di Mario Lombardo

Le elezioni presidenziali andate in scena domenica in Cile hanno sancito, come previsto, la netta vittoria della candidata di centro-sinistra Michelle Bachelet. Già presidente tra il 2006 e il 2010, quest’ultima non è però riuscita a superare la soglia del 50% per evitare il ballottaggio di metà dicembre con la candidata del partito di destra al governo, Evelyn Matthei. Sempre nel fine settimana si sono tenute anche le consultazioni per il rinnovo dei due rami del Parlamento, con la coalizione che sosteneva la Bachelet (“Nueva Mayoria”) che ha conquistato una netta maggioranza, probabilmente non sufficiente però a mettere in atto alcune delle riforme in senso progressista promesse in campagna elettorale.

Con gli spogli pressoché ultimati, la Bachelet viene accreditata di quasi il 47% delle preferenze, contro il 25% della sua più immediata rivale ed ex amica di infanzia, nonché figlia di un generale membro della giunta militare di Pinochet. Complessivamente, sulle schede erano presenti nove nomi di candidati alla successione dell’attuale presidente, Sebastian Piñera, impossibilitato dalla costituzione a cercare un secondo mandato consecutivo alla guida del paese sudamericano.

Il voto in Cile è stato il primo dopo le proteste popolari senza precedenti nell’era democratica che erano esplose nel 2011. Imponenti manifestazioni di piazza erano state animate principalmente dagli studenti che continuano a chiedere l’accesso gratuito all’educazione superiore in un paese dove i costi dell’istruzione sono i più alti di tutto il continente, dopo gli Stati Uniti.

Le proteste si sono poi allargate fino a mobilitare le popolazioni indigene in lotta per i loro diritti e i lavoratori del settore estrattivo - il Cile è il primo produttore mondiale di rame al mondo - uniti nell’opposizione alle politiche ultra-liberaliste dell’amministrazione Piñera, celebrata invece dalla stampa ufficiale per avere garantito consistenti tassi di crescita economica negli ultimi anni.

Il ritorno in termini parlamentari di quelle proteste nel voto di domenica è stato rappresentato dalla presenza tra i candidati al Parlamento di alcuni leader del movimento studentesco protagonisti delle manifestazioni iniziate oltre due anni fa. Quattro di essi hanno finito per conquistare un seggio, tra cui la 25enne dirigente comunista Camila Vallejo, che ha diretto con straordinaria efficacia politica e mediatica l’iniziativa politica del movimento studentesco, ottenendo una notorietà a livello internazionale e diventando in qualche modo il volto stesso delle proteste.

Il malcontento diffuso nei confronti delle forze di destra, per la prima volta al governo dalla fine del regime di Pinochet nel 1990, è stato alimentato anche dalle crescenti disuguaglianze di reddito - le più marcate tra i 34 paesi facenti parte dell’OCSE - e ha finito per travolgere Piñera e la sua maggioranza.

Michelle Bachelet, tornata in patria lo scorso mese di marzo dopo avere lasciato la guida di un’agenzia delle Nazioni Unite che promuove i diritti delle donne nel pianeta, ha così cavalcato il disagio nel paese, impegnandosi ad intraprendere una serie di riforme sociali, da pagare in gran parte con un innalzamento delle tasse sulle grandi aziende e i redditi più elevati.

La probabile prossima “presidenta”, dopo la diffusione dei risultati nella serata di domenica, ha parlato alla folla nella capitale, Santiago, sottolineando come “il popolo abbia votato per un’educazione gratuita e di qualità, per una maggiore integrazione e maggiori opportunità per i nostri figli. I cileni hanno votato per una riforma fiscale che consenta di attuare riforme nell’ambito dell’assistenza sanitaria pubblica, del sistema pensionistico e delle politiche sociali, e perché coloro che posseggono di più contribuiscano secondo le loro possibilità”.

Molte delle iniziative promesse dalla Bachelet - la quale viene accreditata dai sondaggi di un netto vantaggio su Evelyn Matthei in vista del secondo turno del 15 dicembre - avranno però poche probabilità di essere implementate nel prossimo futuro, quanto meno integralmente. Per cominciare, molti osservatori hanno fatto notare come le risorse da reperire con l’aumento delle tasse proposto non siano sufficienti a coprire la spesa per finanziare tutti i cambiamenti elencati nel programma elettorale del centro-sinistra.

I numeri di una coalizione che va dai cristiano-democratici ai comunisti e che dovrebbe sostenere il prossimo presidente, inoltre, non basteranno a mettere assieme la maggioranza richiesta dalla costituzione per intervenire in alcuni ambiti, come quello dell’educazione né, tantomeno, per modificare la stessa carta costituzionale che risale all’era Pinochet e sulla quale si erano concentrate buona parte delle proteste popolari.

I risultati del voto per il Parlamento, infatti, risentono di insolite regole elettorali adottate durante la dittatura e che assegnano alla formazione che si classifica al secondo posto una rappresentanza superiore rispetto al livello di consenso raccolto alle urne. Se eletta presidente, la Bachelet dovrà perciò cercare un compromesso con l’opposizione di destra per mettere in atto le riforme più ambiziose del suo programma.

Soprattutto, come ha riassunto opportunamente un’elettrice cilena all’inviata del New York Times a Santiago, la coalizione di centro-sinistra “non ha mantenuto le promesse di cambiamento per 20 anni e perciò non c’è ragione per cui debba mantenerle ora”. Questa sensazione sembra essere piuttosto diffusa nel paese, così come una sostanziale sfiducia degli elettori nei confronti di tutta la classe politica cilena, tanto che il livello di astensione nel voto di domenica, secondo la Associated Press, avrebbe toccato il 44%.

Inoltre, va ricordato che la sconfitta del centro-sinistra nelle precedenti elezioni a beneficio della destra era stata causata proprio dal malcontento generato dalle politiche del governo appoggiato dalla cosiddetta “Concertación”, incapace di porre rimedio ai problemi sociali del paese o di alterare in maniera significativa le strutture politiche e gli orientamenti economici imposti durante la dittatura di Pinochet.

Nonostante faccia parte del Partito Socialista, Michelle Bachelet, secondo le parole del Wall Street Journal, ha sempre mantenuto “ottime relazioni con la comunità degli affari” e, come hanno dimostrato i quattro anni del suo primo mandato, l’obiettivo principale della sua eventuale futura amministrazione sarà quello di continuare a creare le condizioni migliori per attrarre il capitale straniero nel paese, pur se cercherà in ogni modo di garantire nuove e diverse politiche sociali.

Infine, il rallentamento già iniziato della crescita dell’economia cilena, determinato in particolare dalla frenata delle quotazioni del rame, farà aumentare le pressioni sul nuovo governo per muoversi in direzione opposta a quella prospettata dalla Bachelet in campagna elettorale. Sarà importante vedere come la Bachelet potrà impegnare il Cile nel blocco democratico latinoamericano, rappresentato da Brasile, Argentina e Uruguay e alleato dell’ALBA (Ecuador, Bolivia, Venezuela, Nicaragua e Cuba) dove l’integrazione regionale nel sistema di scambi potrebbe favorire una migliore condizione per il Paese andino.



Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy