenia, aveva così alzato il tiro. Difendeva i ceceni vittime del genocidio e denunciava l’escalation del Cremlino di Putin. Con tutta probabilità ha pagato per questo.

Ora, con il suo omicidio sale a 56 il numero dei giornalisti uccisi quest'anno nel mondo. Le ultime due vittime erano state due reporter tedeschi uccisi in un'imboscata nel nord dell'Afghanistan. E secondo i dati diffusi dall'organizzazione Reporters sans frontieres, questo anno potrebbe rivelarsi più sanguinoso persino del precedente, quello più tragico per i cronisti di tutto il mondo.
Intanto sulla fine della giornalista russa restano interrogativi inquietanti. Ci si chiede in particolare come mai l’assassino o gli assassini hanno lasciato sul luogo del delitto una pistola. E a Mosca c’è chi pensa che l’arma potrebbe essere una di quelle usate in Cecenia dai guerriglieri. Un modo artigianale per gettare ombre sull’intera vicenda. In pratica uno dei tanti depistaggi già sperimentati nel passato dagli organi della sicurezza del Cremlino.


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